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GUERRA INFINITA

Afghanistan e Pakistan, ritorno di fiamma del terrorismo

Un attentato a Kabul uccide anche un italiano, Alessandro Abati, oltre ad altri otto stranieri. Si tratta di un episodio non isolato: c'è una forte recrudescenza di terrorismo in tutto il paese. E anche in Pakistan i talebani ripartono all'attacco con il massacro dei pellegrini sciiti a Karachi. E' l'antipasto di quel che accadrà dopo il ritiro della Nato.

Esteri 15_05_2015
Kabul, dopo l'attentato

Ce li eravamo quasi dimenticati complice il ritiro di gran parte delle truppe italiane dislocate in Afghanistan. Invece i talebani sono tornati a occupare intere pagine di lanci delle agenzie di stampa italiane con l’attacco alla residenza per stranieri Park Palace nel quartiere di Shahr-e-Naw a Kabul, in cui sono morte 9 persone: l’italiano Alessandro Abati, 48enne consulente di un'agenzia di investimenti, la sua fidanzata kazaka, uno statunitense, 4 indiani e 2 afghani.

Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, in una email inviata ai media ha rivendicato l’attacco suicida contro il residence perché frequentato da stranieri, tra cui americani. Secondo la rivendicazione a condurre l'attacco è stato un solo uomo, non tre come affermato dal governo afgano. Il portavoce ha precisato che "un attentatore suicida della provincia di Logar ha attaccato la guest house. L'attacco è stato accuratamente pianificato contro una festa a cui partecipavano persone importanti, tra io quali americani".

Secondo testimoni invece, gli uomini del commando talebano  sono stati uccisi dalla polizia prima che si facessero esplodere e andavano stanza per stanza in cerca degli stranieri. Al termine dell'assedio, durato sette ore, la polizia è riuscita a mettere in salvo le oltre 50 persone prese come ostaggio.  Benché gli attacchi talebani a Kabul abbiano una eco maggiore di quelle effettuati altrove, in Afghanistan è in atto una vera e propria recrudescenza degli attacchi talebani contro le truppe afghane e ai civili.

Secondo l’Unama, la missione dell’ONU nel Paese asiatico,  nei primi quattro mesi del 2015 si è registrato un numero record di attacchi a civili  con 974 morti e 1.936 feriti, in aumento del 16% rispetto allo stesso periodo del 2014.

L’attacco suicida ha messo in luce anche la vulnerabilità degli italiani rimasti nel Paese, non tanto i 700 militari rinchiusi nella base di Camp Arena a Herat con soli compiti di addestramento e consulenza delle truppe locali, ma soprattutto del centinaio di civili che vivono a Kabul tra funzionari d’ambasciata, personale Onu e di organismi internazionali  ed esponenti di ong e organizzazioni umanitarie.

La situazione a Kabul "è pericolosa, siamo in piena offensiva di primavera talebana, che quest'anno è iniziata  prima, dopo un inverno abbastanza mite, con azioni di tipo militare in quasi tutto il Paese" ha detto all'Adnkronos l'ambasciatore italiano in Afghanistan, Luciano Pezzotti.

"Quasi ogni giorno qui c'è qualche piccolo attentato, una bomba sotto un auto o un kamikaze", dice l'ambasciatore ma l’attacco al residence sembra legato alla decisione della NATO di prolungare ulteriormente la presenza di militari nel Paese nell’ambito dell’operazione Resolute Support. Una presenza che avrebbe dovuto concludersi entro il 2016 ma che ora gli Stati Uniti intendono prolungare per continuare a sostenere l’esercito di Kabul sempre più sotto pressione nella guerra ai talebani ora che non può più contare su una massiccia presenza di truppe americane e NATO.

Del resto i talebani avevano annunciato il 24 aprile la nuova offensiva di primavera battezzata  “Azm” (determinazione)  dichiarando di voler colpire la persistente presenza straniera nel Paese e soprattutto . le sedi diplomatiche straniere, le basi militari e i centri d’intelligence.

In realtà le truppe alleate rimaste in Afghanistan sono appena 12.500 di cui oltre 10 mila statunitensi: poca cosa rispetto aio 140 mila del 2011 ma sufficienti a  mobilitare lo sforzo dei talebani, all’offensiva in molti settori  che non  sono riusciti a sopraffare le truppe governative.

Nonostante a inizio maggio abbiano preso il via in Qatar (dove i talebani hanno aperto una sede di rappresentanza) colloqui informali tra gli insorti e una delegazione del governo di unità nazionale afghano gli scontri continuano in tutto il Paese e in particolare nel settore settentrionale di Kunduz dove la città è stata in parte evacuata per consentire all’esercito di riconquistare i quartieri della città di Kunduz City caduti nelle mani di un’alleanza composta da talebani e Stato Islamico afghano. Movimenti islamisti rivali ma alleatisi in questo caso per  sconfiggere le forze governative. “I combattenti dell’Isis stanno cercando di rafforzare la capacità dei talebani, per una lotta ancora più grande”, ha detto il governatore della provincia, Mohammed Omar Safi.

Karachi, il bus del massacro

Destabilizzazione galoppante anche in Pakistan dove mercoledì sono stati uccisi su un autobus a Karachi 45 sciiti, eliminati con un colpo alla testa in pieno giorno. Secondo la ricostruzione un gruppo di miliziani, alcuni dei quali camuffati da poliziotti, sono saliti sul veicolo appartenente alla piccola setta degli ismaeliti e ha 'giustiziato' i passeggeri uno per uno con un colpo alla testa. Solo alcune delle circa 60 persone a bordo sono riuscite a scampare al brutale massacro. La strage, una delle più gravi dopo quella di gennaio contro una moschea sciita nella provincia del Sindh costata la vita a 55 persone, è stata rivendicata dal gruppo Jundullah  ('Soldati di Allah'). Una formazione nata da una scissione dal movimento dei Talebani del Pakistan (Ttp), sorto nel  2007 dall'unione di varie milizie tribali. Lo scorso novembre  Jundullah ha annunciato il suo sostegno al sedicente Stato Islamico  (IS) e nel  2013 Jundullah rivendicò l'attacco compiuto da due attentatori suicidi in una chiesa di Peshawar, una strage costata la vita a 78 persone. "Continueremo a colpire gli infedeli" ha  minacciato  il gruppo dopo l'attacco a Karachi.

Al di là delle capacità dei governi afghano e pakistano di contenere e contrastare i gruppi jihadisti, l’escalation delle attività insurrezionali dei movimenti eversivi islamisti della regione rappresenta una delle conseguenze ritenute più probabili dagli analisti in seguito al progressivo ritiro delle forze della NATO da Kabul. Soprattutto nelle repubbliche asiatiche ex sovietiche e a Mosca si guarda con preoccupazione al rapido  ampliarsi dell’area operativa di talebani afghani e pakistani e delle milizie dello Stato Islamico, presenza nuova in questa regione che potrebbe catalizzare sotto un’unica bandiera i diversi gruppi. Il timore, rafforzato dal consolidamento delle forze jihadiste nel nord afghano, è che si intensifichino le penetrazioni di miliziani in Tajikistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Turkmenistan, Paesi ricchi di energia ma con scarse capacità militari e già interessati da attività insurrezionali dio matrice islamica.

Non è un caso che, come il governo afghano, anche le repubbliche asiatiche dell’ex URSS stiano rafforzando i legami militari con Mosca per prevenire il rischio di diventare il prossimo Afghanistan.