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l'altra meloni

Attacco ad Arianna, ma il familismo danneggia il Governo

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Con le accuse ad Arianna Meloni la tenaglia mediatico-giudiziaria sta attaccando il mondo che gravita attorno a Giorgia Meloni. Ma al premier gioverebbe adottare procedure più trasparenti anziché dare l’impressione del familismo. 

Politica 20_08_2024

La storia dei “cerchi magici” nel nostro Paese non è costellata di trionfi, bensì di insidie, agguati e miseri fallimenti. Ne sa qualcosa Matteo Renzi, che dieci anni fa si era rintanato a Palazzo Chigi con i suoi 4-5 fedelissimi, immaginando di poter aprire un ciclo politico ed è rapidamente crollato nei consensi e nella credibilità di fronte agli italiani. Oggi ad essere accusata di chiudersi a riccio attorno a un clan ristrettissimo è Giorgia Meloni, che esattamente un anno fa ha affidato un ruolo chiave del suo partito alla sorella Arianna, incaricata di occuparsi di tesseramento, candidature e liste elettorali per Fratelli d’Italia e di gestire la segreteria di quella forza politica.

Arianna Meloni è peraltro anche moglie dell’attuale Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, salito agli onori della cronaca in questi due anni anche e soprattutto per una serie di incidenti linguistici, gaffe diplomatiche e svarioni dilettanteschi.

Due giorni fa il direttore Alessandro Sallusti, in un editoriale pubblicato in prima pagina sul Giornale, lanciava l’allarme di una campagna di accerchiamento ai danni di Arianna Meloni ordita da uno schieramento trasversale di magistrati e giornali giustizialisti e politici di sinistra, in particolare renziani, per danneggiare il governo. In cosa consisterebbe questo complotto ai danni della sorella della premier? In un avviso di garanzia che Arianna avrebbe ricevuto o starebbe per ricevere per il reato di traffico di influenze, introdotto nel 2012 dalla legge Severino e ora smontato e depotenziato dalla riforma dell’attuale guardasigilli, Carlo Nordio.

Che cosa avrebbe fatto di così grave per meritare una tale azione giudiziaria? Avrebbe interferito nelle nomine governative, pur non avendo formalmente ruoli governativi, cioè avrebbe tentato di indirizzare l’affidamento di incarichi in società pubbliche come Rai e Trenitalia. Arianna Meloni ha smentito la sua presenza ai vertici sulle nomine e i colonnelli di Fratelli d’Italia hanno da subito attaccato Renzi in maniera dura, definendolo “boss di provincia”.

Le considerazioni che la vicenda ispira sono almeno tre. La prima riguarda la tenaglia mediatico-giudiziaria che già in passato e per interi decenni ha tentato di stritolare Silvio Berlusconi e il centrodestra e che ora sembra volersi riproporre, con analoga pervicacia, nel mondo che gravita attorno a Giorgia Meloni.

La seconda riguarda Matteo Renzi, che attaccando violentemente il premier e il suo familismo, da lui definito «scenario che neppure nella Corea del Nord sarebbe possibile», cerca di accreditarsi sempre più come esponente di punta di quel campo largo che mira a disarcionare Giorgia da Palazzo Chigi.

Si tratta di considerazioni che in molti hanno fatto, pensando alle cicliche frizioni tra destra e sinistra sui temi della giustizia. Tuttavia, sarebbe riduttivo fermarsi qui senza evidenziare (terza considerazione) l’obiettivo imbarazzo che suscita, anche nel centrodestra, l’avvitamento di Giorgia Meloni sul suo cerchio magico, composto dalla sorella, dal cognato e da Giovanbattista Fazzolari, militante della prima ora del Fronte della gioventù e ora potentissimo Sottosegretario alla Presidenza del consiglio, con deleghe anche alla comunicazione.

Tutti gli altri non toccano palla e sperimentano la quotidiana inaccessibilità del cerchio magico meloniano, eccezion fatta per l’altro Sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Alfredo Mantovano. Una gestione del potere alquanto familistica e oligarchica, che conferma la diffidenza del premier verso chiunque non provenga dalla cerchia ristretta dei suoi storici fedelissimi.

La sorella Arianna non ha alcun titolo per occuparsi ufficialmente di nomine pubbliche, non ricoprendo ruoli istituzionali, e dunque le accuse di traffico di influenze nei suoi confronti hanno un fondamento giuridico evidente. In passato tutti i governi sono inciampati su conflitti di interessi simili a questo, anche se meno eclatanti. L’esecutivo Meloni, però, era partito con ben altri propositi, tra cui quello di combattere queste commistioni tra potere e interessi particolaristici. Ormai si è capito che Giorgia vuole accentrare su Palazzo Chigi la gestione delle nomine più importanti, attraverso il rigido controllo delle stesse da parte dei componenti del suo cerchio magico.

Ma - viene da chiedersi - non assumerebbe un più nitido profilo di statista se chiedesse alla sorella di fare un passo indietro e se si aprisse al mondo della società civile e delle professioni, visto che è premier e anche leader del maggiore partito italiano in termini di voti? Siamo proprio sicuri che nella classe dirigente di Fratelli d’Italia non ci siano figure ugualmente adatte, tanto quanto la sorella, a ricoprire ruoli così delicati nel partito? Rispetto, invece, alle nomine pubbliche, non sarebbe più lungimirante per un premier che ha annunciato di voler cambiare il Paese adottare procedure più trasparenti anziché dare l’impressione che l’unico criterio di designazione sia sempre e solo quello familistico e clientelare?