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IL CASO

Blitz a Venezia e la chiesa diventa una moschea

C’è tutto: il tappeto rivolto verso la Mecca, i pannelli con i versetti del Corano e perfino il Mirhab a occultare il crocifisso, che strideva con la nuova ambientazione. Manca solo, sulla facciata, la scritta “Allah u akbar”. Il problema è che l'edificio islamico è stato allestito nella chiesa di Santa Maria della Misericordia Venezia.

Cronaca 04_05_2015
La moschea allestistica nella chiesa a Venezia

Il Gazzettino scriveva qualche giorno fa che «una moschea nella più che millenaria storia di Venezia non si era mai vista». Adesso il tabù è stato sfatato e la moschea c’è. Anche se per pochi mesi (fino al prossimo 22 novembre) e nell’ambito della Biennale. Il problema è che l'edificio islamico è stato allestito in quella che pur sempre è una chiesa cattolica (anche se chiusa al culto): Santa Maria della Misericordia, nel sestiere di Cannaregio. C’è tutto: il tappeto rivolto verso la Mecca, i pannelli con i versetti del Corano e perfino il Mirhab a occultare il crocifisso, che strideva con la nuova ambientazione. Manca, sulla facciata, la scritta “Allah u akbar”. C’era l’intenzione di metterla, ma poi si è preferito soprassedere, anche per le pressioni del Comune. 

A organizzare il tutto è stato il padiglione islandese della Biennale, che per allestire la chiesa ha chiamato l’artista d'origine svizzera Christoph Büchel. L’obiettivo, stando alle dichiarazioni ufficiali, è quello di lanciare un messaggio contro l’islamofobia. Il ministro dell’Istruzione di Reykjavik, Illugi Gunnarson, ha spiegato che l’idea di infilare una moschea all’interno di una chiesa può stimolare il dialogo, che in Islanda – fa sapere –«è aperto». Entusiasta s'è detto il presidente della comunità islamica veneziana Mohamed Amin Al Ahdadb, che primo fra tutti ha capito l’importanza dell’avvenimento: «Questo progetto supera l’effetto di cento conferenze sul dialogo tra le culture». Il problema è che il Patriarcato di Venezia non ha mai autorizzato la trasformazione del sito. Che l’edificio sia chiuso al culto da molto tempo (dal 1969), non conta nulla. «L’edificio in questione, chiuso al culto, non appartiene più a realtà ecclesiastiche ma è proprietà di privati dal 1973», si legge come premessa in un comunicato ufficiale. Tuttavia, «per ogni utilizzo diverso dal culto cristiano cattolico», prosegue la nota, «va richiesta autorizzazione all'autorità ecclesiastica indipendentemente da chi, al momento, ne sia proprietario; tale autorizzazione, per questo specifico sito, non è mai stata richiesta né concessa». 

Dalla diocesi si aggiunge anche qualche particolare che rende la vicenda, se possibile, ancor più interessante. Si fa sapere, infatti, che «nello scorso mese di febbraio era stata richiesta al Patriarcato di Venezia la concessione di altri edifici sacri situati in città da mettere a disposizione per questa stessa installazione artistica; tale concessione non fu accordata per le stesse motivazioni che oggi vengono qui confermate». E a chi come il Comune ha parlato di un via libera relativo unicamente «a una mostra e non a un luogo di culto», si replica che «la singolarità dell’evento proposto comportava maggiore attenzione e richiedeva il coinvolgimento delle comunità religiose interessate e non solo la valutazione dell’intervento artistico e l’eventuale autorizzazione all’uso di uno spazio, a chiunque esso appartenga». 

Dalla Biennale cercano di gettare acqua sul fuoco e spiegano che «il progetto è stato approvato come installazione artistica, alla condizione che sia realizzato come luogo espositivo visitabile da tutti». Poco cambia, rileva ancora il Patriarcato: «La scelta di usare una chiesa chiusa al culto non risolve questo aspetto, ma lo ignora. L'intervento così attuato ricade su componenti della città che avrebbero dovuto essere maggiormente coinvolte».