Amore omo. Francesco confutato dalla Caritas in veritate
La verità, ricordava Benedetto XVI, libera la carità dalle strettoie di un emotivismo... che oggi sembra predominare nella Chiesa.
È fonte di profonda angoscia per il fedele cattolico sentire che Francesco parla di amore a sproposito. Perché l’amore (Caritas) è il cuore della fede cristiana avendo in Dio la sua origine. Ai tempi del Covid Francesco aveva detto che vaccinarsi è un atto di amore. La cosa non era assolutamente vera per i mille motivi che in seguito sono stati confermati senza ombra di dubbio. Alla base dell’equivoco stava la separazione dell’amore dalla verità. La logica, prima ancora della fede, invitava a non scambiare per amore l’ossequio ad un potere ingiusto, prepotente e bugiardo. Più di recente, nel suo libro autobiografico (Life: My Story Through History), egli chiama amore quello di una relazione omosessuale. Se ne è occupata di recente la testata The Catholic Thing in un suo articolo. Anche qui siamo davanti ad un amore senza verità, che quindi amore non può essere. Francesco, del resto, più e più volte aveva sostenuto la liceità di disciplinare giuridicamente le unioni civili omosessuali. Scomodare però addirittura la parola “amore” per una relazione irrispettosa, strumentale, violenta, distruttiva della famiglia e, quindi, delle relazioni sociali in quanto tali, è qualcosa di ancora peggiore.
Siccome questo è un blog di Dottrina sociale della Chiesa, invece di citare i molti documenti magisteriali che condannano senza appello queste uscite di Francesco, vogliamo riferirci alla Caritas in veritate, l’enciclica sociale di Benedetto XVI del 2009. «Sono consapevole degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico e, in ogni caso, di impedirne la corretta valorizzazione. In ambito sociale, giuridico, culturale, politico, economico, ossia nei contesti più esposti a tale pericolo, ne viene dichiarata facilmente l'irrilevanza a interpretare e a dirigere le responsabilità morali. Di qui il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da san Paolo, della "veritas in caritate" (Ef 4,15), ma anche in quella, inversa e complementare, della "caritas in veritate". La verità va cercata, trovata ed espressa nell'"economia" della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità. In questo modo non avremo solo reso un servizio alla carità, illuminata dalla verità, ma avremo anche contribuito ad accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale. Cosa, questa, di non poco conto oggi, in un contesto sociale e culturale che relativizza la verità, diventando spesso di essa incurante e ad essa restio».
«Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l'intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale. Nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico, che è insieme "Agápe" e "Lógos": Carità e Verità, Amore e Parola».
Perché Francesco dimentichi queste cose è fonte di angoscioso turbamento.