Ai medici italiani vietata la coscienza
Varato il nuovo Codice deontologico: il medico diventa un contabile e sarà obbligato a dare informazioni anche contro coscienza. Dieci ordini provinciali si ribellano.
- Ecco il codice della discordia
Non sappiamo se i lettori, soprattutto i colleghi medici, leggendo il testo sfornato al termine della tre giorni torinese della Federazione degli ordini dei Medici (che verrà presentato ufficialmente il 23 maggio) ne ricaveranno la nostra stessa impressione; annunciato come una rivoluzione, un fuoco pirotecnico d'innovazione che avrebbe dovuto dare risposte all'evoluzione della medicina, ai bisogni di salute, ai progressi delle scienze biotecnologiche, ai cambiamenti di prospettiva dei valori, eravamo lì ad attendere il nuovo codice deontologico dei medici come quelli che nelle calde notti estive stanno immobili a bocca aperta e il naso all'insù per ammirare l'ultimo, indimenticabile botto pirotecnico.
E invece? E invece l'impressione, sarà forse solo nostra e magari sbagliata, ma comunque la nostra impressione è che il risultato di tanti superesperti sia né più né meno che una fetecchia. Era stato annunciato che sarebbe scomparso il paziente, che tutti sarebbero diventate persone assistite e ora si scopre che si è pazienti se ci si cura, mentre per la prevenzione si è persone assistite. Ma se ci capiterà davanti qualcuno col diabete lo dovremo chiamare paziente quando prescriviamo l'ipoglicemizzante e persona assistita quando, una ricetta dopo, prescriviamo l'antiaggregante? Misteri della nuova deontologia.
Più seria la cosa che si legge all'articolo 3, quello che tratta dei doveri del medico. Da un lato si obbliga il medico ad esercitare la professione limitando il suo sapere alle nozioni apprese durante il corso di studi, operazione assai ideologica di chiara impostazione riduzionista tecno-scientifica. Siamo medici, ma non smettiamo di essere uomini, portatori di un bagaglio di esperienze che di gran lunga eccede il cursus studiorum riflettendosi nel modo personale di esercitare quella che infatti con ragione è e rimane l'arte medica. Siamo noi medici che dovremmo spiegare ai docenti che cosa insegnare agli studenti per farne dei buoni medici e non il contrario, come ora è stato scritto.
Nello stesso articolo si è poi voluto incatenare l'esercizio medico alle “innovazioni organizzative e gestionali in sanità”. Si tratta di un'espressione che può apparire innocua, ma invece è assai grave, perché vincola l'operato del medico a decisioni che possono essere estranee ed addirittura configgenti con l'interesse di tutela della salute della persona che gli siede davanti ed in lui ha riposto la propria fiducia.
Questo codice tricchetracche non dice nulla sulla gerarchia di interessi da tutelare quando le esigenze di budget confliggono con la migliore cura per il paziente. Con due paroline buttate là il piatto è servito: la persona malata che vedrà il camice bianco avvicinarsi al suo letto d'ospedale non potrà più essere certa di distinguere il medico dal contabile. Si tratta di una rivoluzione così eclatante da indurre ben 10 ordini a votare contro il nuovo codice (Milano, Bologna, Lucca, Ferrara, Piacenza, Latina, Massa, Potenza).
L'Ordine di Milano (26mila iscritti) e quello di Bologna (9852 tra medici ed odontoiatri) hanno altresì annunciato di volere continuare a fare riferimento al vecchio codice, oppure ad un codice emendato; si annunciano ricorsi, insomma il capolavoro dell'attuale dirigenza di essere riuscita a fare un patatrac dell'unità deontologica dei medici italiani è nei fatti.
Per la prima volta accadrà che medici di diverse parti d'Italia seguono codici deontologici diversi, un unicum con implicazioni di enorme rilevanza per la categoria. Basta pensare alla ostinata volontà di volere cambiare l'articolo 22, quello che disciplina la clausola di coscienza. Se i colleghi di Milano, quando sarà loro richiesta una prestazione in contrasto con la coscienza dovranno dare solo le informazioni che ritengono lecite, a chi scrive e alla maggioranza dei colleghi italiani sarà fatto obbligo di fornire anche quelle “per consentire la fruizione della prestazione”.
Detto in altri termini noi obiettori all'aborto dovremmo indicare alla donna dove può andare per abortire, obbligandoci ad una collaborazione materiale diretta ad un'azione verso cui proviamo una repulsione totale.
Questi sono solo alcuni dei tantissimi punti critici di questo documento che ci sembra fare acqua da tutte le parti, l'analisi è appena agli inizi. Quando per primi la scorsa estate lanciammo l'allarme dalle pagine di questo quotidiano fummo buoni profeti. Trovammo orecchie attente in molte realtà, a partire dagli amici e colleghi dei Medici Cattolici e di Scienza & Vita che per mesi hanno lavorato in modo approfondito riuscendo ad ottenere un indubbio miglioramento di un testo che nella sua prima versione si presentava come una sbobba venefica. Dispiace che tanto impegno e tanta saggezza abbiano trovato interlocutori così ideologicamente ostinati.