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L'INTERVISTA

"Beato Bhatti, il Pakistan cristiano avrà il suo martire"

Con il beato Shahbaz Bhatti il Pakistan cattolico avrà il suo martire per la fede. Dopo ritardi e incidenti, l’Arcidiocesi di Islamabad, città nella quale l'ex ministro delle minoranze venne ucciso dai fondamentalisti islamici per aver difeso Asia Bibi, è pronta per aprire la fase diocesana del processo di beatificazione per martirio in odium fidei. Lo dice alla Nuova BQ il fratello Paul che racconta la fede semplice e granitica di un martire contemporaneo: “Sapeva che poteva essere ucciso perché cattolico. Il suo sacrificio oggi ha cambiato i cuori di molti islamici e indù e se Asia è stata liberata è anche grazie al suo sangue versato”. 

Libertà religiosa 24_10_2019

Con il beato Shahbaz Bhatti il Pakistan cattolico avrà il suo martire per la fede. L’arcidiocesi di Islamabad, città nella quale il servo di Dio venne ucciso nel 2011 dai fondamentalisti islamici per aver difeso Asia Bibi, è pronta per aprire la fase diocesana del processo di beatificazione per martirio in odium fidei. A dirlo in questa intervista alla Nuova BQ è Paul, il fratello dell’ex ministro per le minoranze, che ha raccolto l’eredità di Shahbaz prima come Ministro dell’Armonia e oggi come presidente dell’All Pakistan Minorities Alliance, il movimento a difesa delle minoranze religiose del paese asiatico. Sono stati infatti superati gli ostacoli tecnici che hanno ritardato e non poco l’avvio della causa dopo la scomparsa delle migliaia di testimonianze già raccolte. Bhatti è stato ospite a Correggio (RE) del Circolo culturale Frassati (nella foto in basso) ed è in questa occasione che la Nuova BQ l’ha avvicinato.

Bhatti, a che punto è dunque la causa?
L’iter non è ancora partito perché si sta terminando di raccogliere le testimonianze. Si tratta di migliaia di testimonianze sulla sua santità e condotta di vita sia raccolte in Pakistan sia nell’ambito della comunità internazionale dove mio fratello si era fatto conoscere.

Perché non è ancora partito ufficialmente?
Sfortunatamente queste testimonianze erano state raccolte dal precedente vescovo di Islamabad, monsignor Anthony Rufin, ma purtroppo è morto prematuramente a causa di un attacco cardiaco. Abbiamo dovuto attendere l’ingresso del nuovo vescovo Joseph Arshad per riprendere in mano la raccolta delle testimonianze.

Che cosa è successo?
Un problema tecnico, Arshad è vescovo in un’altra diocesi, pertanto prima di prendere possesso di Islamabad i lavori sono stati rallentati. A questo si aggiunga il fatto che le testimonianze sembravano come scomparse e non si riuscivano a trovare. Nel frattempo, non si è ancora costituito un comitato, ma si spera di superare presto queste difficoltà.

Chi ha testimoniato?
I tanti che hanno conosciuto mio fratello in vita: credenti e non, anche musulmani. Persone che avevano avuto a che fare con lui come ministro delle minoranze.

Che cosa emerge dalle testimonianze?
Noi non le abbiamo ancora lette personalmente, ma abbiamo sentito molte voci autorevoli come ex primi ministri occidentali, senatori americani e pakistani, leader religiosi. Sono davvero tantissime testimonianze del suo lavoro.  

E della sua fede?
Sì. Soprattutto inerenti la sua fede.

Anche della sua consapevolezza di poter morire per la fede?
Sì, questa è una delle cose che ci ha colpito di più: lui sapeva che poteva essere ucciso ma nonostante tutto ha continuato questa battaglia. Diceva spesso: “Se smetto di fare questo lavoro è questa la mia morte”, quando noi lo imploravamo di lasciar perdere.

Aveva una vita di fede alimentata dalla preghiera
Sì, pregava tutti i giorni e lo esprimeva in pubblico chiaramente e in Paese come il Pakistan era coraggioso. Nella fede è stato alimentato da mio padre e mia madre, che hanno instradato così tutti noi figli.

Aveva devozioni particolari?
Pregava la Madonna e Gesù. Tutte le mattine si ritagliava mezz’ora in un piccolo angolo del suo ufficio in cui pregava profondamente. In quel momento di dedicava a Gesù totalmente e nessuno lo poteva disturbare. Era questa la sua devozione particolare che lo alimentava nel corso della giornata e lo spronava nel difendere la sua fede e quella dei fratelli perseguitati che gli chiedevano aiuto.  

Che tipo di testimonianza dava agli altri?
Dopo la sua morte ho saputo che condivideva la fede anche con un nutrito gruppo di collaboratori: quando c’erano delle difficoltà, si prendeva questi amici in disparte e insieme pregavano.

Possiamo dire che se oggi in Pakistan la morsa della persecuzione è allentata è anche grazie al sangue versato da suo fratello?
Assolutamente sì, la sua morte è stata l’occasione per tanti giovani di seguire le sue orme e trovare in lui ispirazione. Vale per tanti cristiani, ma anche per molti indù e musulmani che sono come cambiati proprio guardando martirio e hanno abbandonato la violenza.