Ambasciatore gay in Vaticano? Non si può
Lungo silenzio della Santa Sede dopo che il governo francese ha proposto come proprio ambasciatore in Vaticano un gay dichiarato. La stampa francese parla di rifiuto da parte del Papa, con relative polemiche. Ma questo sarebbe in accordo con il Catechismo della Chiesa e con la necessità di non avallare le rivendicazioni della lobby gay.
Il 5 gennaio scorso il Consiglio dei Ministri lo aveva nominato per divenire Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, ma su quel nome il Vaticano ha risposto con un grande silenzio. Anzi, ad ascoltare i rumors che arrivano dalla stampa d'oltralpe sembra che ci sia stato un vero e proprio rifiuto. Fatto sta che il suo predecessore, Bruno Jouvert, ha fatto bagagli e burattini il primo marzo, ma dopo più di un mese i sacri palazzi non hanno ancora fatto sapere se accetteranno o meno la nomina.
Il diplomatico scelto dal governo Hollande è Laurent Stefanini, 55 anni, già conosciuto all'interno dei sacri palazzi: dal 2001 al 2005, infatti, è stato primo consigliere dell’Ambasciata presso la Santa Sede. Un curriculum di tutto rispetto, a cui va aggiunto che Stefanini è apertamente gay. Per questo la sua candidatura, proposta dal laicissimo governo Hollande, è stata definita “provocatoria”. Mentre vari siti e associazioni del mondo LGBT hanno già fatto partire la litania sull'omofobia della Santa Sede.
Eppure il cardinale di Parigi, André Vingt-Trois, nel Concistoro di febbraio avrebbe consegnato una lettera al Papa per sostenere la candidatura Stefanini, e lo stesso avrebbe fatto il cardinale camerlengo Jean-Louis Tauran. Insomma una cordata pro-Stefanini esiste anche in seno alla Chiesa, però non sembra aver ottenuto nulla. Secondo alcuni sarebbe proprio il Papa ad aver preso la ferma decisione di non accettare la proposta francese.
Già in un’altra occasione il Vaticano aveva rifiutato la candidatura di ambasciatore proposta dal governo francese: eravamo tra il 2007 e il 2008 all'epoca del governo Sarkozy e con papa Benedetto XVI. In quel caso il candidato era Kuhn-Delforge, un gay convivente in una unione registrata secondo i PACS previsti dalla normativa francese. Il quotidiano francese le JDD sottolinea che per uscire dall'impasse della candidatura Stefanini sarebbe già in circolazione una terna di nuovi nomi da sottoporre al Vaticano.
Contro questa candidatura si era mosso anche Ludovine de la Rochere, presidente della Manif pour Tous, che ai primi di febbraio era intervenuto direttamente con il Nunzio Apostolico per fargli sapere della contrarietà del suo movimento rispetto a questa proposta del governo francese.
Questa la cronaca. Intanto si sprecano i commenti su questo presunto rifiuto che verrebbe direttamente da parte del Papa del “chi sono io per giudicare” i gay. «Se una persona è gay – disse Francesco sull'aereo di ritorno da Rio - e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega in modo tanto bello questo...». Il primo punto da sottolineare è il richiamo al Catechismo: infatti basta leggerlo per capire cosa pensa la Chiesa sul tema, e Francesco ha sempre detto di essere in tutto «un figlio della Chiesa».
Ma, forse, una chiave di lettura per comprendere la questione dell'ambasciatore francese, può venire dalla frase successiva di quella risposta del Papa. Anzi, è bene ricordare anche la domanda che fece la giornalista Ilza Scamparini: «Come Sua Santità intende affrontare tutta la questione della lobby gay?», chiese con un certo ardire. «Il problema - rispose il Papa - non è avere questa tendenza, no, dobbiamo essere fratelli (...) Il problema è fare lobby di questa tendenza: lobby di avari, lobby di politici, lobby dei massoni, tante lobby. Questo è il problema più grave per me».
Il silenzio di Francesco dunque pare indicare il timore in Vaticano che un ambasciatore omosessuale non porti solo le ambasciate del proprio governo ma anche quelle del mondo gay. Da una parte c’è sicuramente l’esigenza che il ruolo di ambasciatore sia ricoperto da una persona di specchiata virtù e dirittura morale. E su questo il Catechismo della Chiesa Cattolica, che vale ben di più di tutti i trattati internazionali messi insieme, parla chiaro in merito a chi asseconda le proprie pulsioni omosessuali. Su altro versante – ed è il versante più importante – accettare come ambasciatore un funzionario che approva la propria condizione omosessuale significherebbe per la Santa Sede avallare indirettamente l’omosessualità e le rivendicazioni delle lobby gay.
Gli affari privati di Stefanini giustamente acquisterebbero una dimensione pubblica. In questo caso l’ambasciator eccome se porterebbe pena. Mutatis mutandis proviamo a pensare ad un ambasciatore che avesse espresso opinioni velatamente xenofobe. Non solo il giorno dopo il suo governo gli avrebbe dato un calcio nelle terga, ma di certo anche il paese ospitante lo avrebbe imbarcato sul primo volo di linea in classe economica. Ma in questo caso, all’opposto, sarebbe la Santa Sede ad essere “razzista” nei confronti di Stefanini se non accettasse la sua nomina.
Questa vicenda diplomatica è buon microscopio per capire quali sono le cose importanti di cui dovrebbe essere fatta la politica, anche quella sovranazionale. L’omosessualità, come l’educazione, la tutela della vita, la famiglia, la libertà di espressione e religiosa, sono le questioni cruciali del vivere insieme. Non far entrare in Vaticano Laurent Stefanini significa non solo ribadire a livello internazionale un “No” deciso all’omosessualità, alla teoria del gender, ai “matrimoni” gay, ma anche e soprattutto un “Sì” alla famiglia, ai ruoli maschili e femminili e alla tutela dei bambini. Questo è il linguaggio diplomatico che il battezzato – cittadino della Chiesa cattolica – si aspetta che venga usato da chi sta ai piani alti in Vaticano.