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FUORI DAL CAOS

Al centrodestra servirebbe una cura ricostituente

Nell'emisfero destro della politica italiana regna il caos più completo. Tra Verdini ed Ncd che appoggiano Renzi, Salvini che aspira ad essere candidato premier, le kermesse della Gelmini e della Meloni, ognuno cerca di lucrare vantaggi per sé e per il proprio gruppo. Servirebbe una rifondazione.

Politica 29_09_2015
Matteo Salvini ad Atreju

L’ultimo week-end è stato ricco di eventi di partito. Se Scelta civica e Nuovo centrodestra hanno dato vita a raduni celebrativi delle riforme in via di approvazione e hanno confermato la loro stabile collocazione all’interno del perimetro governativo, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno radunato i propri fedelissimi in due kermesse: una a Roma, promossa da Giorgia Meloni, una nel bresciano, ideata da Mariastella Gelmini.

Il peso specifico dell’ex partito di Mario Monti e della compagine alfaniana sembra essersi ridotto da quando, a sostegno di Renzi, si è dichiaratamente schierato Denis Verdini, con la sua pattuglia di parlamentari pronti a sostenere il premier. La scommessa di tutte queste formazioni minori è che si voti nel 2018 e che, nel frattempo, si modifichi l’Italicum, introducendo il premio alla coalizione vincente (non più al partito vincente), al fine di incentivare le aggregazioni.

Domenica Verdini, alla festa di Scelta civica, è stato esplicito: “Bisogna disaggregare per riaggregare”. In altri termini, gli attuali poli dovrebbero scomporsi e le singole anime dei due principali schieramenti dovrebbero poi riunificarsi su basi diverse da quelle attuali. Un messaggio in codice per lanciare il progetto di “partito della nazione” sotto le insegne renziane? Può darsi, considerato che su molti temi il governo sta varando misure assai gradite al popolo del centrodestra, prima tra tutte l’abolizione della tassa sulla prima casa. In effetti, la diaspora di parlamentari forzisti verso la nuova formazione di Verdini sembra tutt’altro che conclusa e sulla legge di stabilità non è detto che non si registrino altri strappi. Su misure concrete di natura economica, oltre che sulle riforme, senatori e deputati berlusconiani fanno fatica a comprendere il dietrofront intimato dall’ex Cavaliere, che all’epoca del Patto del Nazareno aveva aperto sensibilmente a una prospettiva di dialogo e di collaborazione con l’esecutivo.

Sabato e domenica scorsi, invece, Berlusconi ha richiuso, almeno ufficialmente, ogni canale con Renzi e ha ribadito che il centrodestra, se unito, può sconfiggere il Pd. A 22 danni dalla sua prima discesa in campo, il leader di Forza Italia ci riprova e svela il suo disegno di riaggregazione dei moderati, che punta a riportare alle urne gli elettori delusi che alle ultime elezioni non hanno votato. Nei suoi due interventi, alla convention romana della Meloni e a quella bresciana della Gelmini, ha nuovamente tuonato contro i “mestieranti della politica”, cioè i trasformisti che hanno abbandonato l’esercito azzurro per andare in soccorso del governo Renzi, e ha confermato di sperare in una sua riabilitazione per mano della Corte europea dei diritti dell’uomo che nei prossimi giorni potrebbe pronunciarsi sulla legittimità dell’applicazione retroattiva della legge Severino e, in caso di annullamento della sentenza di condanna sul caso Mediaset, riammetterlo nell’agone politico e consentirgli di tornare candidabile e quindi eleggibile.

Ma al di là dei proclami bellicosi da parte dell’ex premier, sono altre le note dominanti sul versante del centrodestra. Anzitutto i vari leader sembrano parlare linguaggi diversi. La Meloni continua ad auspicare primarie di coalizione, così come Salvini. Molti colonnelli di Forza Italia, piuttosto che gettarsi tra le braccia di Salvini, preferirebbero tornare al tavolo delle riforme con Renzi. Altri sognano una riunificazione con il Nuovo centrodestra e perfino Roberto Maroni, che nella Lega sembra voler combattere una battaglia di leadership personale, lancia la candidatura a sindaco di Milano di Maurizio Lupi, che riprodurrebbe per Palazzo Marino l’alleanza che attualmente governa il Pirellone. Stessa aspirazione di Giovanni Toti, che governa la Liguria con tutti i partiti di centrodestra uniti nella stessa giunta.

Nel centrodestra regna dunque il caos. Berlusconi cerca di lanciare messaggi unificanti, ma la realtà è che ognuno cerca di lucrare vantaggi per sé e per il suo gruppo. Inoltre, i programmi della Lega e quelli delle altre forze politiche di centrodestra appaiono inconciliabili: il Carroccio predica l’anti-europeismo e l’uscita dall’euro mentre Forza Italia rimane nell’orbita del Partito popolare europeo, architrave dell’attuale disegno europeista. Per non parlare della scelta del leader. Nelle ultime ore è tornato a circolare il nome di Matteo Salvini come candidato a sindaco di Milano per l’intero centrodestra, ma si sa che il segretario leghista aspira ad un ruolo nazionale e pensa di poter essere il prossimo candidato premier dell’intero schieramento. Con tutte queste incertezze, con un Berlusconi quasi ottantenne e a capo di un partito agonizzante e in costante perdita di consensi, con un governo in carica fautore di riforme che sembrano mutuate dal programma liberale del centrodestra, sembra improbabile che l’ex Polo della Libertà possa rinverdire i fasti di dieci o quindici anni fa. Bisognerebbe rifondarlo su basi nuove, aprendo ai giovani e ai professionisti, selezionando la classe dirigente in modo più meritocratico ed elaborando un programma politico unitario e condiviso sui temi economici, sociali, etici. Ma con un Berlusconi ancora in prima linea questo è possibile?