Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santi Innocenti a cura di Ermes Dovico
EDITORIALE

Animalisti, Greenpeace, femministe: tutti in letargo

Il test nucleare della Corea del Nord, la strage di ovini e caprini per la festa musulmana del Sacrificio; l'aumento delle violenze sessuali degli immigrati. I professionisti della protesta civile - i difensori degli agnelli a Pasqua, dei diritti delle donne e degli ecosistemi - hanno perso la voce. Perché qui rischiano di farsi male e di non guadagnarci nulla. 

Editoriali 04_09_2017
Festa del sacrificio

Potrebbe sembrare stucchevole unirci anche noi al gioco di “Dove sono…. adesso?”. E però gli ultimi giorni ci hanno offerto tre casi eclatanti che meritano una breve riflessione perché si tratta di capire alcuni meccanismi che stanno dietro alle cosiddette battaglie di civiltà.

Il primo caso riguarda la festa islamica “del sacrificio” o “dello sgozzamento”, che ricorda la prova di fede superata da Abramo e quindi il sacrificio del montone al posto di Isacco. Per l’occasione, anche in Italia nel fine settimana sono stati sgozzati (senza il previo stordimento previsto dalla legge sulla macellazione) decine di migliaia di capi di ovini, caprini o bovini come previsto dalla tradizione rituale. Silenzio generale.

Il paragone con quello che da anni ormai succede al tempo di Pasqua con le crociate per la salvezza degli agnelli e la promozione della dieta vegana è imbarazzante. Abbiamo ancora negli occhi l’immagine straziante di Silvio Berlusconi che allatta un agnellino e i volantini distribuiti con le accuse alla Chiesa cattolica di essere responsabile di tale strage. Non ci è stato neanche risparmiato, due anni fa, il comunicato del vescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, monsignor Michele Castoro (quando si dice che i nomi indicano un destino), che in risposta a un flash mob animalista ha voluto precisare che la strage di agnellini non c’entra nulla con la Pasqua cristiana, unendosi agli appelli degli animalisti. L’Ente Nazionale Protezione Animali ormai ogni anno promuove una raccolta di firme per chiedere lo stop al maltrattamento degli agnelli.

Per la festa del sacrificio, invece, silenzio. Niente campagna martellante, niente volantinaggi e flash mob davanti alle moschee, niente accuse agli imam, niente titoli sui giornali per i poveri ovini e caprini sacrificati. Solo qualche timido sussurro per lamentare il tipo di macellazione crudele degli animali. La pasionaria Maria Vittoria Brambilla, che ha anche fondato un partito animalista e ha fatto sceneggiate perfino per abolire il Palio di Siena, sul tema islam e animali al massimo dell’indignazione ha assicurato che si impegnerà per far approvare una legge che vieti la macellazione halal, ma solo «quando avremo i numeri in Parlamento». Cioè mai. In ogni caso al massimo si discute sulla modalità, non si prova neanche a mettere in discussione il sacrificio degli animali.

E cambiamo scenario, voliamo fino all’Oceano Pacifico, dove il simpaticone Kim Jong Un l'altra notte ha effettuato un test nucleare di rara potenza, con tanto di forte terremoto come conseguenza. Le reazioni sono quelle ufficiali delle grandi potenze interessate, ma la società civile? Dove sono i “guerrieri dell’arcobaleno” di Greenpeace che nel 1995 diedero l’assalto alle navi francesi che si apprestavano a dirigere il test nucleare nell’atollo di Mururoa (siamo sempre nel Pacifico) su ordine del neo presidente Jacques Chirac? Le proteste per quei test nucleari (furono poi gli ultimi effettuati dalla Francia) occuparono per settimane e mesi le prime pagine dei giornali di tutto il mondo.

Forse che la bomba di Kim è meno dannosa per l’ecosistema di quella di Chirac? Non si direbbe proprio vista la potenza e gli effetti dell'esplosione di ieri. Eppure, oggi nel Pacifico di questi “capitani coraggiosi” non ce ne è neanche uno. Dove saranno? Per pura coincidenza, proprio un mese fa, Repubblica, aveva trovato “capitan Greenpeace”, Peter Willcox, un reduce della battaglia di Mururoa. E indovinate? Con un’altra barca è in giro per il Mar Tirreno, impegnato nella “caccia alla plastica”.

A questi esempi si potrebbe aggiungere anche il caso di cronaca che ha tenuto banco la settimana scorsa, lo stupro di una turista polacca e di un trans a Rimini da parte di un quartetto di giovani (tre minorenni): due marocchini, un nigerino e un congolese. Anche qui, di fronte al ripetersi di violenze sessuali da parte degli immigrati, ecco il silenzio delle femministe, ma anche dei partiti di sinistra sempre così attenti nella difesa dei diritti delle donne.

Animalisti, ecologisti, femministe: battaglie diverse, in nome di una presunta civiltà, ma le stesse contraddizioni e soprattutto lo stesso interesse al proprio tornaconto ideologico. È anche curioso notare che si tratta di movimenti di pensiero che, nella loro forma radicale, affondano tutti le radici nei movimenti eugenetici di fine ‘800 e inizio ‘900 che tanto successo ebbero nel mondo anglosassone. Una stessa radice anti-umana, dunque.

E per quel che riguarda gli esempi citati sono rigidamente e astutamente selettivi, perché da una parte sottostanno al politicamente corretto (guai a rischiare accuse di razzismo o islamofobia) e dall’altra pensano alle loro tasche. Criticare una pratica islamica potrebbe diventare pericoloso, è gente che ha scarso senso dell’umorismo; non è mica come una manifestazione fuori da una chiesa che ti diverti anche a vedere il don Abbondio di turno cedere a qualsiasi ricatto. E non è che ci si guadagna voti in chiave di partito animalista. Anche sfidare Kim – e quindi la Cina – espone a rischi seri, non è mica così accomodante come un presidente francese. Gli assalti di venti anni fa a Mururoa hanno significato pochi giorni di arresto per qualche militante di Greenpeace ma a fronte di un successo mediatico internazionale che ha portato nelle casse di Greenpeace milioni e milioni di dollari. Se qualcuno oggi portasse le barche nella zona dei test nordcoreani rischierebbe di sparire negli abissi dell’Oceano a cavallo di un missile. E senza neanche campagne di opinione a proprio favore, figurarsi parlare di soldi offerti.

Molto più redditizia una campagna per liberare il Mediterraneo dalla plastica, condita da qualche slogan sui cambiamenti climatici. Queste sì che sono le vere emergenze planetarie.