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EUROPEISMO

Bettel che umilia Johnson: il vero volto del gendarme Ue

Xavier Bettel, primo ministro del Lussemburgo, si sente in diritto di dileggiare, in sua assenza, il premier britannico Boris Johnson. Il quale se ne era andato a causa di una contestazione palesemente orchestrata. Non è mera ostilità politica, è qualcosa di peggio e riguarda la natura stessa dell'Unione Europea.

Editoriali 18_09_2019
Xavier Bettel indica il posto lasciato vuoto da Johnson

Xavier Bettel, primo ministro del Lussemburgo, in occasione della visita di Stato di Boris Johnson, premier britannico, ha tenuto un monologo contro la Brexit e contro lo stesso Johnson. Gesticolando più volte per indicare un interlocutore che non c’era, ha fatto capire al pubblico di essere offeso per il suo rifiuto di dialogare. Ma nelle sue parole non c’era alcuno spazio per il dialogo. Johnson non c’era, fra l’altro, perché fermato e insultato dai contestatori… che Bettel ha giustificato.

Quel che si nota, in un episodio così insolito per capi di Stato e di governo, è l’assoluta mancanza di professionalità oltre che di etichetta da parte del primo ministro lussemburghese. In un periodo in cui si lamenta il populismo e l’irruenza dei leader anti-Ue, questa ostentata maleducazione di un leader pro-Ue è stata non solo perdonata, ma addirittura incoraggiata. Basta una piccola rassegna dei titoli dei pezzi che descrivono l’evento, per leggere che è Bettel la vittima dell'assenza di Johnson e il suo discorsetto graffiante è un “giusto castigo” al premier britannico. Il che fa capire che il diritto ad essere trattati con rispetto esiste solo se si è pro-Ue, altrimenti si può essere oggetto di scherno e umiliazione, con il beneplacito della stampa. La scenetta che si è vista in Lussemburgo ha tutta l’aria di essere stata orchestrata: contestatori a comando, discorso umiliante di Bettel, applausi a comando. L’interlocutore è stato letteralmente privato del diritto di parola: comparire di fronte a un pubblico urlante o andarsene. Scegliendo di andarsene, Johnson è stato contestato e deriso, in sua assenza, da un Bettel che si è riempito la bocca del valore del dialogo. Per poi snocciolare le sue condizioni: no all’uscita del Regno Unito dal Mercato unico europeo, no a soluzioni alternative per l’Irlanda del Nord. Quindi, in sostanza: no a Boris Johnson. Che dialogo può mai esistere a queste condizioni? Bettel ha accusato il premier britannico di tenere il suo popolo in ostaggio. Che atteggiamento è mai questo, dopo che il citato popolo ha votato, democraticamente, liberamente, per l’uscita dall’Ue?

Che il dibattito sulla Brexit sia molto duro anche all’interno del Regno Unito, fra il governo conservatore e i suoi oppositori, è nella natura delle cose. In democrazia è normale che si litighi, si discuta, si usino anche toni di scherno (nei limiti del diritto penale) durante il dibattito parlamentare. Che un capo di governo cerchi di umiliarne un altro, invece, usando toni da oppositore politico interno, è invece patologico. Perché implica la volontà di accampare diritti su un paese straniero (alleato, partner, ma pur sempre straniero). Evidentemente un capo di governo europeo ed europeista non considera un altro membro dell’Ue come un “paese straniero”. Ed è precisamente qui il problema.

Tutto questo teatrino ha infatti un significato ben preciso: non permettere al Regno Unito di uscire dall’Ue. Un leader britannico può essere rispettato solo se aderisce all’Ue o annacqua l’uscita fino a renderla una mera riformulazione dell’adesione (come era nel caso di Theresa May), ma di fronte a un premier che dimostra di voler veramente dare ascolto ai risultati del referendum del 2016 e uscire dall’Ue, non c’è che condanna mista a scherno. Non è l’unico caso. L’Italia stessa è un’altra dimostrazione: il deficit e la fragilità dei conti pubblici, a quanto pare, non risultano più un problema se al governo vanno partiti di provata fede europeista (come il Pd) o “in fase di costituzionalizzazione” come ora viene considerato il Movimento 5 Stelle. I conti pubblici ricominciano a preoccupare la Commissione, solo se al governo c’è la Lega, unico partito euroscettico. Il passaggio dal governo Conte al governo Conte-bis e il diverso trattamento loro riservato, a fronte di una politica economica sostanzialmente identica, è la dimostrazione lampante che l'Ue sta scegliendo, per gli italiani, chi deve stare al governo e chi no. Che i conti pubblici, o lo stesso “rigore” nel rispetto dei parametri di Maastricht, sono solo pretesti e in realtà non contano nulla. Conta solo la fedeltà politica al progetto dell’Ue.

Il trattamento Bettel è solo l’ultima dimostrazione, in ordine di tempo, di cosa stia diventando l’Unione Europea. Quando venne firmato il Trattato di Roma, nel 1957, nessuno aveva messo in discussione l’indipendenza dei Paesi che aderivano alla Comunità Economica Europea. Era una comunità, appunto, basata sulla reciproca convenienza. Leader cattolici come De Gasperi, Adenauer e Schumann, padri fondatori della Cee, non pensavano al super-Stato. Rispettando il principio di sussidiarietà della Dottrina Sociale, non miravano all’accentramento del potere. Quando venne firmato il Trattato di Maastricht, 35 anni dopo, si incominciò invece a parlare di progetto statuale unitario europeo. Allora, solo Margaret Thatcher si accorse che era in pericolo l’indipendenza britannica. Oggi Johnson è il primo premier che segue esplicitamente e senza riserve la linea della "lady di ferro". L'ostilità incontrata dal governo di Londra nel corso del processo di uscita, dimostra che l’Ue sta veramente diventando uno Stato e l’adesione implica concretamente la perdita di indipendenza. Bruxelles non usa la forza contro i secessionisti, perché non ha un suo esercito (per ora). Ma per il resto, l’Ue sta impiegando tutti i mezzi politici a sua disposizione per ostacolare l’uscita di un membro dissenziente.

Paradossalmente, in questo caso, a ricoprire il ruolo di gendarme del progetto di Stato unitario è il capo di governo di un Paese piccolo, quale è il Lussemburgo, che deve tutto il suo benessere al decentramento del potere e alla possibilità di fare concorrenza fiscale agli altri Stati membri. Con l’omologazione, conseguenza inevitabile di un processo di unificazione europea, lo stesso Lussemburgo cesserebbe di esistere e di essere prospero.