AgCom-Rai, la tempistica sospetta di uno scontro
Multa di 1,5 milioni di euro inflitta la scorsa settimana dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) alla Rai per violazione degli obblighi di pluralismo. Stupisce però la tempistica. Proprio in una fase in cui l’amministratore delegato, Fabrizio Salini, è in bilico e il Pd ha messo gli occhi sulla direzione del Tg2.
Ha fatto scalpore la multa di 1,5 milioni di euro inflitta la scorsa settimana dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) alla Rai per violazione degli obblighi di pluralismo, imparzialità e servizio pubblico, che discendono dalla legge e dal contratto di servizio 2018-2020 che la tv di viale Mazzini deve rispettare in quanto società concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale.
L’Autorità, in prorogatio dal luglio scorso, dovrebbe occuparsi solo di ordinaria amministrazione. Stupisce, quindi, doppiamente, questo “coup de theatre” conclusivo, proprio all’indomani dell’ennesimo rinvio delle nomine parlamentari dei quattro commissari e del nuovo Presidente.
Nella delibera contenente la sanzione inflitta alla tv di Stato si punta il dito contro il Tg2, che avrebbe trattato con faziosità numerose vicende, tra cui quella del fallimento della ricetta svedese di accoglienza degli immigrati, e contro “Cartabianca”, trasmissione in onda su Rai 3 e condotta da Bianca Berlinguer. Sotto i riflettori anche una puntata de “L’Approdo” di Gad Lerner, dedicata alla Lega ma senza contraddittorio. Si accusa inoltre la Rai di “scorretta rappresentazione della donna durante le serate del Festival di Sanremo” e di violazione della par condicio a danno del Movimento Cinque Stelle. «Nel periodo agosto 2019-gennaio 2020 – si legge nella delibera - il Movimento ha avuto solo il 19,9% del tempo di parola, contro il 20,48% della Lega e il 23,15% del Pd». La reazione dei vertici di Viale Mazzini è stata netta: «Si tratta di rilievi infondati, che violano la libertà d’impresa».
In linea teorica l’Agcom ha il potere e il dovere di vigilare sulla correttezza delle trasmissioni televisive, tanto più quando si tratta di servizio pubblico pagato con il canone degli italiani. Ciò che stupisce, però, è la tempistica. Proprio in una fase in cui l’amministratore delegato, Fabrizio Salini è in bilico e il Pd ha messo gli occhi sulla direzione del Tg2, attualmente nelle mani del filo-leghista Gennaro Sangiuliano, un’Autorità in scadenza produce una requisitoria con pochi precedenti, peraltro senza campagne elettorali nazionali imminenti, se non quella sul referendum del 29 marzo prossimo sulla riduzione del numero di parlamentari.
Anche il dissenso di uno dei commissari Agcom, Mario Morcellini e l’astensione di un altro commissario, Francesco Posteraro, lascia intendere che quella delibera non è stata redatta a cuor leggero ma dopo lotte intestine dentro il Collegio di via Isonzo.
Al di là di chi ha ragione e chi ha torto, alcune considerazioni si impongono. L’Agcom, che pure su alcuni fronti come la telefonia mobile ha fatto molto bene, nell’ambito della regolamentazione radiotelevisiva ha più volte mancato ai suoi doveri. In questi sette anni di mandato (2012-2019), ha fatto rispettare la par condicio in modo discutibile e non sempre imparziale e ha ignorato alcuni suoi precisi obblighi, come quello di vigilare sui processi mediatici, vietati da una delibera Agcom del 2008, trasfusa in un Codice di autoregolamentazione sulla rappresentazione delle vicende giudiziarie in tv, sottoscritto il 21 maggio 2009 da tutte le emittenti radiotelevisive, ma poi disatteso dai principali broadcaster, che hanno continuato a spettacolarizzare la cronaca giudiziaria, trasformando gli studi televisivi in aule di tribunale, con lo sguardo distratto del Comitato sui processi mediatici, insediatosi presso l’Agcom ma mai operativo. Per non parlare dell’azione scarsamente incisiva dell’Agcom nell’applicazione del Codice Media e sport, che le televisioni violano sistematicamente durante numerose trasmissioni di commento alle partite di calcio della domenica.
Per quanto riguarda la Rai, l’Agcom si stupisce della imparzialità e faziosità degli ultimi mesi, che tuttavia è un dato costante e ineliminabile della tv di Stato, da sempre dominata dai partiti (non a caso i dem, ora al governo, vorrebbero ribaltare gli equilibri attuali, figli della precedente maggioranza giallo-verde). Il pluralismo nella tv di Stato è sempre stato interpretato come lottizzazione e spartizione di spazi e poltrone tra i diversi gruppi politici, al contrario di quanto la Corte Costituzionale ha sempre raccomandato negli anni, cioè l’apertura massima possibile a tutti i punti di vista, a prescindere dal peso politico di ciascuno.
Infine la legge sulla par condicio, che ancora una volta mostra la sua inadeguatezza. Reca la data del 22 febbraio 2000, quindi ha esattamente vent’anni. Fu prodotta da una maggioranza di centro-sinistra che voleva frenare la sovraesposizione mediatica dell’allora avversario numero uno, il leader del centro-destra, Silvio Berlusconi, nel timore che potesse vincere le elezioni. Cosa che peraltro accadde comunque il 12 maggio 2001. Quella legge è anacronistica perché nell’era multimediale il minutaggio rappresenta solo uno dei criteri per misurare la presenza dei diversi attori politici in campo e perché si tratta di una normativa non applicabile alla Rete e in particolare ai social, che ormai sono i principali strumenti di propaganda politica.
C’è da sperare che questo inaspettato braccio di ferro tra Agcom e Rai, indipendentemente da come si concluderà, possa creare le premesse per una revisione radicale della par condicio e per una riforma sostanziale della governance Rai nella direzione di un effettivo pluralismo.