Bux replica a Cupich: la liturgia manifesta la maestà di Dio
Il Vaticano II auspicava la "nobile semplicità", non l'impoverimento dei riti. E l'autentica partecipazione dei fedeli è ingresso nel mistero. La risposta del teologo barese al cardinale di Chicago.
Don Nicola Bux replica alle riflessioni del cardinale Blase Cupich, che di recente su L'Osservatore Romano vagheggiava una liturgia impoverita in nome della "Chiesa dei poveri", appellandosi immancabilmente – ma senza riscontri oggettivi – al dettato conciliare e all'esortazione Dilexi te. Il teologo barese indirizza all'arcivescovo di Chicago una lettera aperta pubblicata da Edward Pentin.
«La liturgia è lo spettacolo offerto al mondo da coloro che adorano Cristo, unico Signore del cosmo e della storia», esordisce Bux (citando 1Cor 4,9), con riferimento esplicito alle parole del porporato che lamentava «gli adattamenti, introdotti nel tempo, che incorporavano elementi provenienti dalle corti imperiali e reali. Tale ricerca ha evidenziato che molti di quegli adattamenti avevano modificato l’estetica e il significato della liturgia, rendendola più uno spettacolo che una partecipazione attiva di tutti i battezzati affinché fossero formati per partecipare all’azione salvifica di Cristo crocifisso». Non si tratta affatto di adattamenti estrinseci e superflui, osserva Bux, «perché i cristiani non bruciavano incenso all'imperatore romano, ma a Gesù, il Figlio di Dio. La liturgia cattolica ha quindi caratteristiche regali e imperiali – le liturgie orientali ce lo insegnano – perché il culto di Dio si contrappone a qualsiasi culto dei governanti mondani del momento».
Quanto al riferimento conciliare, «non è vero che il Concilio Vaticano II desiderasse una liturgia povera, poiché chiede che "i riti risplendano di nobile semplicità", perché devono parlare della maestà di Dio, che è la nobile bellezza stessa, e non delle banalità mondane». La liturgia è lo «“spettacolo” di una fede che afferma Dio e quindi sfida il mondo e i suoi spettacoli profani». Se il culto esprime «il Sacro, cioè la Presenza di Dio». Di conseguenza la partecipazione attiva dei fedeli è «una “mistagogia”, un ingresso nel Mistero che avviene per preces et ritus, che, come ci ricorda san Tommaso, deve elevarci il più possibile alla verità e alla bellezza divine».
Bux cita Prevost: «La nostra missione è quella di introdurre le persone alla natura del mistero come antidoto allo spettacolo. Di conseguenza, l'evangelizzazione nel mondo moderno deve trovare mezzi adeguati per riorientare l'attenzione del pubblico, spostandola dallo spettacolo al mistero» (11 maggio 2012). Ecco il vero "spettacolo" offerto da quella sacralità e solennità della liturgia che per Cupich sarebbero un di più: introdurre al mistero. Al riguardo Bux ricorda che «l' usus antiquior del rito romano svolge questa funzione» di ri-orientamento verso il mistero, «altrimenti non avrebbe potuto resistere alla secolarizzazione del sacro che è entrata nella liturgia romana, al punto da far credere che il Concilio stesso l'abbia voluta».
Una nota conclusiva sulla pretesa semplicità delle origini: «la liturgia, fin dall’antichità, è stata solenne per convertire molti alla fede, e per questo deve avere anche un valore apologetico e non imitare le mode del mondo», che paradossalmente vengono prese a modello da chi stravolge i riti col pretesto di avvicinarli alla gente.

