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MEDIO ORIENTE

Arabia Saudita, il muro di cui nessuno parla

L'Arabia Saudita è notoriamente in prima fila, fra i paesi arabi e islamici, quando si tratta di condannare il "muro antiterrorismo" israeliano. Pochi sanno, però, che l'Arabia Saudita ne ha costruito uno simile, lungo un migliaio di chilometri, al confine con lo Yemen. E ora ne ha costruito un altro al confine con l'Iraq, per paura dell'Isis.

Esteri 22_01_2015
Barriera saudita

Dovrebbe essere il custode dei luoghi più sacri dell’islam, ma paradossalmente l’Arabia Saudita continua a costruire muri lungo le sue lunghissime frontiere per proteggersi dai miliziani sunniti che accusano il trono di Riad di corruzione e di collaborare con gli Occidentali infedeli.

In prima fila nel criticare il “muro antiterrorismo” realizzato da Israele per dividere il suo territorio da quello palestinese in Cisgiordania, i sauditi cominciarono a costruire dieci anni or sono il primo “vallo” lungo i mille chilometri di frontiera con lo Yemen da dove si infiltravano predoni e miliziani di al-Qaeda.

Nonostante l’impiego di bombardieri Tornado e forze speciali che si spingevano ben all’interno del territorio yemenita per colpire i santuari dei terroristi, i sauditi non sono mai riusciti a debellare le milizie tribali e qaediste e per arginarne la penetrazione, ritenuta la causa di molti sanguinosi attentati in diverse città del regno, hanno realizzato uno sbarramento molto sofisticato composto da larghi fossati che impediscono il passaggio di veicoli, reticolati, torrette con armi automatiche, sensori che rilevano il movimento e, secondo alcune fonti, campi minati.

Una barriera presidiata da migliaia di uomini della Guardia Nazionale, corpo che costituisce un vero e proprio “secondo esercito” saudita. Composta 100mila uomini su 8 brigate più 25mila volontari della “milizia tribale” suddivisa in 24 battaglioni, la Guardia Nazionale dispone di veicoli leggeri, blindati Lav-25 (gli stessi dei Marines statunitensi) ma anche artiglieria e missili anticarro. Il nuovo fronte d’impiego di questo esercito, che costituisce il braccio militare ad uso interno della monarchia saudita, è il confine con l’Iraq divenuto bollente dopo che la provincia irachena di al-Anbar è caduta quasi interamente sotto il controllo dello Stato Islamico.

Cuore della rivolta sunnita negli anni 2004-2007 contro i militari statunitensi e il governo sciita di Baghdad, la provincia di al-Anbar è divenuta negli ultimi mesi fonte di grandi preoccupazioni per Riad come dimostrano un paio di attacchi suicidi (ma pare che altri siano stati taciuti) contro le postazioni saudite di frontiera che hanno provocato la morte di 3 militari. L’impossibilità di pattugliare costantemente quasi mille chilometri di frontiera ha indotto Riad a dare il via alla costruzione di una nuova barriera costituita anch’essa da un sistema complesso di sbarramenti e sensori su ben cinque linee, presidiato da 30 mila uomini della Guardia Nazionale inclusi reparti mobili in grado di fronteggiare penetrazioni in forze dei miliziani.

Una decisione non priva di aspetti contraddittori innanzitutto perché la barriera potrà forse tenere lontano i terroristi dello Stato Islamico ma non certo i loro principi ispiratori, condivisi dalla gran parte dell’opinione pubblica saudita. Vale la pena ricordare che nel settembre scorso, quando l’Arabia Saudita ed altri emirati del Golfo aderirono alla Coalizione contro il Califfato, un sondaggio evidenziò come il 97% dei cittadini sauditi intervistati ritenesse che lo Stato Islamico applicasse correttamente i dettami dell’Islam, nonostante il governo accusasse il Califfato di rappresentarne un’aberrazione politica e religiosa.

Non è un caso che dopo i primi raid aerei degli F-15 sauditi sulle postazioni dell’IS in Siria siano giunte minacce a piloti e comandanti militari, accusati di fare la guerra ai fratelli sunniti invece che al regime alauita (sciita) siriano e agli infedeli determinando un blocco quasi totale alla diffusione delle informazioni sulle operazioni militari effettuate dai velivoli sauditi.

Utile anche ricordare che attraverso la frontiera saudita-irachena sono transitati per anni aiuti di ogni tipo (gestiti dalle organizzazioni wahabite di Riad secondo alcune fonti d’intelligence) agli insorti sunniti che combattevano il governo iracheno che infatti ha sempre accusato le monarchie del Golfo di alimentare il terrorismo e ancor oggi non si fida di re ed emiri al punto che i jet sauditi e degli altri Stati arabi non operano sul territorio iracheno ma solo su quello siriano.

Inoltre le controffensive con cui Baghdad cerca di riconquistare i vasti territori perduti l’estate scorsa sono tutte concentrate ben lontano dal confine saudita a dimostrazione che al governo iracheno (e ai suoi alleati iraniani) certo non dispiace se lo Stato Islamico continua a creare problemi a Riad.

I sauditi ne sono consapevoli e non a caso i lavori di costruzione del “muro”, lungo oltre 800 chilometri, sono iniziati in settembre, cioè in concomitanza con l’inizio delle operazioni aeree saudite contro il Califfato in Siria e un mese dopo l’avvio dei raid statunitensi in Iraq.

In termini politici il “muro” evidenzia la debolezza di Riad nei confronti di una “creatura” che i sauditi stessi hanno contribuito a far crescere mentre il tentativo di isolarsi dai suoi vicini arabi e islamici cozza con il fatto che l'Arabia è custode dei due più importanti luoghi santi dell'islam, Mecca e Medina, meta di pellegrinaggi annuali per tutti i musulmani del mondo.

Secondo alcuni analisti il Califfato punta a espandersi nell’area del Golfo non solo per le immense ricchezze petrolifere, ma anche perché in questa regione può contare sulla simpatia di molti abitanti. Del resto, secondo Newsweek, le violenze compiute da estremisti sunniti sauditi contro la minoranza sciita nella provincia orientale di al-Awamiya dimostrano che in molti stanno raccogliendo l’appello del califfo Abu Bakr al-Baghdadi ad attaccare sciiti e infedeli ovunque possibile.

Un campanello d’allarme per la monarchia saudita già minata da un difficile percorso di successione al Abdullah ibn Abdilazīz, considerato da Forbes l’ottavo uomo più potente del mondo ma prossimo a compiere 91 anni. La minaccia dello Stato Islamico rischia in prospettiva di diventare la minaccia numero uno per le monarchie petrolifere del Golfo che da anni si preparano a un conflitto con l’Iran con massicci e miliardari acquisti di armi occidentali.

Il nemico invece se lo ritrovano in casa ed è sunnita: una sorta di figlio ribelle che combatte sotto le bandiere del Califfato. Non è difficile immaginare quale impatto strategico ed economico potrebbe avere la conquista della Penisola Arabica da parte delle milizie jihadiste. Non è casuale che il Gulf Cooperation Council, l’alleanza militare tra gli emirati del Golfo che nel 2011 intervenne in Bahrein per debellare la rivolta sciita, si stia strutturando per gestire insurrezioni e minacce alla stabilità interna più che conflitti contro nemici esterni.