Bye bye Ddl Zan, una sconfitta politica per Pd e 5 Stelle
Si è concluso con il sì alla “tagliola” richiesta da Lega e Fratelli d’Italia il cammino in aula al Senato del Ddl Zan. Stop ora di almeno sei mesi prima di un eventuale nuovo testo in commissione.
«Piuttosto che fare una porcata, e io di porcate me ne intendo, vi consiglio di fermarci qui, piuttosto che dare origine a un obbrobrio giuridico». Roberto Calderoli, veterano del Carroccio, ha usato l’autoironia per rivendicare la richiesta di voto segreto sulla proposta di non passaggio all’esame degli articoli del Ddl Zan. La cosiddetta “tagliola” voluta da Lega e Fdi e approvata, verso ora di pranzo, dalla maggioranza dei senatori: 154 favorevoli, 131 contrari e 2 astenuti. Il voto segreto concesso in mattinata dalla presidente Maria Elisabetta Casellati tra le polemiche di Pd, M5S e Leu ha smascherato una realtà conosciuta da tutti e negata da molti: a Palazzo Madama il testo di Zan non piaceva alla maggior parte degli eletti.
Ciò che ha significato il voto di ieri lo ha spiegato bene la senatrice dem Monica Cirinnà ai microfoni della trasmissione Un giorno da pecora: «Non c’è più nessuna possibilità che prosegua il Ddl Zan, i numeri hanno detto questo. Dopo sei mesi si può solo presentare un nuovo testo sullo stesso argomento». In base al regolamento del Senato, il testo deve stare fermo per almeno sei mesi prima di tornare in Commissione e una volta ritornato non troverà certamente il tappeto rosso dei parlamentari del centrodestra, oltre a dover fare i conti con l’estate alle porte e la legislatura agli sgoccioli.
Dunque, una vittoria indiretta dell’articolo 67 della Costituzione che riconosce come «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato» e una vittoria esplicita del tanto bistrattato voto segreto concesso nei regolamenti parlamentari nei casi concernenti diritti di libertà, casi di coscienza o singole persone.
Nelle dichiarazioni di voto erano stati i gruppi di Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e i sette senatori di Idea-Cambiamo del Gruppo Misto a dire sì alla richiesta di non passaggio agli articoli del Ddl Zan, mentre i capigruppo di M5S, Pd, Italia Viva, Per le Autonomie e Misto avevano annunciato la propria contrarietà. Ai blocchi di partenza, quindi, il Ddl Zan non avrebbe dovuto incontrare problemi ma che i numeri con voto segreto fossero ben diversi da quelli prevedibili con voto palese si era capito già nei giorni scorsi con l’invito tardivo di Enrico Letta a trattare e la preoccupazione espressa da Alessandro Zan. Ieri mattina, intervenuto su Radiouno Rai, l’autore della legge aveva fatto un appello ai senatori di Italia Viva chiedendo loro di «respingere la tagliola». Forse un tentativo di buttare la palla all’interno del campo renziano, nella consapevolezza che anche nel Pd non mancavano i malumori sul provvedimento. Ai microfoni di una trasmissione radiofonica, Zan aveva anche affermato che se il voto fosse stato palese non ci sarebbero stati problemi.
Sarebbe stato un problema, però, per quei non pochi senatori intimamente contrari che avrebbero votato contro la propria coscienza per non disobbedire agli ordini di partito. Sull’iter del Ddl Zan al Senato si è sempre detto che i numeri fossero stretti: l’esito della votazione sulla tagliola ha dimostrato, in realtà, che non era così, ma ribaltando completamente i pronostici. Un margine di ventitré voti a favore del mancato esame degli articoli non si può certo definire ‘ristretto’. Una sconfitta numerica e soprattutto politica per i sostenitori ad oltranza del testo. Una sconfitta annunciata, tant’è che ieri nelle dichiarazioni di voto è prevalso il nervosismo tra (ex) alleati, con renziani da una parte e il blocco M5S-Pd-Leu dall’altra a ‘darsele’ e rinfacciarsi il rispettivo atteggiamento tenuto sul provvedimento.
E la tensione è salita anche dopo il voto, di fronte alla presa d’atto che il numero dei favorevoli alla legge era ben lontano dall’essere 156, ovvero la quota raggiunta dal governo Conte II nell’ultima fiducia incassata - con l’astensione di Italia Viva - al Senato. Non ha retto, dunque, il gioco a dare la colpa a Renzi per l’affossamento della legge, forse una speranza coltivata da qualcuno in casa dem. Dal regolamento dei conti tra alleati si è passati in breve a quello tutto interno al Pd (due gli assenti), dove l’ex ministra Valeria Fedeli è arrivata a chiedere le dimissioni del capogruppo Simona Malpezzi e dei componenti della Commissione Giustizia. Andrea Marcucci, predecessore di Malpezzi ‘spodestato’ su indicazione di Letta, si è tolto qualche sassolino dalle scarpe, parlando di «gestione fallimentare» e invitando il Pd ad interrogarsi su quanto avvenuto. Il capitombolo sul Ddl Zan, peraltro, è un segnale preoccupante per la tenuta del Pd in vista dell’appuntamento più importante di fine legislatura: l’elezione del presidente della Repubblica che sarà, anch’essa, a scrutinio segreto.
L’affossamento del Ddl Zan è stato salutato con soddisfazione da Fdi e Lega che hanno vinto la partita tattica in Parlamento. Per Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, «cala il sipario» su «una pessima proposta di legge» e si è registrata una «vittoria che non appartiene solo a noi ma anche a tutte le realtà, le associazioni, le famiglie e i cittadini che in questi mesi si sono battuti ad ogni livello per denunciare follie, contraddizioni e aspetti negativi di una follia firmata Pd-Cinquestelle di cui l’Italia non aveva alcun bisogno». Se Meloni ha rivendicato l’opposizione tout court del suo partito al disegno di legge del deputato dem, Matteo Salvini ha usato toni più soft, sostenendo di aver voluto «votare da tempo una legge sulle discriminazioni» ma non «questo disegno di legge» che «è stato affossato definitivamente dall’arroganza di Letta» e sul quale - ha detto Salvini - la Lega avrebbe voluto «togliere le parti più controverse».
Colpa dell’arroganza di Letta anche per Licia Ronzulli, vicepresidente del gruppo di Forza Italia a Palazzo Madama che ha votato a favore della tagliola richiesta dal resto del centrodestra. Esulta anche l’associazione Pro Vita & Famiglia che, tramite le parole del vicepresidente Jacopo Coghe, ha parlato di «vittoria per la democrazia, la libertà di opinione e di coscienza e la libertà educativa delle famiglie italiane». Proprio Pro Vita & Famiglia era stata la destinataria di una lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede nella quale, rispondendo ad alcune domande dell’associazione, veniva ribadito dal Vaticano la «chiara riprovazione dell’ideologia del gender» a proposito della possibile approvazione della proposta di legge Zan. Un’approvazione tramontata ieri al Senato, almeno per la legislatura in corso.