Bielorussia, in pericolo la libertà di espressione
Nel paese si moltiplicano manifestazioni pacifiche che vengono puntualmente represse nella violenza. A danno anche dei cristiani.
Il rapporto 2011 di Amnesty International descrive, in sintesi, la gravissima situazione della Bielorussia, unico paese europeo dov’è tuttora applicata la pena di morte: dall’indipendenza, avvenuta nel 1991, sarebbero più di 400 le persone messe a morte. L’uso della pena di morte in Bielorussia è aggravato da un sistema di giustizia penale difettoso ed esistono prove attendibili di “confessioni” estorte sotto tortura e maltrattamenti, utilizzate poi durante il processo per la condanna. Ai prigionieri nel braccio della morte non viene comunicata l’imminente esecuzione se non pochi istanti prima che avvenga. Sono uccisi da un singolo colpo di proiettile dietro la testa; anche se qualche volta è necessario più di un proiettile.
Nel 2010, sono state emesse tre nuove condanne a morte. Due uomini sono stati condannati il 14 maggio per reati commessi durante una rapina a mano armata, avvenuta a ottobre 2009. Il 20 settembre 2010, le condanne a morte sono state confermate dalla Corte suprema e la successiva richiesta di clemenza al presidente Lukashenka è stata respinta. Un uomo è stato messo a morte tra il 14 e il 19 luglio. Il 23 settembre la famiglia è stata contattata dalla corte regionale di Grodno per la consegna dei certificati di morte. Un terzo uomo è stato condannato a morte a settembre 2010 e la sua sentenza è stata confermata a febbraio 2011.
Nel paese, i diritti alla liberta di espressione e di riunione sono stati gravemente limitati e manifestanti pacifici sono stati arrestati e condannati a pagare un’ammenda. Non ci sono state indagini rapide e imparziali sulle accuse di tortura e altri maltrattamenti. Ai prigionieri di coscienza è stato negato l’accesso all’assistenza medica e legale.
Secondo l'ultimo rapporto dell'organizzazione americana Freedom House – che non considera la Bielorussia una democrazia elettorale, a causa delle diffuse e profonde irregolarità che hanno caratterizzato tutte le recenti elezioni – il paese è tra i primi dieci nel mondo con la peggiore libertà di stampa. “I media – si legge nel documento pubblicato nel mese di maggio - fungono da portavoce delle autorità. L'accesso dei cittadini ad informazioni imparziali è molto limitata, e il dissenso soppresso con pene varie". All’inizio di quest’anno, la rappresentante per la libertà dei media dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), ha invitato le autorità bielorusse a porre fine agli attacchi compiuti nei confronti dei media indipendenti e a rilasciare immediatamente i giornalisti imprigionati a seguito delle elezioni presidenziali del dicembre del 2010. Lo scorso 30 settembre, l’Unione europea ha chiesto la liberazione immediata di tutti prigionieri politici in Bielorussia e si è detta ''profondamente preoccupata per la mancanza di democrazia e di rispetto dei diritti dell'uomo nel Paese”.
In questo contesto, spiegato in gran parte dal fatto - come sostiene, nel suo rapporto, l’Istituto di Diritto Pontificio Aiuto alla Chiesa che soffre - che nel paese sopravvive il retaggio della cultura sovietica, si deve esaminare la situazione della libertà religiosa, riconosciuta dalla Costituzione, ma nei fatti limitata dalla legislazione nella sua realizzazione concreta.
La legge sulla religione, del 2002, riconosce un ruolo determinante alla Chiesa Ortodossa nello sviluppo delle tradizioni del popolo bielorusso; ruolo riconosciuto anche alla Chiesa Cattolica, all’Ebraismo e all’Islam. Alla Comunità Luterana è riconosciuto un ruolo particolare, in quanto “fede tradizionale”.
L’attività dei missionari stranieri incontra numerosi ostacoli amministrativi, soprattutto per il rilascio dei permessi di soggiorno; le attività di propaganda religiosa sono sottoposte a severi controlli e limitazioni da parte delle forze di sicurezza. Ai prigionieri politici è sovente negato il diritto al culto. Per ragioni apparentemente burocratiche, gli appartenenti a comunità religiose non gradite al Potere sono oggetto di sanzioni pecuniarie e ammende. Viene scoraggiato anche il culto dei martiri dell’epoca sovietica, la cui memoria è viva all’interno delle comunità ortodosse.
E’ ancora irrisolta la questione relativa alle proprietà ecclesiastiche delle minoranze. Sebbene circa il 95% delle chiese ortodosse storiche siano state restituite, la quasi totalità delle sinagoghe
ebraiche resta nelle mani dello Stato; i cristiani luterani e calvinisti ottengono scarsi successi nelle loro rivendicazioni. I permessi per la costruzione di nuovi edifici religiosi vengono concessi con grande difficoltà, anche nel caso che gli enti religiosi abbiano la disponibilità di terreni adatti all’edificazione.
Stante la volontà dello Stato di trasformare in alberghi alcuni edifici già dedicati al culto, legittimamente appartenenti alla Chiesa cattolica, sin dal 2008 una petizione firmata da decine
di migliaia di persone ha tentato di sensibilizzare le autorità sull’esigenza di rispettare la promessa di restituzione del complesso dei Bernardini, a Minsk (di cui fa parte la chiesa di San Giuseppe), un edificio barocco risalente al XVII secolo che rischia ora di divenire un luogo di intrattenimento turistico, o, nel migliore dei casi, un museo.