Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
CENTRODESTRA

Ad Arcore, Berlusconi detta le regole a Salvini

Mentre a sinistra è crisi per Renzi, Berlusconi detta le sue regole del gioco a Salvini. Imponendogli di giocare sul suo terreno, ad Arcore, aggiudicando il maggior numero dei collegi per Forza Italia. Intanto, forse persuaso da Berlusconi stesso, Maroni non si ricandida in Lombardia. Sarà candidato per eventuali "larghe intese"?

Politica 09_01_2018
Salvini, Meloni e Berlusconi

Centrodestra e centrosinistra provano a eclissare i Cinque Stelle e si rincorrono a colpi di promesse elettorali, che peraltro paiono di dubbia realizzazione, dall’abolizione del canone Rai alle pensioni minime a 1000 euro, dal reddito di dignità agli sgravi sull’auto utilizzata per lavoro. Sembra la fiera della demagogia, ma è dietro le quinte che già si disegnano gli scenari della prossima legislatura, con la silenziosa approvazione del Quirinale, che auspica ampia partecipazione al voto e stabilità di governo per i prossimi cinque anni.

A sinistra i giochi sono apertissimi e nel Pd ci si rende conto che l’unico modo per recuperare voti è quello di puntare sul premier Gentiloni e su ministri come Franceschini, Minniti e Padoan, lasciando nell’ombra un Renzi ormai in caduta libera. Gli ultimi sondaggi danno i dem sotto il 25% e Liberi e Uguali decisivi in molti collegi uninominali in bilico.

A destra la situazione, almeno all’apparenza, è più chiara. Il vertice di Arcore di domenica sera ha sancito un patto a quattro, ma soprattutto ha confermato la supremazia di Silvio Berlusconi e la marginalità di Matteo Salvini. Già nella scelta del luogo del summit il leader del Carroccio ha dovuto ingoiare il primo rospo: si era battuto per un luogo neutro e invece si è ritrovato nelle solite mura domestiche berlusconiane. Inoltre, aveva sbraitato contro riciclati, trasformisti, democristiani e opportunisti ed è stato costretto ad accettare che al tavolo delle trattative sui collegi siedano anche i rappresentanti dell’odiata “quarta gamba”, ufficialmente centristi e moderati, in realtà una “longa manus” dell’ex Cavaliere per contare ancora di più e per completare la manovra di accerchiamento nei confronti dell’irrequieto alleato amante delle felpe. Forse, ma non è neppure detto questo, Salvini riuscirà a ottenere l’esclusione dalle liste di Enrico Zanetti, ex di Scelta civica, e di Flavio Tosi, odiato ex leghista, ma nulla potrà rispetto alle candidature di Maurizio Lupi, già proiettato verso la rielezione nel collegio di Merate, e di altri ex sostenitori dei governi di centrosinistra ora tornati all’ovile berlusconiano. Anche nella ripartizione dei collegi ha vinto Berlusconi: 40% a Forza Italia, 35% alla Lega, 15% a Fratelli d’Italia e 10% alla “quarta gamba”. Ma, come detto, il 10% destinato agli alleati centristi è di fatto il bottino di un’area satellite dell’ex Cavaliere. Giorgia Meloni e Matteo Salvini si consolano con la promessa di un patto “anti-inciucio” da firmare a febbraio, ma se il centrodestra non dovesse arrivare al 40% e ci fosse l’esigenza di formare un governo di larghe intese, siamo sicuri che gli eletti di Forza Italia e quelli del polo centrista si tirerebbero indietro?

Gli altri due successi di Berlusconi su Salvini si chiamano simbolo elettorale e Roberto Maroni. Sul manifesto di Forza Italia campeggia la scritta “Berlusconi Presidente”. Non si tratta di pubblicità ingannevole, come sostengono i Cinque Stelle, perché di fatto quello slogan gioca solo in parte sull’equivoco: Berlusconi, pur non essendo candidabile, è comunque il presidente (e il fondatore) di quel partito. Ma l’obiettivo della scritta “Berlusconi Presidente” è duplice: raccogliere i voti dei simpatizzanti di una vita, illudendoli su un ruolo di primo piano per il loro idolo nella prossima legislatura, e offuscare la candidatura a premier di Matteo Salvini (sui volantini elettorali del Carroccio campeggia invece la scritta “Salvini premier”).

Quanto alla scelta di Roberto Maroni di non ricandidarsi alla Presidenza della Regione Lombardia, ipotesi che sembrava fantascientifica fino a pochi giorni fa, tanto più all’indomani di un riuscitissimo referendum sull’autonomia, fortemente voluto dal governatore, le spiegazioni dietrologiche si sprecano. Addirittura c’è chi sostiene che Berlusconi abbia spinto su questa soluzione per dare una mano a Giorgio Gori (e a Matteo Renzi) nella corsa al Pirellone. Più realisticamente, Maroni si rende conto di poter rappresentare una risorsa per il centrodestra in caso di stallo post-voto. La sua è una figura apprezzata da tutti i partiti di quell’area e anche in ampi settori del centrosinistra. Immaginare per lui il ruolo di premier in un governo di responsabili non è fantapolitica. Il suo equilibrio potrebbe tornare utile anche in ruoli delicati e di grande responsabilità istituzionale (Presidente del Senato o della Camera o Ministro degli interni, posizione già ricoperta in precedenti governi Berlusconi e con eccellenti risultati). Secondo alcuni ci sarebbe Berlusconi dietro la scelta di Maroni. Certamente il primo è contento di potersi ritrovare il secondo a Roma, quale figura di spicco di una Lega dialogante e aperta a soluzioni istituzionali inclusive. E’ lecito ipotizzare un governo di larghe intese tra Forza Italia, Partito democratico, centristi di destra di sinistra, leghisti dialoganti e, forse, anche Liberi e Uguali, presieduto dallo stesso governatore lombardo uscente? Salvini potrebbe mettersi di traverso, visto che Maroni proviene dalle fila del suo partito, oppure finirebbe per ingoiare anche l’ennesimo rospo?