Autodeterminazione? L'unico diritto è quello di cambiare idea
È giusto inchiodare per sempre qualcuno a una volontà espressa anni prima e in tutt’altri contesto e condizioni? È invece esperienza comune che molti, di fronte alla prospettiva concreta e attuale della morte, rinnegano perfino anni di militanza pubblica anticlericale e chiedono i sacramenti. Dunque, esiste un diritto che supera ogni altro: quello di cambiare idea. Contrappunto alla dissoluzione dei Radicali.
A proposito del documento vaticano Samaritanus bonus che ribadisce la dottrina cattolica sul fine vita, il radicale Cappato su «Il Riformista» ha ovviamente parlato di «autodeterminazione del malato», diritto che la Chiesa negherebbe. I radicali, costantemente votati alla dissoluzione dei legami e dell’individuo, autoconsacratisi all’eliminazione degli indesiderati e dei non perfetti, godono di un notevole numero di simpatie trasversali. I loro amici sono annidati soprattutto a sinistra, ma anche tra gli orfani di Craxi che si sono incistati fra i berlusconiani. Ciò spiega perché il famoso caso Welby, cioè il tetraplegico che voleva morire, abbia goduto di larghissima stampa, laddove i casi dei tetraplegici che volevano vivere rimasero nell’oblio.
Ora, poiché a sinistra si considera una doverosa modernizzazione tutto quello che viene portato avanti dalla punta di lancia radicale, ecco le consultazioni di esperti sul tema del cosiddetto «testamento biologico», allo scopo, si disse, di proteggere il paziente da eventuali comportamenti arbitrari dei medici in caso di perdita della capacità d’intendere e volere. Vennero sentiti specialisti in geriatria, oncologia e trattamento di malati terminali. Ebbene, questi esperti si trovarono d’accordo almeno su una cosa: il paziente non può affidarsi ad un pezzo di carta che dichiari la propria volontà su una sua futura e imprevedibile condizione sanitaria.
Infatti, chi può stabilire, in un caso concreto, se una determinata e particolare cura costituisca accanimento terapeutico e non estremo tentativo di salvataggio? Non certo il paziente. E nemmeno il giudice. Ma solo il decorso del malato. Se sopravvive, non è stato accanimento terapeutico. Se muore, lo è stato. In ogni caso, la decisione spetta al medico e non può essere presa da nessun altro. Morale: il cosiddetto testamento biologico è una trovata alla moda, tanto per aprire la strada all’eutanasia propriamente detta, che poi sarebbe il diritto al suicidio ad libitum.
Il quale è visto come il punto d’arrivo di una concezione liberale portata al suo esito logico: la vita è solo mia, e ne faccio quel che voglio. Naturalmente, questo liberalismo individualista non tiene alcun conto del bene comune, in base al quale io mi appartengo solo nella misura in cui la mia sparizione non pregiudichi altri. Chi si sottrae al dovere di vivere (che non è solo un diritto) è paragonabile a colui che abbandona il tetto coniugale o non ottempera all’obbligo del mantenimento. O, se preferiamo una metafora sportiva, è come un canottiere che a metà gara si tuffa in acqua lasciando gli altri a remare anche per lui.
Non a caso il tentativo di suicidio e l’istigazione al suicidio sono sempre stati sanzionati penalmente. Per restare nell’ambito legale e tornando al cosiddetto testamento biologico, i giuristi sanno che il consenso deve essere «attuale». Infatti, quando si verificasse la fattispecie prevista nel documento, chi potrebbe dire che il consenso ivi contenuto corrisponde alla effettiva volontà del paziente in quel momento? Se quest’ultimo fosse in coma, per esempio, come sapremmo se nel frattempo ha cambiato idea? È giusto inchiodare per sempre qualcuno a una volontà espressa anni prima e in tutt’altri contesto e condizioni?
È invece esperienza comune che molti, di fronte alla prospettiva concreta e attuale della morte, rinnegano perfino anni di militanza pubblica anticlericale e chiedono i sacramenti. Dunque, esiste un diritto che supera ogni altro: quello di cambiare idea. Né varrebbe, sempre dal punto di vista giuridico, introdurre la figura del «fiduciario», uno cioè che sia stato abilitato a interpretare la volontà di chi non può più esprimerla. Questi dovrebbe essere stato delegato dall’estensore del testamento biologico a decidere quali trattamenti medici accettare e quali no. Solo che, così, l’autodeterminazione del paziente andrebbe a farsi benedire.
Per giunta, si accantonerebbe l’opinione di un addetto ai lavori, il medico, per far prevalere quella di un incompetente, il fiduciario. L’introduzione di questa figura, infine, aprirebbe anche un altro tipo di contenzioso, dal momento che potrebbe trattarsi di personaggio con spiccato interesse personale alla sospensione di ogni cura per il paziente. Lo si è visto bene nel caso di Terry Schiavo, il cui marito aveva oggettivamente un interesse non piccolo nello staccare la spina. I genitori di lei, lo si ricorderà, avevano manifestato una volontà diametralmente opposta. Infine, esiste anche, in diritto, il principio della libertà terapeutica del medico, il quale si vedrebbe impastoiato e, per finire, impedito nella sua attività da inverificabili testamenti biologici, fiduciari dalla contestabile delega, giudici e quant’altro. E si concretizzerebbe il famoso proverbio: mentre gli esperti litigano al suo capezzale, il paziente muore. Ma forse è proprio questo che i teorici del sovraffollamento planetario vanno cercando.