Affonda il governo di unità. Libia sempre più nel caos
La Libia è nel caos più totale e la crisi politica e militare sta degenerando in un tutti contro tutti che neppure il nuovo governo di riconciliazione nazionale di al-Sarraj voluto dall’Onu sembra riuscire ad arginare. E il Parlamento di Tobruk, in mano alle forze laiche, ha pure respinto la fiducia ad al-Sarraj.
La Libia è nel caos più totale, in preda a un’escalation della crisi politica e militare che sta degenerando in un tutti contro tutti che neppure il nuovo governo di riconciliazione nazionale voluto dall’Onu sembra riuscire ad arginare. Anzi, l’esecutivo di Fayez al-Sarraj costituisce da oggi il terzo governo della Libia. La sua nascita, la scorsa settimana a Tunisi, avrebbe dovuto indurre i due esecutivi rivali di Tobruk e Tripoli a cessare le attività, invece ieri il Parlamento di Tobruk eletto nel giugno 2014 e in mano alle forze laiche ha respinto la fiducia ad al-Sarraj con 89 voti su 104 deputati presenti.
Un vero schiaffo alla Comunità internazionale motivato con l’eccessiva presenza di islamisti dei Fratelli Musulmani nel governo istituito dal al-Sarraj, formato da ben 32 ministri per accontentare tutte le componenti politiche e tribali della ex colonia italiana. Uno sforzo, quello di al-Sarraj, che rischia di rivelarsi inutile per almeno due ragioni. Tobruk sembra restare fedele al generale Khalifa Haftar comandante dell’esercito ostile a tutti i movimenti islamisti, la cui estromissione dal nuovo governo è stata pretesa dai Fratelli Musulmani di Tripoli. Benché abbia non pochi nemici anche a Tobruk (alcuni suoi ufficiali lo accusano di essersi accaparrato fondi dell’esercito e addirittura di aver permesso a suo figlio di vendere armi ai miliziani qaedisti di Ansar al-Sharia), Haftar sembra essere per molti ancora il “cavallo” su cui puntare, quanto meno per combattere la dilagante avanzata dello Stato Islamico.
Sembrano dimostrarlo il fatto che ieri il Parlamento di Tobruk ha bocciato anche la norma che attribuiva al governo di al-Sarraj il potere di nominare nuovi vertici di esercito e polizia, i misteriosi incontri dei giorni scorsi registrati dai media libici tra lo stesso Haftar ed emissari diplomatici e militari italiani, nonché le reiterate indiscrezioni confermate ieri dal Times circa la presenza di un nutrito numero di forze speciali anglo-americane nella base di Benina (vicino a Tobruk) dove addestrerebbero le truppe del generale. La seconda ragione che evidenzia la debolezza di al-Sarraj è costituita dal fatto che anche a Tripoli nessuno sembra credere che il suo esecutivo abbia un futuro. È vero che i Fratelli Musulmani del partito Giustizia e Libertà hanno espresso sostegno al nuovo premier voluto dall’Onu, ma al tempo stesso hanno promesso di raddoppiare la paga ai miliziani delle diverse “brigate” del Fronte Alba della Libia nel tentativo di trattenere i combattenti tentati dal porsi agli ordini del governo di riconciliazione nazionale.
Dopo oltre due anni di guerra civile che, secondo uno studio della compagnia pubblica National Oil Corporation, dal 2013 ha provocato mancati introiti per l’export petrolifero per 68 miliardi di dollari, la Libia si trova oggi divisa tra le fazioni di ben tre governi, peraltro ognuno dei quali con gravi difficoltà di coesione interna. Un contesto che rende più facile il gioco allo Stato Islamico, in rapido potenziamento grazie all’afflusso di armi e miliziani da Marocco e Sahel, come segnalano i servizi segreti algerini e forse in procinto di saldarsi con altre milizie jihadiste presenti in Libia come i qaedisti di Ansar al-Sharia e alcune brigate legate ai Fratelli Musulmani. Un’ipotesi dimostrata da “documenti segreti” citati dal quotidiano panarabo di proprietà saudita Asharq al-Awsat che rivelerebbero la volontà di fondersi in un Consiglio della Shura unificato per contenere le divergenze interne. Un’alleanza simile a quella che in Siria vede integrati fratelli musulmani, salafiti e qaedisti nell’Esercito della Conquista che combatte Bashar Assad con l’appoggio saudita, turco e del Qatar.
La crescente minaccia jihadista in Libia è considerata da molti osservatori dentro le opzioni prese in considerazione anche dall’Italia per valutare un intervento militare contro lo Stato Islamico al fianco degli Stati Uniti e di altri alleati. Roma finora si è rifiutata di condurre azioni belliche contro l’Isis (in Iraq come in Libia) e ha sempre preteso una richiesta ufficiale del governo di al-Sarraj rivolta alla Comunità internazionale per combattere lo Stato Islamico.
Al-Serraj però si trova ancora in Tunisia e dopo la bocciatura del Parlamento di Tobruk dovrà decidere se dimettersi o rimettere mano alla composizione del suo governo che al momento non ha però molte possibilità di trasferirsi a Tripoli e assumere effettivamente i poteri previsti (ammesso che qualcuno ne riconosca l’autorità). In pratica sul fronte politico la crisi libica è di novo in alto mare mentre su quello militare emerge la necessità di contenere in fretta l’espansone jihadista prima che lo Stato Islamico riesca a riunire sotto le sue bandiere tutte le milizie islamiste del Paese.