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LA "MARCHA" IN ARGENTINA

Aborto, il No di Chiesa e popolo strozzato dalle elites

In Argentina l'imponente marcha por la vida dimostra che l'approvazione di una legge che legalizzi l'aborto non è voluta dal popolo. Ma le elite di Palazzo non lo ascoltano e si affidano ai sondaggi. Per far passare la legge che depenalizza l’aborto, si contrappongono non dimostrate aperture di Papa Francesco all'impegno di vescovi coraggiosi. Come Hector Aguer, cacciato da un confronto pubblico perché la Chiesa deve stare fuori dal dibattito. 

Vita e bioetica 27_03_2018

Il popolo parla, ma il Palazzo non lo ascolta e si affida ai sondaggi. Non importa se si scende in piazza contro l’aborto, per la politica è sufficiente che i sondaggi stiano dalla loro. Per approvare la legge che depenalizza l’aborto, in Argentina si stanno vivendo giorni concitati.

Prima l’annuncio del presidente Mauricio Macri che con una dichiarazione pilatesca e per molti traditrice, ha sostanzialmente legittimato l’iter parlamentare che punta a depenalizzare l’aborto. Domenica è arrivata la risposta del popolo: migliaia di persone hanno manifestato per la tradizionale Marcia per la vita che si è snodata lungo le vie principali di Buenos Aires. Migliaia, il numero non conta, perché le immagini testimoniano di una imponente partecipazione di popolo. Ma anche perché il principale quotidiano argentino, Clarin, ha riconosciuto nelle migliaia di argentini scesi in strada, il naturale antagonista della classe politica che invece in questi giorni sta esaminando i diversi disegni di legge per legalizzare definitivamente l’aborto dopo anni di rivendicazioni femministe.

E’ dunque una partita dai due volti quella che si sta giocando sulle rive dei Riachuelo: da un lato il movimento popolare, alla cui testa si sono messe le due principali confessioni religiose del Paese, quella cattolica e quella evangelica. Dall’altro la classe politica che utilizza quegli slogan che in Italia si sentivano negli anni ’70, in una riproposizione fuori tempo massimo delle istanze con le quali nelle democrazie occidentali sono state introdotte le leggi per la soppressione volontaria dei nascituri.

Ma in Argentina il contesto è leggermente diverso. Anzitutto perché la marcha por la vida che si è tenuta domenica pomeriggio è stata convocata il 25 di marzo, solennità dell’Annunciazione, data in cui tutti gli anni e in tutte le città argentine si celebra la giornata per la vita nascente, istituita dal presidente argentino negli anni ’90, Carlos Menem. Ma anche perché quest’anno, oltre a coincidere liturgicamente con la domenica delle Palme, la marcha è caduta nel bel mezzo delle discussioni parlamentari sulla approvazione del disegno di legge che, dopo l’endorsement favorevole del presidente della Repubblica, non aveva ancora incontrato una opposizione valida.

L’opposizione è questa, dunque. Un popolo con alla testa la Chiesa cattolica, dato che nei giorni scorsi più volte i vescovi del Paese hanno levato la loro voce, ma che ha visto nella figura di Hector Aguer, vescovo di La Plata, il principale bersaglio di giornali e commentatori politici. Aguer infatti nei giorni precedenti la manifestazione non solo è stato oggetto di pesanti attacchi che gli hanno dato persino del “medievale” a fronte di sue recenti dichiarazioni sulla fornicazione, il pansessualismo e il decadimento morale del Paese, ma che è stato persino censurato da un incontro pubblico sul tema dell’aborto organizzato dall’ordine dei medici che avrebbe dovuto vederlo protagonista nel maggio prossimo. 

Aguer avrebbe dovuto sostenere le ragioni del No, ma dopo le critiche l’ordine ha deciso di annullare l’incontro perché “un esponente della Chiesa non può entrare in questo tipo di dibattitto”.

Infatti la linea che nel Paese si tende a tenere è questa: la Chiesa non deve immischiarsi in queste faccende. Sembra di essere tornati indietro agli anni bui del regime dei colonnelli, ma è quello che sta accadendo. Si citano così sondaggi secondo i quali il 63% degli argentini crede che la Chiesa non debba intervenire in questo dibattito.

Uno studio recente, pubblicato dal quotidiano Perfil, mostrerebbe che la società argentina è largamente favorevole alla legalizzazione dell'aborto: dal 60% al 40%. Alla domanda su casi specifici, come l'aborto in caso di stupro, il numero sale fino all'80%. E sarebbe colpa della Chiesa se l’aborto non è ancora stato legittimato: “La Chiesa è percepita come un'istituzione minoritaria che impone l'illegalità e con essa un grande business per la medicina privata clandestina”.

Ma per estromettere la Chiesa cattolica, che assieme a quella evangelica ha rappresentato l’ossatura del corteo di domenica, si arriva persino a usare Papa Francesco.

Questi in Argentina non è ancora venuto perché – come ha detto recentemente – il Paese non è ancora pronto e maturo ad accoglierlo -, ciononostante la sua figura viene utilizzata anche nel contesto della liberalizzazione dell’aborto. E’ quanto ad esempio ha fatto il Clarin che, commentando il successo della kermesse pro vida in un tripudio di bandiere albiceleste, ha contrapposto alla figura del reazionario Aguer proprio il Papa venuto dalla fine del mondo. “Il papato è attualmente occupato da un pontefice come Francisco, che ha un atteggiamento più aperto e solidale nei confronti di questi problemi (nonostante rifiuti fermamente l’aborto)”, ha commentato uno dei biografi più vicini a Francesco, Sergio Rubin.

La legge sull’aborto, dunque, in Argentina rischia di passare attraverso questa contrapposizione tra Aguer e Papa Francesco. 

Storytelling, al momento, e anche dei più dozzinali, che però fa presa nel racconto mediatico, ma che invece non sembra fare breccia per nulla nel popolo argentino. Domenica non sono scesi in strada solo a Buenos Aires, ma anche nelle principali città del Paese. Si è trattato di una manifestazione corale e compatta a tutela della vita nascente e della dignità dell’embrione di cui difficilmente il presidente Macri potrà non tenere conto. Al di là dei sondaggi.

Così il caso argentino dimostra una verità incontestabile: mentre le elite lavorano per stravolgere l’antropologia umana, il popolo, quando dice la sua, lo fa mostrando la sua forza. Ma da queste parti, e non solo, è solo il frutto del populismo. Le elite sanno di che cosa ha davvero bisogno il popolo. Uno stridente contrasto tra il paese reale e il virtuale dei poteri forti.