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PROLUSIONE CEI

Bagnasco: il male sottile dell'emarginazione religiosa

Libertà religiosa, sfida educativa e radici dell'unità italiana sono i principali temi toccati dal cardinal Bagnasco nella prolusione del Consiglio permanente Cei. 

Attualità 24_01_2011

C’è un «male sottile» che affligge l’Europa e si chiama «minaccia alla libertà religiosa». Lo ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana (Cei) nella prolusione che ha aperto ad Ancona i lavori del Consiglio permanente della Cei. Al tema della libertà religiosa il presidente della Cei ha dedicato la parte più importante del suo discorso, soffermandosi dapprima sui principali episodi di cristianofobia  avvenuti negli ultimi mesi nel mondo, in particolare Iraq ed Egitto (ringraziando anche il governo italiano per aver sollevato il problema nelle sedi internazionali), ma affondando poi i colpi nel riferimento ai «paesi di tradizione democratica, a partire da quelli europei».

Non è un problema di rivendicazione di spazi, al contrario è la convinzione che la libertà religiosa sia «un perno essenziale e delicatissimo, compromesso il quale è l’intero meccanismo sociale a risentirne, solitamente anche oltre le previsioni». Bagnasco se la prende con «un’aggressività laicista dalle singolari analogie con certe ossessioni ideologiche che ci eravamo lasciati alle spalle senza rimpianti», dimostrata dai risultati di un recente rapporto da cui emerge come «un’astratta applicazione del principio di non discriminazione finisce paradossalmente per comportare un’oggettiva limitazione al diritto dei credenti a manifestare pubblicamente la propria fede». Il risultato è una «lenta, sotterranea emarginazione del cristianesimo, con discriminazioni talora evidenti ma anche con un soffocamento silente di libertà fondamentali». L’esempio più eclatante è quello dell’istituto dell’«obiezione di coscienza sui temi di alta rilevanza etica che, in più nazioni, si tenta ormai di ridimensionare», con «un regresso sul crinale della libertà».

Di fronte a questa situazione, il presidente della Cei chiama tutti alla responsabilità, invitando a «gesti concretamente volti alla solidarietà e alla condivisione», ad esempio imparando a vivere la diversità con i «cittadini di altre religioni presenti in mezzo a noi»: da una parte «dando all’altro considerazione, facendolo esistere nell’attenzione e nel rispetto», dall’altra interpretando «a tutto tondo i dettami della nostra religione, senza subire inibizioni striscianti, e ritenendo a nostra volta che vivere fino in fondo la fede, oltre a non essere uno stato di minorità, è un modo eccellente per rendere migliore il mondo».

Un secondo punto fondamentale toccato dal cardinale Bagnasco è quello relativo alla «sfida educativa», nell’orizzonte del quale si pone anche la questione dell’amministrazione della cosa pubblica, il cui riferimento pubblichiamo integralmente in un articolo separato. Bagnasco si è fra l’altro soffermato a riflettere sulle contestazioni studentesche che ci sono registrate  un po’ in tutta Italia prima di Natale. «Non si è trattato di un evento ripetitivo del passato; troppo diverse le situazioni e le condizioni», ha detto il presidente della Cei. E pur stigmatizzando «gli innesti di violenza e di grave devastazione che si sono registrati», Bagnasco ha avvertito che c’è la necessità di «dare ascolto alle preoccupazioni reali» che, nella fattispecie, parlano di giovani generazioni consapevoli di condizioni sfavorevoli che ipotecano il loro futuro. «Si dice che questa sia la prima generazione della decrescita, e la si chiama generazione inascoltata o non garantita».

Bagnasco ha citato i dati drammatici della disoccupazione («due milioni di giovani tra i 15 e i 34 anni che non studiano, non lavorano né ormai cercano più un impiego») per richiamare gli adulti alle loro responsabilità nei confronti delle nuove generazioni, inclusa la rivalorizzazione del lavoro manuale.

Ma soprattutto Bagnasco è voluto andare alla radice di questo disagio citando un vecchio documento della Cei (La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, 1981) in cui si affermava che «il consumismo ha fiaccato tutti». Una predizione efficace «dove ad apparire centrato è in particolare il verbo usato: fiaccare». «La desertificazione valoriale – ha detto il presidente della Cei – ha prosciugato l’aria e rarefatto il respiro. La cultura della seduzione ha indubbiamente raffinato le aspettative ma ha soprattutto adulterato le proposte. Ha così potuto affermarsi un’idea balzana della vita, secondo cui tutto è a portata di mano, basta pretenderlo. Una sorta di ubriacatura, alle cui lusinghe ha, in realtà – ceduto una parte soltanto della società. Però il calco di quel pensiero è entrato sgomitando nella testa di molti, come un pensiero molesto che pretende ascolto».

La crisi ha in qualche modo risvegliato alla realtà, chiamando tutti a rivedere i propri stili di vita. «Ma che fare se ognuno difende a spada tratta il livello di vita già acquisito?» E qui i problemi dei giovani si incontrano con quelli più generali della società: «Bisogna infrangere l’incolucro individualista e tornare a pensare con la categoria comunitaria del ‘noi’, perché tutto va ricalibrato secondo un diverso soggetto».

La questione del ‘noi’ ritorna in un ultimo punto della prolusione di Bagnasco che vale la pena sottolineare: quello dedicato ai 150 anni dell’unità d’Italia. Se ancora oggi l'Italia è «qualcosa di più della somma di tanti singoli individui, ossia un popolo», non lo si deve allo Stato ma «a una comunità di destino che cammina con gli altri popoli, e tra gli altri ha una sua indole, un suo carattere, una sua vocazione, potremmo dire una sua anima». Bagnasco ha ricordato che anche San Francesco e Santa Caterina evocavano l’Italia molti secoli prima del 1861, riferendosi evidentemente a «una entità geografica che con quel nome era già identificabile, tant’è che sul territorio circolava, oltre alle parlate locali, anche una lingua comune, c’erano scambi e commerci, c’erano letterati, giuristi ed artisti che lavoravano per le diverse corti, e in qualche modo le accomunavano». Se c’era questo senso di appartenenza lo si doveva alla «predicazione cristiana che, toccando le varie città e contrade, aveva dato forma agli archetipi fondamentali di base». Vale a dire che «la prima coscienza di una identità italiana» è scaturita dal «vincolo religioso».