“Accordo Cina-Vaticano cattivo, l'ho detto al Papa”
«Se questo accordo è cattivo, sono più che felice di essere un ostacolo». Il cardinale Joseph Zen torna sull'accordo tra Vaticano e governo cinese e svela l'esito di un incontro col Papa: «Non vuole un altro caso Mindszenty, ma non si può fare nessun accordo con Erode».
«Sono forse io il maggior ostacolo al processo di accordo fra il Vaticano e la Cina? Se questo accordo è cattivo, sono più che felice di essere un ostacolo». E’ il punto finale di un lungo intervento che il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, ha postato ieri sul suo blog personale, ripreso dall’agenzia Asia news.
Proprio sull’agenzia diretta da padre Bernardo Cervellera, lo scorso 22 gennaio si era aperto un caso sullo stato dei rapporti tra Cina e Vaticano. Con un articolo di John Baptist Lin si dava conto della richiesta di una delegazione vaticana a Pechino per far dimettere due vescovi “legittimi” e sostituirli con due prelati “illeciti”, non ancora riconosciuti dalla Santa Sede. Il fatto è indice dell’altissimo prezzo che si è disposti a pagare per raggiungere l’accordo con la Cina da parte della Chiesa cattolica.
Dopo quell’articolo La Nuova BQ ha intervistato il cardinale Zen che di fatto ha confermato la notizia circa le pressioni esercitate sui vescovi Pietro Zhuang Jianjian di Shantou (Guangdong) e Giuseppe Guo Xijin, vescovo ordinario di Mindong, da parte di una delegazione vaticana. Secondo l’articolo comparso su Asia news il 22 gennaio, il prelato “straniero” presente ai colloqui sarebbe stato monsignor Claudio Maria Celli, che, seppur pensionato, sembra svolgere un ruolo centrale nel dossier Cina-Vaticano.
Nel suo intervento di ieri il cardinale Zen sembra confermare la presenza di monsignor Celli nella delegazione che avrebbe chiesto le dimissioni ai due vescovi per far posto ad altri ancora non riconosciuti dalla Santa Sede. «Sì», scrive Zen, «per quanto mi è dato sapere, le cose sono avvenute proprio come sono raccontate su AsiaNews (l’articolo di AsiaNews “crede” che il vescovo che guidava la delegazione vaticana [in Cina] fosse monsignor Celli. Io non so con quale ruolo ufficiale egli fosse là, ma è quasi sicuro che fosse proprio lui a Pechino)».
Zen racconta anche alcuni dettagli confidenziali del recente incontro privato che ha avuto con Papa Francesco la sera di venerdì 12 gennaio. «Quando l’anziano e afflitto mons. Zhuang mi ha chiesto di portare al Santo Padre la sua risposta al messaggio da lui ricevuto dalla “delegazione vaticana” a Pechino, non ho potuto dirgli di no. Ma cosa potevo fare per essere sicuro che la sua lettera raggiungesse il Santo Padre, quando non sono sicuro nemmeno se le mie lettere giungono a lui [?]. Per assicurarmi che la nostra voce arrivi al Santo Padre, ho preso subito la decisione di andare a Roma. Ho lasciato Hong Kong la notte del 9 gennaio, arrivando a Roma al mattino presto del 10 gennaio (…)». Alla fine dell’udienza del mercoledì, racconta ancora Zen, «ho avuto la possibilità di mettere nelle mani del Santo Padre la busta, dicendo che ero venuto a Roma al solo scopo di portare a lui la lettera di monsignor Zhuang, sperando che egli trovasse il tempo di leggerla».
«Nel pomeriggio di quel giorno, il 10 gennaio, ho ricevuto una chiamata da Santa Marta, in cui mi si diceva che il Santo Padre mi avrebbe ricevuto in udienza privata la sera di venerdì 12 gennaio. (…) Quella sera, la conversazione è durata circa mezz’ora. (…) La domanda più importante che ho posto al Santo Padre (che era citata anche nella lettera) era se egli aveva avuto tempo di “studiare il caso”. (…) Nonostante il pericolo di essere accusato di rompere la confidenzialità, ho deciso di dirvi quanto sua Santità ha detto: “Sì, ho detto loro [i suoi collaboratori nella Santa Sede] di non creare un altro caso Mindszenty”!».
Il cardinale ungherese Josef Mindszenty (1892 – 1975) è stato arcivescovo di Budapest, cardinale primate di Ungheria sotto la persecuzione comunista. Contrario alla cosiddetta ostpolitik vaticana nei confronti dei governi comunisti dell’est Europa, Mindszenty pagò personalmente le sue scelte, senza però piegarsi mai. Le scelte del Vaticano lo ferirono direttamente, «sotto la pressione del governo», scrive Zen, «la Santa Sede gli ordinò di lasciare il Paese e nominò un suo successore a piacere del governo comunista».
In otto punti finali il cardinale Zen offre una sintesi di quello che è il suo pensiero sulla situazione degli accordi del Vaticano con il governo cinese. «Non è un bene cercare di trovare un terreno comune per colmare la pluridecennale divisione fra il Vaticano e la Cina?», si chiede il cardinale. E la risposta è in un’altra domanda: «Ma ci può essere qualcosa di “comune” con un regime totalitario? O ti arrendi o accetti la persecuzione, ma rimanendo fedele a te stesso (si può immaginare un accordo fra san Giuseppe e il re Erode?)».