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ISLAM

Attacco jihadista a Copenaghen

L'incubo del terrorismo islamico torna in Europa a poco più di un mese dalle stragi di Parigi. Gli jihadisti, questa volta, colpiscono a Copenaghen, in un locale pubblico, facendo un morto e tre feriti. Poi avviene una sparatoria davanti a una sinagoga del centro: un altro morto e due feriti. I bersagli, come a Parigi, sono le vignette blasfeme e poi la comunità ebraica: un copione che si ripete.

Esteri 15_02_2015
Il caffé colpito dagli jihadisti

Aggiornamento ore 2:30 - Spari davanti a una sinagoga, nel centro di Copenaghen. Tre i feriti, di cui uno colpito alla testa, gli altri due, poliziotti, a gambe e braccia. Non è ancora confermato (anche se è molto probabile) che questo secondo episodio sia legato all'attacco di ieri al Krudttønden Café.

Aggiornamento delle 10:30 - Muore nella notte il ferito più grave dell'attentato alla sinagoga, un cittadino di religione ebraica, addetto della sicurezza, di guardia mentre all'interno si svolgeva un Bar Mitzvah (festa della maturità). Poche ore dopo, in mattinata, la polizia danese ha ucciso un uomo nel quartiere di Norrebro che aveva aperto il fuoco sugli agenti. Secondo le forze dell'ordine era lui l'autore del duplice attentato.

Il terrore torna in piena Europa, poco più di un mese dopo le stragi di Parigi. Ad essere colpita, questa volta, è stata Copenaghen. La causa è sempre la stessa: le vignette “blasfeme”. Un uomo armato di fucile d'assalto ha sparato a raffica contro un locale pubblico, Krudttønden Café, dove si teneva una tavola rotonda “Arte, blasfemia e libertà di espressione”, alla presenza dell’ambasciatore di Francia e del vignettista svedese Lars Vilks, da quasi otto anni nel mirino degli jihadisti per le sue vignette su Maometto. Il bilancio, ancora provvisorio, è di un morto e tre feriti. Subito dopo l’attacco è iniziata la caccia al terrorista. 

Sia il vignettista Vilks che l’ambasciatore francese François Zimeray sono rimasti illesi nell’attacco. Quest’ultimo ha rilasciato un’intervista all’Agence France Presse subito dopo l’attentato: “hanno sparato da fuori e avevano l'intenzione di fare come a Charlie Hebdo, soltanto che non sono riusciuti a entrare. D'istinto direi che ci sono stati almeno 50 colpi di arma da fuoco e la polizia qui sta dicendo 200, i proiettili sono entrati attraverso gli ingressi e ci siamo tutti gettati a terra”. L’unica vittima è un uomo di 40 anni, i tre feriti sono tutti poliziotti che hanno preso parte allo scontro a fuoco.

Il bersaglio dell’attacco era, con tutta probabilità, proprio Lars Vilks, il vignettista e scultore svedese che, nel 2007, per rispondere all’ondata di rabbia islamica contro le vignette su Maometto, decise di farne una caricatura in forma di cane, animale impuro per eccellenza nella religione musulmana. Così facendo è diventato il bersaglio numero uno della jihad europea. Già nel luglio del 2007, la sua vignetta era stata rimossa da un’esposizione di disegni a Tӓllerud, in Svezia, per paura di attentati. La vignetta maledetta iniziò ad essere rifiutata da tutte le mostre e i centri culturali svedesi. Solo un giornale, il Nerikes Allehanda, decise di pubblicarla, all’interno di un articolo sull’auto-censura in Svezia. E fu l’inizio della caccia all’uomo, perché le associazioni islamiche del paese scandinavo iniziarono il loro tour di proteste e al loro appello risposero i governi di Afghanistan, Egitto, Giordania, Iran e Pakistan. Tutti costoro chiedevano al governo svedese di prendere seri provvedimenti contro la persona di Lars Vilks.

Non ottenendo risposte soddisfacenti dalla legge, i gruppi jihadisti hanno iniziato a cercare di “far giustizia” a modo. A partire da Al Qaeda in Iraq (Isi, l’antenato dell’attuale Stato Islamico) che emise una taglia di 150mila dollari sulla testa del vignettista. Nel 2010 sarebbe seguita anche la fatwa emessa dal gruppo somalo degli Al Shebaab, sempre della galassia di Al Qaeda. La prima a cercare di mettere le mani su quella ricchissima taglia fu una musulmana americana, Colleen La Rose, detta Jihad Jane, che provò a reclutare un commando di terroristi per ammazzare il vignettista. Il suo piano venne tuttavia sventato da un’operazione di polizia negli Stati Uniti e in Irlanda, sia Jihad Jane che i suoi complici vennero tutti arrestati nel 2009. Nell’attentato di Natale 2010 a Stoccolma, l’attentatore suicida (che non riuscì a provocare la strage che cercava) lasciò nel suo testamento la volontà di vendicarsi sulla Svezia per la vignetta di Vilks. Un anno dopo, il 10 settembre 2011, altri tre radicali islamici svedesi vennero arrestati mentre stavano pianificando un nuovo attentato, sempre contro lo stesso bersaglio.

La casa di Vilks era stata data alle fiamme nel maggio del 2010. Da quell'anno aveva dovuto vivere sotto scorta, con la polizia nel suo giardino, obbligata ad interrogare chiunque si avvicinasse. Una vita di auto-reclusione, che lo stesso Vilks, tre anni fa commentava così: “Non ho rimorsi. Non si deve pensare in questi termini. Un disegnatore deve accettare le conseguenze delle proprie azioni. La storia è piena di artisti il cui destino è stato molto peggiore del mio”. E a proposito della serietà della minaccia che stava subendo, diceva: “E’ difficile dirlo, ma non credo che riusciranno ad ammazzarmi. Oggi il terrorismo è fatto soprattutto da inesperti. Quando hanno provato a bruciare la mia casa, si sono dati fuoco da soli, ecc… Dall’altra parte, questi terroristi improvvisati sono diventati meno prevedibili”. Gli organizzatori dell’evento di ieri, infatti, non si sarebbero mai aspettati di divenire il bersaglio di un commando terrorista. Vilks non è stato ammazzato, in effetti. Ma un’altra persona sì, un ignaro signore di 40 anni che non aveva mai disegnato nulla su Maometto, né avrebbe mai pensato di fare una vita da recluso.

La Danimarca è diventata, negli ultimi anni, uno dei principali centri di reclutamento in Europa per guerriglieri jihadisti. Coloro che vanno in Siria e in Iraq a combattere sotto le bandiere nere dell’Isis, continuano a ricevere dallo Stato danese il sussidio di disoccupazione. Quelli che tornano non vengono arrestati, ma reintegrati con un programma di riabilitazione sociale.