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PUBBLICITA'

Campagna 8 per mille, una Chiesa che dissimula

La raccolta dell'8 per mille 2018 ammonta a 1 miliardo e 100 milioni di euro. Appena il 25% di essi sarà destinato alle attività caritative che pure costituiscono l'unico soggetto della campagna pubblicitaria, improntata su progetti realizzati lodevoli, ma che finiscono per trasmettere l'immagine di una Chiesa orizzontale e assistenziale. Praticamente una ong che non tiene conto del Volto di Cristo.

Editoriali 25_05_2019

Come accade ormai da diversi anni in occasione delle dichiarazioni dei redditi, la Conferenza Episcopale Italiana ha reso note le ripartizioni della raccolta dell’8 per mille del 2018 per l’anno 2019. I fondi di quest’anno sono in sensibile crescita rispetto all’anno scorso attestandosi attorno a 1 miliardo e 100 milioni, precisamente 1.133.074.425,15). 

Un dato balza agli occhi: solo un quarto è stato destinato agli interventi di carità che sono il claim principale della campagna pubblicitaria in corso in questi giorni, con immagini e storie accattivanti di interventi di carità, anche di piccole o piccolissime realtà, che grazie al sostegno della Cei possono continuare a fare del bene. 

Di quel miliardo e passa infatti, 436 milioni di euro sono destinati ad esigenze di culto e pastorale, che includono 156mila euro per il funzionamento delle diocesi, 132 milioni per l’edilizia di culto e altre voci minori; la somma più considerevole dopo questa prima voce poi, è destinata al sostentamento del clero, che raccoglie la ragguardevole cifra di 384 milioni di euro. Agli interventi caritativi quindi, divisi tra Diocesi (per la carità), Terzo Mondo e esigenze di rilievo nazionale rimane la fetta restante di 285 milioni di euro. 

Una cifra enorme, non c’è che dire, ma decisamente inferiore rispetto alle altre voci, che si riferiscono più a quello che è il “retrobottega” (absit iniuria verbis), cioè quelle risorse che non servono per il cosiddetto “front office”, ma che sono sacrosante e indispensabili per dar da mangiare ai preti e far funzionare gli uffici di curia, sistemare le chiese e far girare i tribunali ecclesiastici efficientemente come chiede Papa Francesco. La cosiddetta macchina, in sostanza, che garantisce che un parroco possa vivere dignitosamente mentre amministra i sacramenti, confessa i moribondi e impartisce prime comunioni ed estreme unzioni. 

Però è curioso che questa parte, che è la più ingente della raccolta Cei, sia stata messa in ombra dagli interventi di carità che hanno costituito appunto l’ingente e fortunata campagna mediatica di quest’anno.

Come se ci si vergognasse che con il vil denaro si finanziasse la vita quotidiana e certo meno affascinante del clero. Invece per “convincere” il contribuente si è strizzato l’occhio esclusivamente alla parte più avvincente e lacrimevole, quella della carità, salvo poi relegarla agli ultimi posti della ripartizione, segno che quando c’è da fare i conti con il concreto, con le bollette da pagare e le porte, “le porte e le sardine” per dirla con Rumori fuori scena, la Chiesa tira fuori il vecchio e caro pragmatismo che l’ha resa celebre e amata e mette da parte per un attimo il romanticismo. 

Invece si è puntato con magniloquenza sul “Paese dei progetti realizzati. Questo è l’accattivante slogan che si incontra da un mese a questa parte sui manifesti pubblicitari di autobus, stazioni e cartellonista stradale, nelle inserzioni sui quotidiani e negli spot televisivi. E’ il Paese che viene beneficiato dai soldi che i contribuenti danno alla Chiesa cattolica tramite l’8 per mille: un Paese che aiuta gli ultimi, che fa corsi di alfabetizzazione, progetti di inserimento di svantaggiati, accoglienza a ragazze madri, corsi di inclusione per disabili, assistenza alimentare ai poveri, persino marce per la pace dove mettere insieme un po’ tutti i cliché del terzomondismo. 

Cose buone - per carità - anche se sarebbe interessante conoscere il criterio grazie al quale un progetto diventa meritevole e un altro no. 

Cose, però, che sono tutte legate da un filo rosso: una inspiegabile assenza di Gesù Cristo nel nome del quale ci si aspetterebbe di fare tutti questi progetti. Anzi, verrebbe da dire che se non ci fosse qua e là ogni tanto l’aggettivo “Cattolica” vicino a Chiesa, la campagna mediatica dell’8 per mille, che si vede è fatta da mani esperte e che conoscono la marketing strategy, sembrerebbe né più ne meno che una Ong di buoni sentimenti, un'agenzia di intermediazione per tutti i problemi sociali dell'uomo. 

Il fatto è che scorrendo qua e là i progetti che vengono promossi non si parla di Cristo né di evangelizzazione. Il tutto si risolve in una offerta di una pastorale sociale orizzontale, umana. Il prete che spesso parla non lega mai l’attività che vuole promuovere alla conoscenza di Cristo, dei sacramenti, alla missione evangelizzatrice. Insomma: a guardare i progetti realizzati sembra che nessuno di questi abbia nella fede in Gesù Cristo la sua ragione d’essere. Sicuramente ognuna di queste esperienze è animata da fede sincera, non ci permettiamo di dubitarne, ma il messaggio che passa agli occhi degli italiani con questa campagna Cei è che la Chiesa cattolica nel chiedere soldi per le sue attività - e abbiamo visto sopratutto per il considerevole funzionamento della sua macchina - presenta al grande pubblico la sua faccia: sostanzialmente agnostica, lontana da uno sguardo di fede, per nulla interessata a far conoscere Gesù. Insomma: a-cattolica.

Il fatto - e questo è l’aspetto che fa arrabbiare di più il contribuente fedele - è che le diocesi che mostrano “i progetti realizzati” portano avanti anche tanti altri progetti che non vengon sbandierati, ma abbiamo visto di quale e quanta confusione siano portatori: iniziative gay friendly, incontri cattoislamici, corsi per la “somministrazione” della comunione ai divorziati risposati e molte altre iniziative discutibili che inquinano la trasmissione genuina della fede presentandoci una Chiesa come un partito politico o, quando c’è da incassare, una Ong. Questo non viene digerito dal fedele, il quale si deve così sorbire le pubblicità ammalianti sul bene fatto e poi scoprire che quelle attività costituiscono appena il 25% dell’erogazione finale. 

Eppure basterebbe presentarsi per quella che si è - o si dovrebbe essere - per dare all’opinione pubblica un’idea di Chiesa completamente diversa e più rispondente alla sua - visto che parliamo di marketing - mission, o meglio: alla sua vocazione. 

Chissà se arriveranno mai esperti a considerarlo? Ma se un giorno si dovesse tirare fuori lo slogan “l’ho fatto per Cristo” e si ritraesse un sacerdote che celebra messa con fedeltà e rigore tutti i giorni, senza mai negarsi al confessionale, che dal pulpito mette in guardia i fedeli parlando loro di Inferno e Paradiso, annunciando la promessa della vita eterna, mettendo in guardia dalle insidie del diavolo, testimoniando che se si è fatto prete è per mettersi al servizio di Dio e non di una generica quanto liquida comunità; insomma, se si raccontasse della vita di quei cattolici, e sono tanti, che testimoniano con coraggio la loro fede mettendo anche a rischio a loro stessa vita o la loro credibilità, chissà, forse verrebbe anche più voglia di firmare per l’8 per mille. E magari ci sentiremmo tutti più coinvolti e convinti nel sostenere i nostri preti.