Anita non può (per natura) avere due mamme
Una consigliera comunale milanese del Pd scrive a Renzi per chiedere di riconoscere la sua "famiglia", formata dalla compagna e dalla figlia Anita. Ma la piccola, avuta da fecondazione artificiale, non può essere considerata sua figlia. È la natura stessa a provarlo.
L’ossessiva propaganda mediatica omosessualista colpisce ormai a ritmo quotidiano. L’ultima notizia alla ribalta della cronaca, pubblicata dal Corriere della Sera, ha per oggetto la lettera che il consigliere comunale di Milano, Rosaria Iardino del PD, ha scritto al Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi. Ecco il testo:
«Caro Presidente, sono una tua collega di partito e sono omosessuale. In questo 17 maggio, la giornata internazionale contro l’omofobia. ti vorrei raccontare il più bel sogno della mia vita, che ho realizzato solo in parte ma che mi piacerebbe veder completo, con la consapevolezza che ancora molto c’è da fare.
La mia famiglia è la metà compiuta ed è sicuramente la cosa più importante che io abbia; la mia compagna Chiara e la piccola Anita, nostra figlia, concepita attraverso la procreazione medicalmente assistita, sono il mio universo. Questa è una famiglia, caro Presidente, ma c’è un’altra metà del cielo ancora tutta da conquistare. Riguarda i diritti civili che a questo nucleo e a tutte le famiglie omogenitoriali vorrei fossero pienamente riconosciuti; vorrei che tutti godessero delle stesse prerogative che attualmente sono ad appannaggio delle sole famiglie eterosessuali.
Caro Presidente ti invito a guardare quello che è stato fatto a Milano anche col mio contributo, visto che dal settembre scorso siedo tra i banchi del Consiglio comunale, in quota al partito di cui siamo entrambi componenti. A Milano esiste un Registro delle unioni civili, come sai bene. Che ce ne sia uno nella mia città e in tante altre è un grande passo avanti, ma non basta. Manca naturalmente un riferimento nazionale, una normativa che accomuni tutto il paese, una regolamentazione generale che valga allo stesso modo dalle Alpi alla Sicilia. Caro Presidente, ci avevi promesso il varo di una Civil partnership nazionale e sono certo che manterrai la tua parola, ma evidentemente anche tu aspetti che una tua fetta di cielo si realizzi per dar seguito a tutto questo.
Con questa mia ti voglio però ricordare che sono migliaia le famiglie che fiduciose attendono. So che non ci deluderai e che forse farai ben più di quello che hai anticipato. A tal proposito, ti vorrei ora raccontare un paradosso che mi riguarda personalmente: in quanto Consigliere comunale, posso sposare ma non posso contrarre matrimonio con la mia compagna. Eppure non vedo differenze tra noi e le coppie eterosessuali che vengono davanti a me a siglare la loro unione.
Quando nel salone di Palazzo Reale di Milano dedicato alle cerimonie, sento pronunciare dai futuri marito e moglie quel fatidico “sì”, ho un salto al cuore. Mi immagino al loro posto assieme a Chiara e di questo sogno per un istante mi sazio. Poi mi risveglio in un paese dove tutto questo è proibito, dove qualcuno ancora ritiene il matrimonio una prerogativa delle sole coppie eterosessuali e dove la politica nazionale tergiversa o prende tempo.
Voglio allora che il mio Paese cambi, caro Presidente, e che quel sogno che ti dicevo, si realizzi pienamente. Un sogno, ti avverto, che non rimarrà mai più chiuso in un cassetto ma sarà posto, presentato ed urlato, nel caso, in faccia a tutti. Questo lo richiede anche il senso della giornata che stiamo ricordando.
Caro Presidente anche la mia è una famiglia; anche il mio è un matrimonio. Ora sta a te!».
Molte sarebbero le obiezioni da porre al contenuto di una simile lettera. A cominciare dal concetto di famiglia naturale. Ma l’aspetto che maggiormente emerge da quelle parole è come l’ideologia riesca a prevalere sulla biologia. Come si fa a negare l’evidenza che la piccola Anita sia nata da un gamete maschile ed un gamete femminile? Affermare che i suoi genitori (ossia i soggetti che l’hanno concepita) sono due donne, è un falso scientifico, prima che una follia sotto il profilo razionale. Anita non potrà mai avere due mamme, come sa bene l’ingegnosa burocrazia politicamente corrette che, infatti, ha dovuto coniare i neologismi “genitore 1” e “genitore 2”.
Con buona pace della consigliera Iardino che al Corriere della Sera, a proposito della figlia avuta dalla compagna Chiara con la procreazione assistita, ha dichiarato: «agli occhi dell’attuale sistema legislativo, io per la mia piccina non sono nulla, anche se, fortunatamente, le persone sono migliori delle leggi e quindi alla materna, con gli altri genitori, dal medico, io sono trattata come mamma di Anita a tutti gli effetti». E no, cara Iardino, come recita il titolo della celebre commedia teatrale di Vincenzo Salemme, “Di mamma ce n’è una sola”. E’ la natura a dirlo non la fede religiosa, e contra factum non valet argumentum.
Il punto è che questa mistificazione ha una precisa origine. Il disastro culturale, in realtà, è iniziato quando si è voluto separare l’unione dalla procreazione, cominciando con la contraccezione – come aveva lucidamente denunciato Paolo VI nell’enciclica Humanae Vitae – e si è concluso con la fecondazione artificiale. E’, infatti, la cosiddetta procreazione medicalmente assistita, il concepimento in laboratorio, la mancanza di un rapporto fisico, che crea l’illusione dell’assenza di un uomo o di una donna nel processo generativo. Ma è una mera illusione. Ora, si può anche umanamente comprendere il sentimento tra Rosaria Iardino e la sua compagna, ovvero tra due adulti pienamente coscienti e consenzienti. Quello che, invece, non si può accettare è consentire che quelle due donne possano ricorrere ala fecondazione artificiale per avere figli da allevare all’interno del loro rapporto di convivenza. A proposito, ora pare abbastanza evidente quale sia stato il vero obiettivo che ha indotto la Corte Costituzionale ad eliminare il divieto di fecondazione eterologa: dare figli a coppie come quella di Rosaria e Chiara.
Il punto è, però, che il sentimento non può mai prevalere sui diritti. È amore o egoismo quello che ha privato la piccola Anita del diritto ad avere un padre, del diritto a conoscere il proprio genitore biologico dal cui seme è nata, del diritto a conoscere le proprie origini, del diritto ad avere un’anamnesi che consenta di ricostruire le notizie necessarie alla tutela della sua salute, del diritto di sapere se ha fratelli o parenti per linea paterna?
Il cosiddetto “diritto al figlio” in realtà non solo non esiste, ma costituisce un capovolgimento di quei principi costituzionali che antepongono la tutela giuridica del nascituro alla soggettività del desiderio. Tra il capriccio dell’adulto e la tutela giuridica del nascituro, è sempre quest’ultima a dover prevalere. Oggi, invece, assistiamo ad una rivoluzione antropologica che intende sovvertire questi principi costituzionali, a danno dei soggetti più deboli e indifesi, celandosi dietro un inconsistente sentimentalismo in salsa rosa.