Armi, droga, petrolio: ecco chi e come finanzia l'Isis
A guerre diverse corrispondono diverse fonti di approvvigionamento di armi. Lo Stato Islamico combatte una guerra convenzionale contro la Coalizione e gli eserciti di Iraq, Kurdistan e Siria, ma al tempo stesso combatte anche una guerra basata su azioni terroristiche.
A guerre diverse corrispondono diverse fonti di approvvigionamento di armi. Lo Stato Islamico combatte una guerra convenzionale contro la Coalizione e gli eserciti di Iraq, Kurdistan e Siria, ma al tempo stesso combatte anche una guerra basata su azioni terroristiche come quella che ha colpito Parigi la sera del 13 novembre. Per alimentare le sue forze da combattimento, stimate tra i 50mila e 80 mila uomini, lo Stato Islamico utilizza canali diversi da quelli necessari a far affluire armi alle sue cellule in Europa anche se la tipologia di armi leggere è la stessa in modo che i foreign fighters addestrati a combattere e a uccidere in Siria impugnando per lo più kalashnikov possano trovare le stesse armi quando compiono stragi nelle città europee.
Le forze armate di Abu Bakr al-Baghdadi hanno acquisito i loro equipaggiamenti pesanti, come carri armati, artiglieria e cingolati, saccheggiando le basi strappate alle truppe siriane e irachene. Sono, infatti, di preda bellica migliaia di veicoli Hummer, i carri armati Abrams e T.-55, i cingolati BMP-1 e gran parte dei cannoni e dei lanciarazzi campali del tipo BM-21 (le famigerate “katyusha”) in parte distrutti dai raid aerei della Coalizione e russi. Nella caserme strappate agli eserciti di Baghdad e Damasco sono state rinvenute migliaia di tonnellate di munizioni e armi portatili incluse mitragliatrici russe e fucili M-16 statunitensi, ma anche missili antiaerei portatili Sa-14 e anticarro Konkurs e Kornet. A questi imponenti arsenali si aggiungono le armi fatte affluire ai ribelli siriani (ufficialmente solo a quelli “moderati”) da Turchia, Stati Uniti, Qatar, Emirati e Arabia Saudita che in realtà hanno armato i gruppi jihadisti come lo Stato Islamico e i qaedisti del Fronte al-Nusra, fornendo loro armi antiaeree come i missili cinesi HQ-5, fucili e lanciagranate croati, imbracciando i quali le truppe del Califfo hanno espugnato l’anno scorso Mosul.
Anche la Turchia non sarebbe estranea a questi traffici e non solo perché ha favorito il transito sul suo territorio delle armi provenienti dalle monarchie del Golfo, ma perché Ankara stessa avrebbe girato all’Isis carichi di armi e munizioni, come hanno denunciato alcuni video diffusi dall’opposizione. Pare che anche oggi una parte dei carichi di petrolio esportati clandestinamente dallo Stato Islamico in Turchia vengano barattati con armi e munizioni, anche per questo i jet di Mosca hanno accelerato le operazioni per trovare e distruggere le autocisterne che garantiscono al Califfo incassi valutati 1,5 milioni di euro al giorno. L’ultimo anno e mezzo di guerra ha dimostrato che riserve di armi e munizioni non sono certo venute meno ai reparti dell’Isis, nonostante le battaglie sostenute e i bombardamenti effettuati sui depositi individuati dalla Coalizione.
Rifornire di armi le cellule terroristiche in Europa significa invece dover puntare decisamente sui trafficanti balcanici che alimentano a Parigi e Bruxelles i più ampi mercati di armi clandestine dell’Europa occidentale. Le due capitali sono, infatti, al centro di un traffico che sembra ammontare in tutta la Ue a mezzo milione di armi non denunciate di cui solo una minima parte sono da guerra. Appena il 5% secondo la Gendarmerie francese: un mercato di nicchia cui è interessata l’élite della criminalità e i terroristi che, impugnando armi da guerra, godono di un vantaggio tattico nei confronti delle forze di polizia solitamente dotate di armi meno potenti. Non è un caso che il volume di fuoco e il potere d’arresto del Kalashnikov lo abbiano reso l’arma preferita dai rapinatori di furgoni postali la cui blindatura leggera non resiste al fuoco diretto e ravvicinato di un AK-47.
Un kalashnikov che in Kosovo si può acquistare con 450 euro circa, a Bruxelles o Parigi è quotato tra i 2mila e i 2500. Meno nel caso dei fucili albanesi copie dei kalashnikov cinesi, di più se si cercano armi come gli AK-103 utilizzati dai fratelli Kouachì nell’attacco alla redazione di Charlie Hebdo. La rotta balcanica è ancora oggi quella che fornisce il maggior numero di armi da guerra al mercato francese e le organizzazioni sono in molti casi le stesse che gestiscono il mercato della droga e dell’immigrazione illegale. Secondo i rapporti francesi le armi vengono contrabbandate in piccoli numeri, tre o quattro per volta, spesso smontate e solitamente a bordo dei camion che dai Balcani attraversano l’Europa via Austria, Germania o Nord Italia.
Non è chiaro se si tratti solo di affari o se i trafficanti balcanici che riforniscono di armi i jihadisti lo facciano anche per condivisione ideologica. Non ci sarebbe da stupirsi considerando la capillare penetrazione dell’Islam in Bosnia, Albania e Kosovo grazie agli investimenti negli affari sociali e religiosi da parte delle monarchie del Golfo.