AfD, il vento dell'Est contro l'immigrazione
Nelle elezioni regionali tedesche cresce sia all'Est che all'Ovest l'Alternative für Deutschland. La giovane formazione è euroscettica e si oppone alla politica dell'immigrazione illimitata. Raccoglie consensi soprattutto nell'ex Ddr, votata da un popolo uscito dal comunismo che ora si sente schiacciato da un'altra élite occidentale.
Le elezioni tedesche possono essere lette al negativo (ha perso il governo di Angela Merkel), o al positivo, constatando chi ha vinto nei tre Laender in cui si è votato. Se si sceglie questa seconda chiave di lettura, è impossibile non notare l’affermazione del partito Alternative für Deutschland. Per la maggior parte dei quotidiani italiani è una gran brutta notizia, a quanto risulta dai titoli che la descrivono come una “formazione xenofoba” senza troppi mezzi termini. Ma al di là dei facili pregiudizi, che cos’è realmente il partito, costituito tre anni fa dall’economista Bernd Lucke e ora presieduto da Frauke Petry?
Al momento della sua fondazione, nel 2013, la maggior preoccupazione per le opinioni pubbliche di tutta l’Ue era la crisi dell’eurozona. Abituati a vedere questa burrasca da una prospettiva mediterranea, noi italiani abbiamo spesso attribuito alla Germania la colpa della nostra recessione: il paese che ospita la sede della Banca Centrale Europea e che ne ha determinato più di altri le politiche monetarie fino a due governatori fa, è visto come una nazione prospera che impone regole di austerity agli altri membri. Da un punto di vista tedesco, però, questa prospettiva è ribaltata: i tedeschi ricordano i grandi sacrifici che hanno dovuto affrontare, prima per assorbire lo shock della riunificazione con l’Est comunista, poi per adeguarsi alle regole della moneta unica. E proprio per questo non vogliono che sia il contribuente tedesco a sborsare euro per salvare dal fallimento Stati che, finora, non hanno affrontato alcun sacrificio. Da questa preoccupazione nasce AfD, fondata da un gruppo di economisti convinti che l’euro non possa reggere alla prova della storia. Il partito ha sfiorato la soglia di sbarramento del 5% alle elezioni federali del 2013 e non è entrata in parlamento per appena 0,3 punti percentuali mancanti. Nel 2014, invece, alle elezioni europee, ha ottenuto il 7,1% dei voti, quasi il doppio rispetto all’anno precedente e ha mandato i suoi primi sette eurodeputati a Strasburgo. Una volta giunti all’europarlamento, i deputati dell’AfD hanno optato per imparentarsi con l’Ecr il gruppo guidato dal Partito Conservatore britannico di David Cameron.
La svolta interna all’AfD è avvenuta nel luglio scorso, quando, dopo una serie di liti interne, il congresso del partito ha bocciato la leadership di Lucke e ha eletto presidente Frauke Petry. Lucke, uscendo dal partito ha abbandonato anche il gruppo europeo, che si è rapidamente svuotato. Ora, dei sette eurodeputati, ne sono rimasti solo due e si sono spezzati i legami con l'Ecr. Ma il partito, sotto la guida della sua nuova leader, ha nel frattempo ottenuto il maggior successo sinora registrato in patria. Nei tre Laender in cui si è votato, è la terza forza politica negli occidentali Baden Württemberg e Renania-Palatinato e addirittura secondo partito nel Land orientale della Sassonia-Anhalt.
Che cosa è cambiato? Il contesto, prima di tutto: se nel 2013 la maggior preoccupazione dei tedeschi era la crisi dell’eurozona, nel 2015 l’immigrazione è balzata in cima alla lista delle paure. L’accoglienza di un milione di immigrati e rifugiati, in Germania, non è stata affatto accolta con entusiasmo da una popolazione che si è sentita ignorata dal governo. E le violenze della notte di Capodanno, a Colonia e in altre città della Germania occidentale, hanno fatto il resto. La crisi di fiducia nei confronti della Merkel è stata colta e sfruttata in pieno dalla Petry, che ha iniziato a usare toni molto forti sul tema dell’immigrazione. La sua dichiarazione sulle nuove regole di ingaggio che farebbe adottare dalla polizia, inclusa la possibilità di sparare sugli immigrati alla frontiera “come ultima risorsa”, vuol dir poco in termini pratici, ma ha ottenuto l’effetto desiderato di provocare una tempesta mediatica. La Petry, insomma, ha spostato l’accento della campagna elettorale dalla lotta all’euro a quella all’immigrazione illimitata. Resta intatto, invece, il programma conservatore sociale del partito, che si oppone all’aborto, non vuole i matrimoni gay e propone programmi di sostegno alle famiglie numerose.
La combinazione fra programmi sociali a favore della famiglia e toni forti sull’immigrazione, fanno sì che l’AfD venga vista come “partito xenofobo” e di “destra populista” dalla stampa tedesca e del resto d’Europa. In realtà, il partito nato dal disagio europeo, per proteggere i risparmi dei tedeschi, ora ha dato una risposta simile a un’altra faccia dello stesso problema: proteggere la sicurezza e i risparmi dei tedeschi da una politica europea di accoglienza e integrazione, parole belle che nascondono molte insidie e incognite. Lucke, uscendo dal partito in polemica con la Petry, aveva denunciato la deriva dell’AfD quale “partito di Pegida”. In effetti, la crescita del movimento di piazza “contro l’islamizzazione” e quella elettorale dell’AfD procedono in parallelo e raccolgono consensi dallo stesso popolo.
Sia Pegida che l’AfD sfondano nella Germania ex comunista, in cui è nata e cresciuta la Petry. Fa il pieno di voti fra i russo-tedeschi, cioè quei tedeschi che vennero espulsi dall’Urss (o riuscirono a sfuggirvi) e che tuttora sono visti come un corpo estraneo dal resto della nazione. Prende voti da ultra-50enni ex comunisti per forza, preoccupati dalle incognite della riunificazione tedesca prima e dell’unificazione europea poi, non abituati alla “società liquida” del XXI Secolo e terrorizzati dalla prospettiva di un’immigrazione incontrollata (specie dopo che i fatti di Colonia e molto altro hanno confermato i loro peggiori incubi). Come Pegida sfila all’insegna del motto “Noi siamo il popolo”, lo stesso che veniva cantato durante la rivoluzione dell’Est del 1989, così l’AfD si ripropone di rappresentare il popolo contro le élite della Germania occidentale.
Date queste sue caratteristiche, l’AfD è più paragonabile alle formazioni politiche dell’Europa dell’Est ex comunisti che non ai partiti occidentali di destra. Si trovano più affinità fra gli attuali “alternativi” tedeschi e i conservatori ungheresi di Viktor Orban, o con i conservatori polacchi di Jaroslaw Kaczynski, che non con una Le Pen o con un Matteo Salvini. Per questo è veramente un corpo estraneo agli occhi della politica europea tradizionale.