Abusi in Cile, l'affaire "scotta" nelle mani di Francesco
Caso Cile, dopo aver ricevuto le vittime di abusi del sacerdote Karadima coperti dal vescovo Barros, si attendono le mosse di Papa Francesco. Sono stati fatti nomi e cognomi di altissimi prelati e suoi stretti collaboratori. Che decisioni prenderà per dimostrare di non coprire lo scandalo?
Le tre vittime del prete cileno Fernando Karadima sono state ricevute a Santa Marta da Papa Francesco nei giorni 27, 28 e 29 aprile. I tre hanno dichiarato alla stampa internazionale di essere state uccise due volte, «una con gli abusi, l’altra con il non essere ascoltati». Così hanno detto Juan Carlos Cruz, James Hamilton e Jose Andrés Murillo durante la conferenza stampa del 2 maggio a Roma, indicando chiaramente come l’omertà e la protezione sia una piaga nella piaga che la Chiesa deve affrontare per estirpare questa «epidemia» degli abusi su minori.
L’incontro in Vaticano è avvenuto in seguito al burrascoso viaggio del Papa in Cile dello scorso gennaio, quando Francesco aveva difeso il vescovo Juan Barros di Osorno, apertamente accusato di aver coperto, e anche in qualche modo partecipato, ad episodi di abuso praticati dal Karadima. «La mia conclusione», ha dichiarato Cruz, «è che il Papa è stato male informato, ma ora sa tutto e vogliamo misure molto drastiche, molto concrete e che l'esempio del Cile sia un modello per il resto del mondo». La reiterata difesa del vescovo Barros da parte di Francesco è stata ribaltata dal rapporto che l’inviato papale monsignor Charles Scicluna ha redatto dopo essere stato in Cile ad ascoltare direttamente le vittime. Oltre 2000 pagine di dossier che, ha specificato ancora Cruz, hanno «aperto gli occhi al papa, che è stato disinformato».
Ora Francesco chiede perdono, affermando davanti alle vittime che lui è «stato parte del problema», fino a dire in modo molto forte: «Sono stato la causa di ciò e chiedo perdono». Cruz ha commentato di aver detto a Francesco che non solo il vescovo Barros era presente quando Karadima aveva abusato di minori, ma anche i vescovi «Tomislav Koljatic, Horacio Valenzuela e Andrés Arteaga». Un’accusa di insabbiamento che colpisce i vertici della chiesa cilena e non solo. «Io spero che i cardinali Ezzati e Errázuriz e tutti i vescovi che coprirono gli abusi paghino le conseguenze del loro atto criminale e magari, in un giorno vicino, si ritirino a pregare in un convento».
Vengono così a galla i nomi di coloro che avrebbero male informato il Papa, oltre al cardinale Javier Errázuriz, 84 anni, per decenni vero patron della chiesa cilena e oggi membro del gruppo di nove cardinali che aiutano il Papa nel governo della chiesa universale, e l’attuale arcivescovo di Santiago, cardinale Ricardo Ezzati. Ma non solo loro, perché le vittime fanno espressamente il nome di monsignor Ivo Scapolo, nunzio in Cile dal 2011, tirato direttamente in ballo da Hamilton. E con il nome del nunzio qualche osservatore azzarda anche quello del potente cardinale Angelo Sodano, oggi decano del collegio cardinalizio e a lungo Segretario di Stato con grandi influenze e contatti in America latina.
«Siamo di fronte alla più grande crisi della Chiesa nella sua storia, è una crisi interna che sta uccidendo la fede dal di dentro, dalla credibilità. La Chiesa non deve continuare a spegnere gli incendi come un vigile del fuoco», ha detto Hamilton. Cruz ha insistito sulla necessità di procedere ad azioni concrete: «Ora il perdono richiede azioni nel futuro, spero che non gli tremi la mano nelle decisioni che deve prendere». Le vittime vogliono giustizia e chiedono la testa degli insabbiatori e dei colpevoli, il Papa quindi dovrà agire in qualche modo e probabilmente qualcosa si comincerà a capire quando, dal 14 al 17 maggio prossimi, Francesco incontrerà in Vaticano i vescovi del Cile. Potrebbero saltare le teste del nunzio Ivo Scapolo e del vescovo Barros, ma sarà interessante capire cosa farà il pontefice nei confronti dell’anziano cardinale Errazuriz, suo stretto collaboratore nel C9, e dell’attuale vescovo di Santiago Ezzati.
L’altro problema aperto è quello che ha sollevato anche il direttore del sito paravaticano Il Sismografo, Luis Badilla, il quale ha giustamente indicato la mancata «azione deterrente», soprattutto di fronte a «non pochi individui con personalità pedofila, [che] sono entrati in questi anni nei seminari per provare a coprire le loro pulsioni perverse». In questo caso si innesta l’altra questione circa la definizione del problema, vale a dire dei cosiddetti casi di pedofilia che in realtà nella maggioranza dei casi hanno a che fare con l’omosessualità. Come noto, infatti, la pedofilia propriamente detta riguarda l’attrazione degli adulti nei confronti di bambini prepuberi. Quando, invece, si tratta di adolescenti, come nella maggioranza dei casi di abuso nel clero, si deve parlare di efebofilia e ha per protagonisti persone con tendenze omosessuali. Sono questioni delicate, ma che nel caso dei seminari incrociano le regole per la formazione al sacerdozio della Chiesa cattolica rinnovate nel dicembre 2016. Qui, infatti, si indica che «la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay».