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GUERRA E VOTO

Afghanistan alle urne per il nuovo presidente

Oggi, in Afghanistan, si vota per il prossimo presidente. E alla vigilia delle elezioni, un poliziotto ha ucciso la reporter tedesca Anja Niedringhaus e ferito la sua collega Kathy Gannon. In che mani sono le forze di sicurezza afghane?

Esteri 05_04_2014
Una foto di Anja Niedringhaus

L’attacco portato da un ufficiale della polizia afghana che a Khost ha sparato a due fotografe dell’agenzia AP uccidendo la tedesca Anja Niedringhaus e ferendo gravemente la canadese Kathy Gannon, rappresenta un po’ la summa dei problemi che l’Afghanistan deve ancora risolvere 13 anni dopo l’intervento anglo-americano che pose fine al regime talebano. Da un lato Kabul schiera forze di sicurezza poderose con 350 mila effettivi la cui affidabilità e capacità sono piuttosto precarie con molti casi di infiltrazione di elementi legati ai talebani  che approfittano dell’uniforme per colpire a tradimento commilitoni e occidentali.

Non è un caso che Khost si trovi a pochi chilometri dal confine col Waziristan del Nord, territorio tribale pakistano regno del gruppo talebano Haqqani responsabile di molti attentati in Afghanistan, soprattutto contro cittadini stranieri e di gran parte degli spettacolari attentati che con cadenza regolare colpiscono Kabul. Come già in passato l’offensiva talebana scatenata alla vigilia delle elezioni presidenziali punta a effettuare colpi ad effetto. Gli insorti non sono in grado di assumere il controllo del Paese o anche solo di qualche grande città o provincia ma possono colpire in modo spettacolare gli occidentali garantendosi così ampia visibilità mediatica e una cassa di risonanza ben superiore alla portata concreta dei loro attacchi.

Il 2 aprile, in una Kabul blindata in vista del voto di sabato, un kamikaze con l’uniforme da poliziotto ha ucciso sei commilitoni. I talebani hanno annunciato che opereranno “ in ogni modo per far fallire il voto" con “un’ampia gamma di attacchi lanciati in tutto il Paese". In pochi giorni hanno preso di mira il super protetto Hotel Serena, le sedi della Commissione elettorale indipendente (Iec) e il ministero dell'Interno. Assalti che dimostrano come i talebani possano colpire quasi ovunque ma non certo che hanno la forza di prendere le redini del Paese.

Il governo afghano minimizza e parla infatti di "operazioni simboliche che non possono mettere in discussione l'appuntamento elettorale” ma il sempre più distaccato e svogliato supporto della comunità internazionale alla “causa afghana” si evince anche dalla decisione di tre organismi internazionali di ritirare i loro osservatori dopo la morte di un monitor paraguayano ucciso all’Hotel Serena.

A lasciare Kabul sono stati l'Istituto nazionale democratico (Ndi) americano, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) e l'Asian Foundation for Free Election (Anfrel). Restano invece gli osservatori dell’Unione europea ma è curioso che la missione dell’Onu a Kabul sottolinei che “forse non vi sarà un numero sufficiente di osservatori internazionali per garantire la trasparenza delle elezioni, o l'integrità del voto".

Fa un po’ sorridere pensare che gli osservatori internazionali lascino l’Afghanistan perché è un luogo pericoloso; se non lo fosse probabilmente non ci sarebbe bisogno di loro. Del resto la Commissione elettorale afghana ha di recente ammesso che "l'insicurezza è il principale fattore che minaccia il voto" ed ha causato la chiusura di oltre il 10% dei seggi (748 su 6.770 nelle 34 province afghane)  per non mettere a rischio la vita degli elettori. A creare un clima da “stato d’assedio” contribuisce poi la decisione del governo afghano di chiudere fino a dopo le elezioni presidenziali gli hotel e i ristoranti frequentati da stranieri a Kabul, ovviamente per motivi di sicurezza. Facendo il gioco dei talebani il governo ammette di non poter proteggere il personale internazionale.

Sul campo di battaglia la buona notizia è che in marzo sono morti solo 2 dei circa 50 mila soldati alleati ancora presenti nel Paese per un totale di 20 caduti dall’inizio dell’anno. Numeri così bassi di perdite, che non si vedevano dal 2007, non indicano però un calo delle azioni talebane che sono invece in continuo incremento. Semplicemente le forze della Nato sono sempre meno presenti in prima linea e tutti i contingenti sono impegnati soprattutto “a fare le valige” limitandosi a fornire supporto aereo e consulenza a militari e poliziotti afghani. A questi ultimi è infatti affidata la sicurezza del voto come è accaduto anche alle elezioni del 2009 quando però gli alleati avevano ancora forze sufficienti ad effettuare operazioni su vasta scala.

Il capo di Stato maggiore dell'esercito afghano, generale Shir Mohammad Karimi, ha invitato "gli elettori afghani ad avere fiducia delle proprie forze di sicurezza recandosi in massa alle urne. Lavoriamo al piano per la sicurezza del voto da almeno un anno e abbiamo dispiegato i nostri uomini in tutte le province del Paese". Elezioni a parte le forze afghane mantengono carenze strutturali che potrebbero impedire a Kabul di poter gestire nel tempo la sicurezza in modo autonomo. Il tasso di diserzioni è di circa 5 mila uomini al mese, i reparti sono privi di mezzi pesanti e aerei da combattimento e dispongono di pochi aerei da trasporto ed elicotteri. Anche senza contare gli infiltrati talebani, buona parte del personale in servizio è analfabeta e dedito all’abuso di droghe mentre la corruzione dilaga. Il rischio non è tanto che i reparti vengano sconfitti in battaglia dai talebani ma che si sfaldino una volta che le forze alleate non saranno più al loro fianco. Inoltre la sopravvivenza finanziaria dell’esercito di Kabul dipende dai 4,1 miliardi di dollari che Stati Uniti e alleati si sono impegnati a versare ogni anno fino al 2017: fondi necessari a pagare stipendi, cibo, carburante e munizioni.

Il futuro della presenza militare internazionale resta tuttora in sospeso dopo il ritiro dell’attuale missione da combattimento che si completerà entro l’anno e l’incerto avvio dell’operazione di appoggio “Resolute Support”. Un futuro  reso ancora più incerto dal rifiuto del presidente Hamid Karzai di firmare l’accordo bilaterale sulla sicurezza (BSA) negoziato con gli Stati Uniti.

Senza quella firma nessuna presenza militare della Nato sarà possibile, neppure quella dei contingenti tedesco e italiano, unici due Paesi Nato resisi disponibili al fianco degli USA a mantenere circa 800 militari a Mazar i Sharif ed Herat per continuare ad appoggiare le forze di Kabul nel triennio 2015-17.  In Afghanistan non ci sarà un disimpegno, ci sarà una nuova responsabilità valutata insieme ai nostri alleati e soprattutto valutata dal Parlamento Italiano" ha detto ieri il ministro delle Difesa Roberta Pinotti.

Karzai accusa Washington di sabotare il processo di pacificazione, cioè un accordo che riporti i talebani nell’ambito politico e probabilmente addirittura nel governo afghano circa il quale per ora non sembrano esserci segnali concreti. La firma del Bsa spetterà eventualmente al successore di Karzai  scelto tra gli 8 candidati dei quali un paio sembrano avere possibilità di vittoria ma solo dopo un probabile ballottaggio da tenersi in maggio.

Gli otto candidati rimasti  dopo il ritiro nelle ultime settimane del fratello del presidente, Qayyum Karzai, e dell'ex ministro della Difesa, Abdul Rahim Wardak sono: Abdullah Abdullah, Ashraf Ghani, Abdul Rasul Sayyaf, Zalmay Rassoul, Daud Sultanzoy, Qutbuddin Hilal, Mohammad Shafiq Gul Agha Sherzai e Hedayat Amin Arsala. L'ultimo sondaggio indica in testa Ghani con il 26,9%, seguito a breve distanza da Abdullah al 24,7%. I due, possibili avversari nel ballottaggio, distanziano  Rassoul (7,5%) e l’estremista islamico Sayyaf in passato vicino ad al-Qaeda.

L’oculista 55enne Abudullah, di origine mista tagika e pashtun già sfidante di Karzai nel 2009 ed ex ministro degli Esteri, è indicato dai sondaggi come uno dei favoriti e sembra essere gradito agli Stati Uniti che lo sostennero cinque anni or sono. A Washington e agli europei sembra piacere anche Ghani, economista 65enne con un passato alla Banca Mondiale ed ex ministro delle Finanze. Alle elezioni del 2009 prese solo il 3% ma questa volta gode del supporto dell’ex signore della guerra uzbeko Rashid Dostum e in un eventuale ballottaggio potrebbe raccogliere molti voti pashtun andati ad altri candidati al primo turno. Il prossimo presidente afghano sarà quindi un amico dell’Occidente. Questo consentirà di migliorare i rapporti, oggi molto tesi, tra Washington e Kabul, ma non garantirà maggiori chanches di stabilizzazione al Paese asiatico.