Adozioni gay, così l’Ue cerca di imporle agli Stati
La Commissione europea studia un regolamento per imporre le adozioni gay in tutti i Paesi membri. Avviata una fase di consultazione, in cui i cittadini possono inviare i loro commenti.
L’Unione europea stringe il cappio al collo delle famiglie naturali e di quegli Stati membri che non riconoscono coppie Lgbt, adozioni gay e maternità surrogata. E lo fa con due azioni congiunte e simmetriche degli ultimi giorni, una presso la Corte di giustizia e una della Commissione dell’Ue.
Nel settembre scorso la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva dichiarato che sarebbe stato necessario regolamentare il fatto che la genitorialità riconosciuta in uno Stato membro fosse riconosciuta in tutti gli altri Stati dell’Ue. Nel suo discorso sull’Ue del 16 settembre 2020 la von der Leyen aveva affermato esplicitamente il suo impegno per costruire “un’Unione di uguaglianza. Un’Unione in cui puoi essere chi sei e amare chi vuoi, senza timore di recriminazioni o discriminazioni… la Commissione presenterà presto una strategia per rafforzare i diritti Lgbtqi. In questo contesto, spingerò anche per il riconoscimento reciproco delle relazioni familiari nell’Ue. Se sei genitore in un Paese, sei genitore in ogni Paese”.
Ebbene, nonostante il dramma che stanno vivendo gli europei e la disastrosa gestione della lotta al Covid, la Commissione nei giorni scorsi ha trovato il tempo di promuovere la prima fase di consultazione su questa idea radicale. Lo scopo finale è di imporre a tutti i Paesi membri il riconoscimento delle adozioni da parte di coppie Lgbt, anche nei Paesi in cui leggi e costituzioni definiscono chiaramente cosa sia la famiglia, la genitorialità e, dunque, le adozioni. L’obiettivo della Commissione - ribadito dalla commissaria all’Eguaglianza, Helena Dalli, sin dal febbraio 2020 - potrebbe essere raggiunto stabilendo non solo regole comuni per rendere compatibili leggi nazionali contrastanti in materia di diritto di famiglia, ma anche introducendo l’obbligo di riconoscere, da parte di tutti gli altri Stati membri, una sentenza relativa alla filiazione emessa dai tribunali di uno Stato membro.
La proposta furbesca della Commissione, non potendo violare i Trattati europei che riconoscono il diritto di famiglia come competenza nazionale, si concretizzerà in un regolamento dell’UE, vincolante per tutti i Paesi. Un regolamento europeo prevale su qualunque legge nazionale e, come spiega la Treccani, non richiede “(a differenza delle direttive) l’adozione di provvedimenti nazionali di attuazione da parte degli Stati membri, ma si applicano immediatamente in tali ordinamenti e sono efficaci nei confronti sia degli Stati che degli individui, senza necessità di ulteriori atti”.
È necessario opporsi e coinvolgere più persone possibili per contrastare questa iniziativa ingiusta e innaturale; è possibile presentare brevi opinioni registrandosi sulla piattaforma online della Commissione preposta a ricevere commenti dal 14 aprile e sino al 12 maggio (molto stranamente, solo dal 22 aprile è stato possibile inviare il proprio pensiero). Nello stesso tempo, una coalizione di associazioni europee sta organizzando una petizione internazionale per opporsi a questa ennesima imposizione della Commissione. L’iniziativa, coordinata dall’organizzazione polacca Ordo Iuris, dovrebbe decollare nei prossimi giorni e l’11 maggio prossimo ci sarà al riguardo un’ampia conferenza stampa.
Oltre a questa prima devastante iniziativa, negli scorsi giorni alla Corte di giustizia dell’Ue c’è stato il parere - non vincolante - dell’Avvocato Generale Juliane Kokott sul caso che vede opporsi la Repubblica della Bulgaria a due lesbiche, una delle quali bulgara, per il riconoscimento della nascita e cittadinanza della loro ‘figlia’, nata in Spagna, visto che leggi e Costituzione bulgare impongono il riconoscimento dei figli solo a una mamma e un papà. Ebbene, in attuazione del piano strategico imbracciato dalle istituzioni europee, Juliane Kokott ha raccomandato di “trovare un equilibrio tra l’identità nazionale degli Stati membri e il diritto alla libertà di movimento del bambino e dei suoi genitori… è ben vero che la Bulgaria può giustificare il suo rifiuto di riconoscere la filiazione della bambina con la sua legge nazionale, ma deve comunque rilasciarle un documento d’identità o un documento di viaggio... un rifiuto di rilasciarlo comprometterebbe quindi l’effettivo esercizio del diritto alla libertà di movimento della bambina”.
Una manna per gli avvocati della coppia lesbica che hanno ribadito, davanti ai giudici, come l’opinione dell’Avvocatura Generale rafforzi la loro richiesta che “la Bulgaria debba riconoscere il legame (di parentela) tra la bambina e le sue due madri”. Questa battaglia legale potrebbe essere un banco di prova per migliaia di coppie dello stesso sesso, i cui ‘figli’ in alcuni Paesi non possono acquisire la cittadinanza per via delle differenze legislative tra gli Stati membri dell’Ue.
L’iniziativa della Commissione e la sentenza della Corte di giustizia dell’Ue non solo dimostrano la pervicace follia di imporre il pieno riconoscimento delle cosiddette “nozze gay”, ma anche il riconoscimento di fatto della maternità surrogata, sulla stessa linea dell’ultima sentenza della Corte di Cassazione italiana. Il cappio si sta chiudendo intorno al collo di tutti noi e dei Paesi che ancora difendono l’identità cristiana e il diritto naturale. Per ora possiamo ancora opporci a questo futuro ‘arcobaleno’ che ci farà piombare tutti nel peggiore degli incubi. Partecipare e inviare le nostre opinioni alle iniziative europee sarà forse l’ultimo atto di libertà che ci è concesso, ma se non lo faremo dovremo risponderne alla nostra coscienza e ai nostri figli.