«Cari ministri, se tacete sul genocidio degli armeni come potete aiutare i cristiani del Medioriente?»
«Se non riuscite a indignarvi per il tentativo in atto di cancellazione del ricordo del genocidio degli armeni cosa dobbiamo aspettarci per le minoranze cristiane ed ebraica nel Vicino Oriente?». La domanda, rivolta al governo italiano, è nell’appello “Non in nostro nome: solidarietà al popolo armeno, al Papa e al Catholicos”.
Not in my name: questa volta il celebre slogan usato in mille occasioni contro le mille guerre del Pianeta dai movimenti no war e no global, fa da titolo a un manifesto-appello certamente fuori dal comune. E' firmato da leader di diverse religioni e personalità civili e intellettuali che nulla hanno a che vedere con quei gruppi ed è indirizzato al governo italiano. “Non in nostro nome”, perché i sottoscrittori non si riconoscono nella posizione opportunista e timida nei confronti del governo turco e delle minacce lanciate dal presidente Erdogan contro Papa Francesco dopo la sua denuncia del massacro degli armeni, “primo genocidio” del Novecento. E puntano il dito contro «il malinteso senso di opportunità economica» che «detta l’agenda alla politica» dei nostri governanti.
Il manifesto-appello ha come titolo “Non in nostro nome: solidarietà al popolo armeno, al Papa e al Catholicos” (l’arcivescovo a capo della Chiesa armena), redatto in risposta alle dichiarazioni del sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Sandro Gozi, sul genocidio armeno («inopportuno che il governo italiano prenda una posizione») dopo la dura reazione della Turchia alle parole di condanna di papa Francesco. Tra i firmatari (sono 28) nomi del calibro di Antonia Arslan, scrittrice e saggista di origine armena, Giuseppe Laras, studioso, saggista, presidente del Tribunale rabbinico del Centro Nord Italia ed ex Rabbino Capo di Milano, i rabbini Roberto Della Rocca e Alfonso Arbob, Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, Philippe Daverio, Salvatore Natoli, Gianantonio Borgonovo, arciprete del Duomo di Milano, Riccardo Calimani, presidente del Meis di Ferarra ma soprattutto saggista, scrittore, autore di romanzi. E ancora monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara e Comacchio, monsignor Luciano Monari, vescovio di Brescia, Bruno Forte vescovo di Chieti-Vasto, il professor Alberto Jori, professore associato di storia della filosofia antica all’Università di Ferrara e la regista e manager Andrée Ruth Shammah.
All’affermazione che tocca agli storici fare luce se fu davvero genocidio (il sottosegretario Stefano Gozi aveva così motivato la prudenza pilatesca del governo), il manifesto ribadisce con forza che «Quanto sofferto dal Popolo Armeno (e dalle altre antiche Comunità cristiane orientali dell’Impero Ottomano) non è questione di interpretazioni, bensì un fatto innegabile, drammatico e terribile, con i suoi orrori documentati, i suoi testimoni, i suoi aguzzini. E gli storici si sono già sufficientemente espressi, in maniera inoppugnabile. Si tratta di un fatto che per decenni è stato parzialmente occultato e abbondantemente negletto da una certa “cultura”. Colpevolmente». Dopo aver ricostruito la genesi storica di un genocidio che la Turchia si ostina a non riconoscere , i firmatari affermano che il genocidio «fu certo una questione etnico-politica, ma fu anche una questione di “teologia politica”, il jihad contro gli Armeni, come testimoniano le conversioni forzate dei bambini armeni, la compravendita di schiavi armeni e altre ignominie perpetrate». Poi la domanda bruciante ai governi e agli esponenti della cultura occidentale: «Se non riuscite a indignarvi e a impegnarvi per il tentativo in atto di cancellazione del ricordo di centinaia di migliaia di uccisi di ieri, e voltate silenti e imbarazzati le spalle, cosa dobbiamo aspettarci – Dio non voglia - per le minoranze cristiane - ed ebraica - nel Vicino Oriente? Che futuro per l’Occidente e per il mondo libero?».
«Se si inizia “per opportunità” a negare un genocidio - è l’amara conclusione - per motivi di diversa “opportunità” se ne potrà domani negare un altro, chiudere gli occhi su quello in corso dei cristiani di Oriente e, perché no, commetterne poi uno». Ecco, il governo Renzi è servito, i ministri cattolici Gentiloni e Franceschini che sulla faccenda si sono mossi invocando le ragioni dell’opportunità e della necessità politica di non irritare il governo della Turchia avranno una ragione in più per rivedere le loro posizioni. Tanto più che anche l’Europa, tante volte tirata in ballo per giustificare scelte impopolari, ha reagito con coraggio e fermezza alle minacce di Erdogan, giunto addirittura a minacciare di deportare quei 100mila armeni che ancora vivono in Turchia. Lo vuole l’Europa, era il tormentone che questi signori ci cantavano quando c’era da mettere le mani nelle nostre saccocce. Bene, adesso dicano pure loro quel che l’Europa ha già detto sul genocidio degli armeni. Qualcuno, dalle parti di Palazzo Chigi, avrà il coraggio di rispondere?
“Non in nostro nome: solidarietà al popolo armeno, al Papa e al Catholicos”: il testo del Manifesto