Appunti per il Sinodo: il metodo della "via stretta"
Divorzio, ricchezza, eucarestia: Gesù si mostra sempre intransigente con chi lo segue indicando «la via stretta», l'unica che rispetta la verità dell'uomo. La tentazione di annacquare i Suoi insegnamenti c'è sempre stata tra i cristiani, ma la Chiesa Cattolica Romana, davanti al bivio, ha sempre scelto la "via stretta". Così con Enrico VIII, così con la Humanae Vitae.
«Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (Mt 7,13-14). Gesù nei suoi insegnamenti indica sempre “la via stretta”, al punto che spesso suscita lo stupore dei suoi stessi discepoli.
Interrogato, ad esempio, sulla questione del divorzio, ammesso dalla legge giudaica, Gesù indica la via stretta dell’indissolubilità del matrimonio, senza eccezioni (Mt 19,3-9). Il suo insegnamento è così chiaro e così netto che i suoi discepoli obiettano con un ragionamento tutto umano (e maschilista): «Se è questa la condizione dell’uomo rispetto alla donna [cioè se l’uomo non può cambiare donna quando gli conviene], allora non conviene sposarsi!» (Mt 19,10).
Anche rispetto alle ricchezze Gesù indica la via stretta: «Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33). E parlando più in generale afferma solennemente: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Mt 19,23-24). Il che significa che è praticamente impossibile. Anche qui i discepoli cercano di addolcire l’insegnamento, considerato troppo esigente: «A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: “Chi si potrà dunque salvare?”. E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile”» (Mt 19,25-26). Cioè se un ricco si converte a Dio, allora lascia l’idolo delle ricchezze e potrà salvarsi.
Parimenti, a proposito dell’eucaristia, Gesù usa un linguaggio giudicato troppo duro e difficile da accettare. Aveva detto infatti: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita» (Gv 6,53). E come reagirono «molti dei suoi discepoli»? Obiettando: «Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?» (Gv 6,60). Anche qui Gesù prende la “via stretta”, al punto che «da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui» (Gv 6,66).
Gesù, secondo i nostri ragionamenti umani, avrebbe potuto dire: “Scusate, avete capito male; io intendevo parlare in modo simbolico...”. Invece rincara la dose, e dice ai Dodici: «Forse volete andarvene anche voi?». Ed è allora che Pietro, a nome di tutti, fa la sua professione di fede: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,67-69).
In definitiva, Gesù non ha reso i comandamenti più larghi, ma più esigenti, come dimostra tutto il “discorso della montagna” (Mt 5-7). Nell’indicare come devono essere affrontate le situazioni di conflitto, egli mostra senza mezzi termini la via più stretta: «Avete inteso che fu detto: ‘Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico’; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Mt 5,43-44). Se poi andiamo alle condizioni che Gesù pone a chi vuole seguirlo, ci accorgiamo che non solo egli indica una via stretta, ma per di più “in salita”: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24).
La tentazione di “annacquare” gli insegnamenti di Gesù è sempre stata presente tra i cristiani lungo i secoli, ora su un punto, ora su un altro, a secondo delle pressioni della mentalità del “mondo”. Bisogna onestamente riconoscere che solo la Chiesa Cattolica Romana (e qui ci vuole questo aggettivo!), quando si è trovata di fronte a un bivio, ha sempre scelto la via stretta. Solo essa, ad esempio, ha mantenuto l’impegno della continenza e del celibato per i ministri ordinati (vescovi, presbiteri e diaconi), nonostante le reali difficoltà e le numerose defezioni rappresentate dai preti che vivevano in concubinato.
Con il re d’Inghilterra Enrico VIII sarebbe stato più facile trovare un compromesso circa la validità del suo primo matrimonio, ma sarebbe stato negare la verità del Vangelo, e così il papa Paolo III prese la via stretta, anche se ciò comportò che l’Inghilterra si staccasse da Roma, dando origine alla Comunione Anglicana. Messo di fronte al bivio se dichiarare moralmente lecita la contraccezione oppure no, Paolo VI nel 1968 con la Humanae vitae scelse la via stretta, nonostante che ci fosse un’enorme pressione fuori e dentro la Chiesa perché quella pratica fosse dichiarata lecita.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Eppure Gesù ha detto che il suo “giogo è dolce”, e il suo “carico è leggero”, e seguendo lui le anime si sarebbero trovate appagate (cf. Mt 11,28-30). Nessuno infatti conosce la natura umana più del suo Creatore, così come – per usare un paragone oggi comprensibile a tutti – nessuno conosce meglio un programma per computer del suo programmatore. Il Logos creatore aveva messo nel programma dell’umanità il raggiungimento dell’eterna felicità, ma l’uomo, creato libero, ha preferito dare ascolto ai messaggi di un programmatore Antagonista, rimanendo così infettato dai suoi virus. Per liberare l’uomo da questi virus mortiferi, è dovuto intervenire il Programmatore in persona, che è Gesù. Perciò i suoi insegnamenti, per quanto esigenti, sono “vie che portano alla vita”, trasmessi da uno che “conosce che cosa c’è nell’uomo” (Gv 2,25), uno che è divina Sapienza, infinita Sapienza, eterna Sapienza.
Solo così si capisce perché Gesù sia stato talmente intransigente sulla questione del divorzio, richiamando ciò che Dio aveva stabilito all’inizio, cioè nel programma originario. In quella intransigenza, infatti, è racchiusa tutta una precisa visione dell’uomo che concerne la sua sessualità, la vera parità dei sessi, il mistero dell’unione sponsale, la stabilità della famiglia, il bene dei figli, e di conseguenza anche il bene di tutta la società. L’indissolubilità del matrimonio non è dunque una questione peregrina, che Gesù ha posto così per capriccio, un giorno nel quale si era svegliato un po’ storto, ma è una questione sulla quale si fonda o cade tutta la società umana.
Ma, qualcuno potrebbe dirmi, lei non tiene conto dei problemi concreti della gente? Delle coppie che scoppiano? Delle convivenze divenute impossibili? Degli amori falliti? Pensa forse che sia un divertimento divorziare, per rifarsi una vita?
Rispondo dicendo che è vero, ci sono situazioni difficili, a volte molto ingarbugliate, con dei nodi che sembra impossibile sciogliere. Ma per questo c’è la pastorale, l’arte di curare le anime, cominciando anzitutto con il togliere i virus (che sono i sette vizi capitali). Se i modelli sociali si spostano sempre di più su forme esasperate di individualismo, la fede invece fa scoprire la bellezza del vivere “in comunione”, cominciando dalla famiglia e dalla comunità parrocchiale, anche se è la “via stretta” della croce.
Ma è possibile andare così contro-corrente? Qui vale il detto di Gesù: “Per gli uomini è impossibile, ma per Dio tutto è possibile”. Ciò significa che non si può essere veri uomini senza l’adesione al vero Dio. Non è allargando le maglie della morale che si fa del bene alle persone in difficoltà. Il fatto è che oggi si tende a confondere la misericordia, che è uno degli attributi più belli di Dio, con il permissivismo. Gesù ha detto all’adultera: “Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11), ma ha condannato l’adulterio. La misericordia suppone la coscienza del peccato, non la sua giustificazione. Se non c’è più il peccato non c’è più neppure il perdono. Il peccato è un brutto tiranno, che cerca di nascondersi dietro false promesse. È un padrone che ti paga, anzi promette di pagarti bene, ma, come dice san Paolo, il suo salario è la morte (Rm 6,23). Per questo noi pastori non possiamo tacere, se amiamo veramente le persone che Dio ci ha affidate.