Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Caterina d’Alessandria a cura di Ermes Dovico
IMMIGRAZIONE

Africani in arrivo da Israele. Anzi no. Non è un pesce d'aprile

Giunge da Israele la notizia che 16mila immigrati richiedenti asilo sarebbero stati espulsi dal paese in base a un piano concordato con l’Unhcr e trasferiti, nell’arco di cinque anni, in alcuni paesi occidentali, fra cui Canada, Germania e Italia. Poi arriva la smentita. E infine l'annuncio che l'accordo è stato annullato. Perché?

Attualità 04_04_2018
netanyahu, in conferenza stampa

Una strana Pasqua nel Mediterraneo. Giunge da Israele la notizia che 16mila immigrati richiedenti asilo sarebbero stati espulsi dal paese in base a un piano concordato con l’Unhcr e trasferiti, nell’arco di cinque anni, in alcuni paesi occidentali, fra cui Canada, Germania e Italia. Con la Lega già sul piede di guerra e la polemica che infuriava nel social network, lunedì sera arriva il contrordine: nessun trasferimento è mai stato concordato. Prima la smentita è stata data dalle diplomazie di Germania e Italia. Poi è stata confermata dallo stesso premier Benjamin Netanyahu, secondo il quale i tre paesi citati erano “solo esempi”. Infine, lo stesso capo di governo israeliano ha annunciato di aver ascoltato la sua gente e di aver completamente cambiato idea: l’accordo con l’Unhcr è stato cancellato.

Francamente è difficile credere che vi siano così tante notizie insolite una in fila all’altra, tanto da pensare che si sia trattato di un pesce d’aprile. Invece nessuno aveva voglia di scherzare. Si è piuttosto consumata, sulla pelle degli immigrati africani, una triste crisi governativa israeliana. “Prima (Netanyahu, ndr) ha cambiato la sua politica sugli immigrati africani, arrivando anche a rinunciare al termine con cui li descriveva, ‘infiltrati’, per adottare quello più neutrale di ‘migranti’ – scrive Herb Keinon, analista politico del Jerusalem Post - Poi, in meno di 24 ore ha cancellato la sua nuova politica ed è tornato sui suoi passi nella conferenza stampa di lunedì, anche adottando di nuovo il termine di ‘infiltrati’. Così ha compiuto un giro completo”. Eppure, Netanyahu non stava affatto improvvisando quando ha proclamato il trasferimento degli immigrati in paesi occidentali, fra cui il nostro. Lo aveva annunciato in una conferenza stampa assieme al ministro degli Interni, al consigliere della Sicurezza Nazionale e al direttore generale dell’agenzia sugli immigrati e rifugiati del Ministero degli Interni. Aveva dichiarato di aver raggiunto un accordo con l’Unhcr, notizia già di per sé incredibile: è raro, molto raro, che Israele si trovi d’accordo con un’agenzia Onu.

Invece, in una seconda conferenza stampa, lo stesso Netanyahu annunciava: “Ho deciso di sospendere l'applicazione di questo accordo e di ripensarne i termini”. Tutto da rifare, insomma. Cosa è successo fra queste due conferenze stampa? Gli osservatori politici israeliani sembrano concordare almeno su un punto: Netanyahu ha parlato, la prima volta, senza consultarsi con il suo partito, né con parte del suo esecutivo di coalizione. La sua dichiarazione sull’accordo con l’Unhcr doveva cogliere i dissenzienti di sorpresa, presentar loro il fatto compiuto e risolvere così una delle questioni più difficili per il governo di Gerusalemme. Ma la reazione è stata tutt’altro che positiva. I ministri si sono detti “umiliati” perché scavalcati in una decisione importante. L’analisi dei tweet e dei commenti sui social network della base del partito Likud è stata altrettanto impietosa: tutti contro la decisione del premier. E Naftali Bennett, il leader del partito nazionalista da cui dipende la tenuta della coalizione, ha reagito molto duramente, dichiarando che in questo modo si sarebbe dato il cattivo esempio a tutti gli eventuali futuri “infiltrati” in Israele. Ma perché tanta opposizione interna? Perché nella parte meno reclamizzata del piano, Netanyahu, oltre ad espellere “in Occidente” più di 16mila immigrati, ne avrebbe integrati in Israele altri 16mila, dando loro la residenza e un lavoro. Inoltre, 5 anni per la ridistribuzione degli immigrati, che per ora sono ammucchiati in campi rifugiati nella periferia Sud di Tel Aviv (una zona che ora è nota come “piccola Africa”), sono giudicati troppi dai residenti locali, che non ne possono letteralmente più.

Netanyahu può aver cambiato definitivamente idea, oltre che per l’opposizione interna, anche per le proteste che sono giunte immediatamente dai paesi destinatari degli immigrati da espellere: Germania e Italia hanno subito smentito di aver raggiunto un accordo in sede Unhcr assieme a Israele. Attaccato dall’interno e dall’estero, Netanyahu deve aver preferito distruggere tutto e ripartire da zero. Ora restano una questione irrisolta e un mistero da chiarire.

La questione irrisolta, prima di tutto, è quella dei 42mila immigrati africani presenti in Israele. I primi sono entrati nello Stato ebraico nel 2005, quando sono stati espulsi dall’Egitto dopo violenti scontri con la polizia al Cairo. Anno dopo anno, anche durante il caos della primavera araba, altri africani hanno compiuto la rischiosissima attraversata del Sinai, sfuggendo a terroristi e cacciatori di schiavi, per chiedere asilo in Israele. Si tratta soprattutto di sudanesi e di eritrei. Sono considerati non rimpatriabili, a causa della massiccia violazione dei diritti umani nei loro paesi d’origine, tuttavia non sono immigrati legali. Il governo Netanyahu li considera immigrati economici, perché nei loro paesi, comunque, non c’è una guerra che giustifichi il loro status di rifugiati. A gennaio, Netanyahu aveva annunciato un piano di rimpatri obbligatori: l’equivalente di 3500 dollari e un biglietto aereo di sola andata per ognuno degli immigrati, con la scelta di tornare al proprio paese o in un’altra destinazione africana in Ruanda e Uganda, i due paesi più stabili e in migliori rapporti con Israele nella regione africana orientale. Il piano, duramente contestato da Ong e intellettuali, è stato poi bocciato dalla Corte Suprema. Il progetto alternativo concordato con l’Unhcr (espulsione verso paesi occidentali di un primo gruppo e integrazione di un secondo gruppo) avrebbe dovuto sbloccare l’impasse. Ma adesso il governo israeliano deve trovare un’altra soluzione.

Infine, il mistero da chiarire: perché Netanyahu aveva citato proprio questi tre paesi, Canada, Germania e Italia, come meta finale degli immigrati da espellere? Non ci sono prove per affermare che i governi fossero d’accordo. In assenza di prove su eventuali accordi segreti, non possiamo che stare ai fatti e alle dichiarazioni. Netanyahu ha parlato di intesa con l’Unhcr. Dunque è probabile che sia stata l’Unhcr a indicarci (assieme a Canada e Germania) come il paese più disponibile all’accoglienza di immigrati. E d’altra parte i fatti lo confermano. Anche quando il resto dell’Europa alza i muri, il nostro governo è l’unico che continua a perseguire una politica della porta aperta. E sarà così, fino all’insediamento del prossimo governo.