Camusso esalta Pride, il lato B del proletariato
Esce Pride, film del regista Matthew Warchus, già applauditissimo dalla stampa e dalla Cgil di Susanna Camusso. Il film racconta la solidarietà del movimento Lgbt inglese ai minatori nel celebre sciopero di un anno contro la Thatcher. Proletari e gay uniti nella lotta: la Camusso l'ha visto e ne è entusiasta...
Grazie, signora Thatcher. A dirlo, parafrasando la divertente dark commedy di Mark Herman sui minatori dello Yorkshire, sono oggi i leader dei movimenti gay e Lgbt. Già, perché grazie alla Lady Ferro anche i nostri capi e capetti di Arcigay, Arcilesbo e Arcitrans potranno finalmente (tra)vestirsi con i panni dei "working class hero", degli operai sfruttati e orgogliosamente ribelli. Minatori proletari e gay uniti nella lotta: quella ai cattivi padroni, capitalisti e omofobi. Ieri c’era la cattivissima Iron woman, oggi l’ancor più "cattivissimo me" Renzi, rottamatore dell’articolo 18 e dei diritti dei lavoratori.
Esce tra una settimana Pride, film del regista Matthew Warchus, presentato nel maggio scorso al Festival di Cannes che ha raccolto, dicono le cronache, il massimo successo di critica e pubblico nel Paesi anglosassoni. Inutile dire che in Italia il film è già celebrato come capolavoro prima ancora di essere visto, sponsorizzato dalle generosissime recensioni della grande stampa ma, soprattutto, dal quel sindacato che oggi si autonomina come la vera e unica alternativa al turbo liberalismo della sinistra lenta al governo. Cioè, la Cgil di Susanna Camusso e la sua versione più maschista di Maurizio Landini, star della Fiom con il dono della ubiquità televisiva.
Pride è un film che, dice Natalia Aspesi, la madame Whintour di Repubblica, «è fatto benissimo, con grandi attori noti e no, capace di rievocare i forti sentimenti degli Anni ‘80, come il senso dei propri diritti, compresa la tutela del lavoro e il rispetto della dignità individuale, ed è soprattutto un divertente e commovente inno a quella solidarietà che oggi pare troppo costosa da praticare». Insomma, roba da Oscar e da immediata santificazione. La pellicola racconta di un gruppo di giovani gay e lesbiche di Londra che raccoglie 20mila sterline e li consegna ai minatori di uno sperduto villaggio del Galles in sciopero da mesi contro la Thatcher. Da quel momento in poi, nel villaggio «la vita è cambiata, i pregiudizi sono crollati, minatori e lesbiche ballano insieme nella sala delle riunioni sindacali» (Corriere della Sera). Tanto che qualche anno dopo, i minatori manderanno una loro delegazione al Gay Pride di Londra. «È una storia di solidarietà», continua l’estasiato Corriere, «un incontro tra mondi lontanissimi uniti da un’ansia comune e fortissima: l’affermazione dei propri diritti. Quello al lavoro per i minatori e la libertà sessuale per i volontari del Lgsm (Lesbian and Gay Support Miners)».
A fare da location alla love story tra gay e “musi neri”, c’è, infatti, il più lungo sciopero di massa dell'Occidente dalla prima Guerra mondiale: quello che per un anno intero oppose nelle brughiere di Scozia, Galles, Yorkshire e Kent 165mila minatori, guidati dal Num (National Union of Mineworkers) di Artur Scargill e il governo della signora Thatcher. La posta in gioco: migliaia di posti di lavoro, i piani di privatizzazione delle miniere e l’uscita del Paese dalla dipendenza del carbone. La guerra inizia nel marzo 1984 quando l'ente minerario nazionale annuncia un piano di chiusura dei pozzi che taglia di 4 milioni di tonnellate la produzione e comporta la perdita di 20 mila posti di lavoro. E si chiude nel marzo 1985, quando il sindacato alza bandiera bianca e delibera con 98 voti a 91 la fine dello sciopero e il rientro dei minatori nei pozzi. La Thatcher non indietreggia un millimetro: il 19 luglio 1984, in Parlamento, pronuncia uno storico discorso in cui definisce i minatori sindacalizzati «il nemico interno» e affermava che mai la democrazia parlamentare si sarebbe piegata «al governo della folla».
Dieci persone muoiono in circostanze legate allo sciopero, 20.000 i feriti negli scontri tra dimostranti e poliziotti, arresti, processi, picchetti duri alle miniere. La Lady di Ferro riesce anche a convincere l'allora numero due dell'Urss Mikhail Gorbaciov a bloccare circa un milione di dollari donati da minatori sovietici ai compagni britannici in lotta. Alla fine i minatori cedono e da quella sconfitta inizia l'era del liberismo in Gran Bretagna, mantenuto anche nell'era del New Labour di Tony Blair, fino all'esplosione della crisi economica ancora in corso. Le miniere di carbone sono oggi meno di dieci e il carbone produce solo il 6% dell'energia nazionale della Gran Bretagna.
La storia, dunque, è dura e cruda, ma si trasforma quasi in soap opera nella sdolcinata versione della Aspesi. Che scandaglia le personalità dei personaggi, scava nelle loro storie, esalta turbamenti e gioie. «A poco a poco i due mondi, e le due generazioni, i ragazzi gay e gli uomini della miniera, si scoprono e si capiscono, e le più amichevoli sono le donne non più giovani». Lady Natalia si commuove per Hefina (la protagonista interpretata da Imelda Staunton) che «passa le giornate a spalmare margarina sul pane per le famiglie degli scioperanti, insieme all'elegante vecchio minatore Cliff». Ci pare di vederlo ‘sto elegantone che con le rugose mani segnate dal carbonfossile imburra le tartine per il tè delle cinque. Oh yes. Oppure per una delle moglie dei minatori che viene incoraggiata a proseguire negli studi dal giovane «gay, magnifico ballerino, Jonathan Blake» o per il ragazzino minorenne Joe «di buona famiglia conservatrice, che si trova per caso in mezzo al corteo del Gay Pride, si entusiasma alla solidarietà e scopre la propria omosessualità». Insomma, quasi un libro Cuore senza il cattivo Franti, ma con l’happy end in versione gay-lesbo.
In realtà, le cose non andavano esattamente come la dolce ed elegante signora di Repubblica ce le vuole rifilare, e il film, sia pure di sfuggita, lo fa notare. Difficile, infatti, immaginare i rudi “musi neri” sciogliersi davanti a ballerini gay o ammirare estasiati scambi di affettuosità omosex. Perché, nota la Aspesi, in quegli Anni ’80 in Inghilterra «come ovunque, l'omofobia imperava. Così ogni telefonata dei gay di Londra per prendere contatto con i minatori del Galles, orrificati, viene da loro interrotta, con un i "Froci di merda!"». Insomma, la lotta di classe non è roba da femminucce, tantomeno da gayetti di città. Ma la fiction buonista e mineral correct ha le sue esigenze: così, i muscolosi minatori che per uno anno resistono senza paga alle angherie della Thatcher, capitolano in neanche sessanta minuti davanti agli occhi dolci di ballerini e al bon ton di femministe e lesbiche. Il lato B del proletariato: ma chi ci crede?
Tocca a Susanna Camusso rimettere a posto le cose e ridare dignità forte al lato debole della classe operaia. La leder della Cgil ha voluto vedere il film in anteprima e al Corriere dice che i protagonisti Pride, le donne, «sono il punto di congiunzione dei diritti del lavoro e dei diritti civili». Ah, eccola finalmente l’ortodossa chiave di lettura del film: il matrimonio lesbo gay come la continuazione, sotto altre forme, della Comune di Parigi, Luxuria nella reincarnazione di Rosa Luxemburg, Nichi Vendola nuovo Scargill della sinistra e Platinette rediviva Simone de Beauvoir di Amici. La metamorfosi del sindacato, confessa Camusso, ora è felicemente compiuta, ma è stata dura e non bisogna nascondere «le discriminazioni» di cui soffrivano operai gay e lesbiche, se venivano scoperti o «le discussioni che ci furono sull’opportunità di partecipare ai Gay pride».
Acqua passata, per fortuna. Anche se, avverte la cauta Susanna, siamo solo all’inizio e bisogna continuare le combat: «ci sono ancora discriminazioni. Certo ormai non fa più notizia se uno è gay o lesbica. Invece i transgender sono quelli più in difficoltà, perché qui i pregiudizi sono ancora forti». Finalmente svelata la nuova frontiera del fu sindacato comunista: la liberazione transgender, il nuovo Statuto Lgbt, il diritto all’assegno di maternità (surrogata) e l’inserimento nelle liste trans-protette. Lavoro per i giovani e pensioni decenti possono attendere. Dopo la visione dell’anteprima di Pride, pare che la Camusso voglia spedire Cecchi Paone a passare il Natale dai minatori del Sulcis in lotta. Chiamate Landini, presto.