Bombardare l'Isis? Si dovrebbe, ma (per ora) non si fa
Le azioni di bombardamento dei bombardieri italiani Tornado in Iraq «sono solo ipotesi da valutare assieme agli alleati e non decisioni prese che, in ogni caso, dovranno passare dal Parlamento». Il ministero della Difesa ha così smentito le voci di stampa circa l’imminente impiego bellico dei nostri caccia contro l’Isis.
Le azioni di bombardamento dei bombardieri italiani Tornado in Iraq «sono solo ipotesi da valutare assieme agli alleati e non decisioni prese che, in ogni caso, dovranno passare dal Parlamento». Il ministero della Difesa ha così risposto «in merito a indiscrezioni di stampa» circa l’imminente impiego bellico contro l’Isis dei velivoli da combattimento schierati nel novembre 2014 in Kuwait insieme a 2 droni Reaper e un’aerocisterna. Era stato il Corriere della Sera ad anticipare un prossimo impegno bellico dei velivoli italiani, finora impiegati esclusivamente per missioni di ricognizione. I quattro Tornado Ids non svolgono nessun compito di combattimento, né l’ingaggio di bersagli né l’illuminazione degli stessi coi puntatori laser per consentire ad altri velivoli alleati di colpirli.
Il presidente della commissione Difesa del Senato, Nicola Latorre, (Pd) intervistato dal Gr3, ha ammesso che «ci è stata fatta una richiesta in tal senso e naturalmente il governo dovrà valutare questi aspetti e soprattutto preventivamente informare il Parlamento. Allo stato non c'è nessuna decisione di questo tipo. Le regole d’ingaggio non sono cambiate». Le rivelazioni del Corriere sono emerse nel giorno in cui è arrivato in Italia per una visita alla base di Sigonella e poi a Roma, il segretario alla Difesa statunitense Ashton Carter. Il Pentagono chiede da tempo all’Italia di assumere un ruolo di combattimento contro lo Stato Islamico all’interno della Coalizione in cui su 22 Paesi che hanno inviato aerei militari l’Italia è l’unico a impedire ai suoi jet di bombardare i jihadisti. Comprensibile che Washington voglia coinvolgere maggiormente gli alleati e quindi anche Roma in un’operazione militare contro l’Isis che dopo un anno sta rivelandosi fallimentare proprio in termini di risultati conseguiti e di insoddisfazione del governo iracheno che aveva chiesto l’intervento internazionale per contrastare l’offensiva dell’Isis. L’intervento russo sta aumentando le criticità di quel conflitto e gli Stati Uniti hanno tutto l’interesse a rendere più attivi i loro alleati cercando di mostrare unità e credibilità militare.
In termini politici Roma potrebbe trovare conveniente autorizzare l’impiego bellico dei Tornado (e forse anche aumentarne il numero schierando in Kuwait una o due coppie di nuovi velivoli dalla base di Ghedi del 6° Stormo) barattando questo impegno con il supporto degli Stati Uniti nel sostenere la leadership italiana in un’ipotetica missione dell’Onu in Libia. Di certo il riferimento alla necessità di un passaggio parlamentare per autorizzare la modifica delle regole d’ingaggio del contingente aeronautico italiano pare improntato non solo alla necessità di un nuovo via libera per una missione nata e approvata nell’agosto 2014 senza compiti bellici, ma anche dall’opportunità per il governo di garantirsi un’ampia maggioranza parlamentare come paracadute in caso qualcosa andasse storto: se un aereo venisse abbattuto o se bombe italiane dovessero provocare vittime civili.
L’Aeronautica Militare, che vedrebbe di buon grado un impegno bellico che la toglierebbe di certo dall’imbarazzo nei confronti delle altre forze aeree alleate già da tempo in azione contro i jihadisti, dispone di ordigni di precisione perfettamente adatti a questo tipo di operazioni e soprattutto gode dell’ottima fama di essere molto attenta e evitare i ”danni collaterali”. Le indiscrezioni del Corriere hanno ravvivato l’attenzione su una missione da molti dimenticata anche se sul piano politico è difficile trovare un disegno coerente tra l’impiego bellico dei Tornado in Iraq e le critiche espresse da Matteo Renzi per i raid francesi contro l’Isis in Siria. In ogni caso non saranno le bombe italiane a fare la differenza in un conflitto che sta degenerando in un “tutti contro tutti” in cui molti protagonisti dicono di fare la guerra all’Isis ma perseguono in realtà obiettivi diversi colpendo in molti casi “nemici” diversi.