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TURCHIA

Ankara, ipotesi su un massacro di curdi

E’ strage ad Ankara: due bombe esplose nel mezzo di una manifestazione pacifista nella capitale turca hanno provocato la morte di 86 persone e il ferimento di altre 200, di cui una trentina versano in gravi condizioni. Gli attentatori volevano colpire i curdi. La prima bomba è esplosa nel troncone del corteo del partito Hdp. E mancano tre settimane al voto.

Esteri 11_10_2015
Ankara, dopo la strage

E’ strage ad Ankara: due bombe esplose nel mezzo di una manifestazione pacifista nella capitale turca hanno provocato la morte di 95 persone e il ferimento di altre 200, di cui una trentina versano in gravi condizioni. Il bilancio è ancora provvisorio e potrebbe aumentare nelle prossime ore. Nessuna rivendicazione, al momento, ma l’obiettivo è chiaro: i curdi e in particolar modo il loro partito Hdp, il quarto per dimensioni in Turchia e in piena campagna elettorale per il voto di novembre.

Ci sono due precedenti quasi analoghi negli ultimi mesi. Il primo è quello della strage di Diyarbakir, del 5 giugno scorso, alla vigilia delle elezioni, quando una bomba esplose nel corso di un comizio del partito Hdp stroncando la vita a 4 persone e ferendone 400. Il secondo precedente è quello del massacro di Suruç, del 21 luglio, nella Turchia sudorientale, dove un attentatore suicida dell’Isis, facendosi detonare in mezzo a una manifestazione curda a favore di Kobane, ha provocato la morte di 30 persone. Nel primo caso si è trattato di un chiaro atto intimidatorio di nazionalisti contro un partito curdo in piena ascesa. Nel secondo, invece, è l’Isis che ha proseguito il suo assedio di Kobane anche in territorio turco. Entrambi gli attentati hanno contribuito a far scoppiare di nuovo la guerriglia curda nell’Anatolia orientale. Il Partito dei Lavoratori Curdi (Pkk) ha puntato il dito contro il governo di Ankara, anche nel secondo attentato di chiara matrice jihadista, perché accusa Erdogan di collaborare segretamente con l’Isis per colpire il nemico curdo, comune a entrambi. Dopo due mesi di scontri, la manifestazione di ieri era una protesta contro la violenza governativa e un invito a tornare a una soluzione di pace. 

La strage ad Ankara è dunque la più grave in quest’ultima stagione del terrore, sia per il numero delle vittime che per la scelta dell’obiettivo, nel cuore del potere turco. Considerando il momento in cui avviene, a tre settimane da voto, il bersaglio che ha colpito (la prima bomba è esplosa nel troncone dell’Hdp del corteo pacifista) e il contesto di quasi-guerra civile in cui avviene, sono aperte due ipotesi principali sul mandante: nazionalisti turchi o Isis. Fonti di informazione curde parlano di “strategia della tensione” dei servizi segreti, con un linguaggio ben conosciuto anche qui in Italia. Testimoni curdi affermano come la polizia sia intervenuta immediatamente dopo lo scoppio delle bombe: lanciando cariche e lacrimogeni contro i manifestanti (quelli sopravvissuti) e rallentando così anche i soccorsi. Si dice anche che i cittadini che sono accorsi negli ospedali a donare sangue per i feriti, siano stati allontanati dalla polizia. Si tratta, chiaramente, di fonti di parte (e di una parte che è praticamente in guerra), dunque vanno prese con beneficio di inventario.

Ma è innegabile che il governo turco abbia adottato contromisure drastiche, blindando Ankara con un imponente schieramento di polizia anti-sommossa, censurando i media, impedendo che venissero diffuse le immagini dell’attentato. Ovviamente, nell’era di Internet, questo divieto è stato aggirato e sia foto che video sono giunte anche in Italia in abbondanza. Ma il tentativo di porre una cappa di silenzio sugli eventi di ieri getta un’altra ombra di sospetto sul ruolo del governo di Ankara. Il ministro degli Interni Mukerrem Unluer ha annunciato che non si dimetterà, perché non vi sarebbe stata alcuna falla nella sicurezza di Stato. Dunque lo Stato era consapevole di quel che si stava preparando e non ha voluto prevenirlo? Sono tante le ambiguità nella reazione del governo turco. E possono avere conseguenze molto gravi, se i curdi, sentendosi schiacciati da Ankara, dovessero rilanciare con una nuova ondata di violenze. I partiti curdi per ora reagiscono solo con il lutto e con un ritiro unilaterale. L’Hdp ha cancellato tutti gli eventi elettorali in programma nelle prossime settimane. E sul fronte armato, il Pkk, subito dopo la strage, ha proclamato un cessate il fuoco unilaterale per evitare scontri. Non è detto, però, che questa tregua continui di qui al 1 novembre, giorno del voto.

La strage di Ankara avvicina quella che potrebbe essere la “tempesta perfetta” della Turchia: elezioni anticipate per troppa frammentazione parlamentare (e perché Erdogan non ha mai, di fatto, accettato di aver perso la maggioranza a causa di un partito curdo come l’Hdp), un’economia che rischia di entrare in crisi, una rinnovata guerriglia con i curdi, un braccio di ferro ancora in corso con la Russia (per lo sconfinamento di aerei russi dalla Siria), la minaccia costante di infiltrazioni dell’Isis e due milioni di rifugiati siriani presenti in territorio turco.