Apostoli gay e Maddalena lesbo, deliri da vescovo
«Non sappiamo se qualcuno dei discepoli era mariconcito (gay) o la Maddalena era una lesbica». Sono parole pronunciate dal Presidente della Commissione per la Vita della Chiesa cattolica colombiana, monsignor Juan Vicente Córdoba in un forum promosso dalla comunità Lgbt. Le incredibili affermazioni di monsignor Cordoba.
«Non sappiamo se qualcuno dei discepoli era mariconcito (gay, NdA) o la Maddalena era una lesbica. Sembra di no perché molti sono passati tra le sue gambe». Un linguaggio che fa tristezza a doverlo riportare, ma anche questa è cronaca. Sono parole pronunciate dal Presidente della Commissione per la Vita della Chiesa cattolica colombiana, monsignor Juan Vicente Córdoba nel corso di un forum promosso dalla comunità Lgbt presso l'Università delle Ande.
Con un linguaggio a dir poco sorprendente il vescovo ha detto la sua sul tema dell'omosessualità. «Nessuna attrazione è male. Quando diciamo che un omosessuale è un peccatore, io direi che lo stesso si può dire, o non dire, di un eterosessuale. Io direi: i fratelli omosessuali quando si sposano hanno quello che noi chiamiamo fedeltà e formano i loro figli con amore». Un florilegio di espressioni che va ben oltre il tormentone papale del «chi sono io per giudicare» un gay, spesso banalmente estrapolato da un discorso più ampio pronunciato dal pontefice sul volo di ritorno dalla GMG di Rio. Ma monsignor Cordoba, oltre ad alcune affermazioni dal sapore tendente all'ovvio, tipo quella per cui «non importa se si è omosessuali o transessuali o vescovi, quello che importa è la dignità umana», dà altre indicazioni che puntano verso altri lidi. «Lasciamo scegliere ai bambini», ha detto parlando delle adozioni alle coppie gay, «non possiamo decidere per loro. Un bambino abbandonato per esempio, noi gli possiamo dare due papà o due mamme, dopo che hanno perso la loro mamma e il loro papà».
Un classico ragionamento giocato sul filo del pietismo, ma che punta oltre. Perché, secondo il ragionamento del vescovo colombiano, sarebbe indifferente ai fini educativi (e non solo) la presenza di una mamma e un papà, di un maschio e una femmina. Una visione che si discosta molto da quella che lo stesso Papa Francesco ha ribadito lo scorso 15 aprile. «L’esperienza», disse il Papa nell'udienza generale del mercoledì, «ce lo insegna: per conoscersi bene e crescere armonicamente l’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna. Quando ciò non avviene, se ne vedono le conseguenze». Ma per monsignor Cordobà la battaglia per il matrimonio gay «non è una battaglia tra pene e vagina (letterale nella dichiarazione, ndA)», ma è una questione seria che «spetta alla Alta Corte o al Congresso». Perché, bontà sua, anche se «il matrimonio è [solo] tra un uomo e una donna», tuttavia «due uomini o due donne possono vivere insieme» e per questo c'è «profondo rispetto, non possiamo giudicare nessuno». E poi, secondo quello che riportano i quotidiani colombiani, si è spinto oltre dichiarando che «le unioni omosessuali non le consideriamo peccato, anche se per la chiesa non le possiamo chiamare matrimonio». Affermazioni che stridono se messe in rapporto con la dottrina della Chiesa espressa nel Catechismo.
Bisogna riconoscere che la confusione delle dichiarazioni del vescovo colombiano sembra regnare anche nelle menti e nei cuori di molti cattolici del centro-nord Europa. Per rendersene conto basta leggere i documenti che in questi giorni sono stati diffusi da alcune Conferenze episcopali, in merito alle risposte fornite al questionario in vista del Sinodo sulla famiglia. In particolare, i fedeli della Germania e della Svizzera sono stati molti chiari nel chiedere un’evoluzione darwiniana della dottrina e della prassi della Chiesa, arrivando a sdoganare non solo l'eucaristia per i divorziati risposati, ma anche la benedizione della coppie gay in chiesa e il sesso prematrimoniale (questo solo gli svizzeri). A leggere questi report, e le dichiarazioni del vescovo colombiano, ci si trova di fronte a qualcosa che va molto oltre la misericordia che occorre mettere in campo verso le coppie ferite, o il rispetto dovuto a tutte le persone in quanto tali. Una pastorale rinnovata non può prescindere da quanto ha ricordato Papa Francesco ai vescovi del Benin lo scorso 27 aprile. «So», ha detto il pontefice, «che la pastorale del matrimonio resta difficile, tenuto conto della situazione concreta, sociale e culturale, del vostro popolo. Bisogna però non scoraggiarsi, ma perseverare senza posa, poiché la famiglia che la Chiesa cattolica difende è una realtà voluta da Dio».