Ai tedeschi Kohl e la Merkel. A noi resta solo Totò
La Germania in trent’anni ha combattuto due guerre mondiali praticamente da sola contro il resto del pianeta. È stata per due volte sconfitta, rasa al suolo, riportata a un’economia di pastorizia, pure spaccata in due per sicurezza. Ed eccola di nuovo locomotiva d’Europa, a dettare norme e regole al Continente.
La Germania in trent’anni ha combattuto due guerre mondiali praticamente da sola contro il resto del pianeta. È stata per due volte sconfitta, rasa al suolo, riportata a un’economia di pastorizia, pure spaccata in due per sicurezza. Ed eccola di nuovo locomotiva d’Europa, a dettare norme e regole al Continente. Tutti gli altri a mugugnare, ad accusarla di prepotenza e, in occasione dell’affaire Volkswagen, di barare.
Ma sembra più che altro un piagnisteo da asilo infantile: il bambino che ogni volta perde al gioco frigna con la maestra, e questa è costretta ad andare a dire al vincitore «sii buono, lascia vincere ogni tanto anche il moccioso, poverino». Ma nel mondo degli adulti non c’è maestra alle cui gonne piangere. C’è invece uno che ha la sola colpa di essere il più in gamba in mezzo a tante schiappe. La Germania di Kohl si è caricata del fardello della disastrata Ddr e in poco tempo l’ha assorbita perfettamente. L’Italia (che, con la Grecia, è quella che si lamenta di più dell’Europa a conduzione tedesca) in due secoli non è mai riuscita a risolvere il problema della sua palla-al-piede, il Meridione.
La faccenda della Volkswagen è emblematica: il governo tedesco l’ha avallata, poi si è scusato e la cosa verrà risolta a colpi di soldi com’è giusto che sia. Punto. Non entro nel merito della questione, inquinamento o meno, né nel fatto che, guarda un po’, lo sgambetto alla maggiore industria europea sia venuta dai soliti Usa (che non vogliono diesel stranieri perché da loro la benzina costa pochissimo, visto che se la procurano sia con lo shale che con il rooseveltiano big stick). Dico solo che, in Italia, una cosa del genere sarebbe finita ogni giorno sulle piazze, nei talk, in tribunale con tanto di telecamere.
La faccenda della Costa Concordia siamo risusciti, da soli, a farla diventare uno show internazionale di autodenigrazione. Con l’Ilva di Taranto ci siamo segati la maggiore acciaieria del continente. Per restare a Taranto, una megacompagnia internazionale di logistica intendeva investire un cento milioni di euro sul suo porto, dal momento che il raddoppio di Suez ha moltiplicato l’importanza degli scali mediterranei. Macché: tra burocrazia e magistratura (nostrane) i cento milioni sono finiti ad Atene, che li hanno accolti a braccia aperte. Della Finmeccanica, processata e infine assolta, non parliamo, anche se dovremmo ricordare i suoi affari sfumati a causa della mancanza, tutta italiana, di un sistema-Paese compatto nelle sue varie componenti. E come può esserci, un sistema del genere, in un Paese che ha la guerra civile nel sangue fin dai tempi di Romolo e Remo? L’unica cosa che sappiamo fare bene è dividerci in fazioni, in un Palio contradaiolo peninsulare permanente, e combatterci con ogni (sì, ogni) mezzo.
Ci lamentiamo di chi ci governa, ma chi ci governa è perfetta espressione di chi lo ha votato. Preferiamo, infantilmente, insultare la Merkel, per la quale, chissà perché, la teoria delle “quote rosa” non vale. Ma quella fa solo il suo mestiere, che è di fare gli interessi del suo popolo. E lo fa benissimo. Diversamente dai nostri (e dalle nostre, che sono lodevoli “quote rosa” se di sinistra, ma diventano signorine di piccola virtù che hanno scalato la politica in modi discutibili se di destra). Il genio politico italiano è emblematicamente riassunto nella storia che segue. Un mattino, girando, ho visto fiorire come funghi negozietti di sigarette elettroniche. Anch’io ne ho comprata una, con gli accessori. Pensavo: ma guarda che bel business, e quanti nuovi posti di lavoro per i giovani. Basta un localino di pochi metri aperto sulla pubblica via e una commessa addestrata. Utile e dilettevole: ti disintossichi ed è meglio dei cerotti o delle gomme da masticare alla nicotina. Lo stesso pensiero è venuto ai geni che ci governano (ma noi, che li votiamo, siamo ancora più geniali) e subito hanno caricato il nuovo business di tasse per un inaudito 50%. Risultato, fine del business e a casa le commesse. Più il boomerang: niente business, niente introito fiscale. E questa sarebbe la patria di Machiavelli?
L’ultima: la Conftrasporto comunica che in dieci anni abbiamo perso il 18% del traffico merci perché tutti i partner europei hanno adeguato le loro infrastrutture e noi no. Per forza, da noi ci vuole l’esercito solo per far passare un treno veloce in Valtellina. I casseurs nostrani hanno protezioni politiche e occhi di riguardo tra i magistrati. Perciò, non se ne esce. Ricordate il ponte sullo Stretto? Non si fece per un singolare motivo: lo aveva proposto Berlusconi. I tedeschi hanno forse impedito la ben più onerosa riunificazione solo perché la voleva il partito di Kohl? Certo, anche in Germania c’è lotta politica con sgambetti e colpi bassi. Come dappertutto. Ma quando è in ballo l’interesse nazionale la musica cambia. L’Italia, invece, sarà anche stata patria di Machiavelli cinque secoli fa. Oggi è solo la patria di Totò.