Aborto forzato su disabile, il Regno Unito odora di Cina
In estate il tentativo di aborto forzato su una disabile mentale, con la sentenza poi ribaltata in appello e il suo bambino nato pochi giorni fa. Ma nel frattempo, sempre in Gran Bretagna, ecco un giudice sentenziare contro il bimbo di un’altra disabile incinta. E stavolta, visto il consenso della famiglia affidataria, l’ordine pare definitivo. Una barbarie che ricorda i peggiori regimi.
Ricordate la giovane con ritardi mentali che in estate aveva rischiato di subire, prima che la sentenza del giudice inglese Nathalie Lieven venisse ribaltata in appello, un aborto forzato? Proprio in questi giorni quella giovane, 24 anni, ha dato alla luce un bambino, segno visibile della ricchezza generata dalla cultura della vita. Sia lei che il figlio, nato a seguito di un parto cesareo, stanno bene. E chissà la gioia della nonna materna, una nigeriana con esperienze da ostetrica, che si era opposta fin da subito alla decisione dei medici del National Health Service (NHS) di abortire il suo nipotino, facendo pure presente che sarebbe stata lei a prendersi cura del piccolo, e motivando la sua ferma contrarietà anche in ragione della fede cattolica sua e della stessa figlia.
Senza la sua tenacia e il suo cuore di madre e di nonna, a quest’ora quel bambino quasi certamente non sarebbe nato. Ma se da un lato c’è la buona notizia della nascita, dall’altro rimane una vicenda dai tratti inquietanti. Subito dopo il parto, l’ospedale ha applicato forzosamente alla giovane disabile un mezzo contraccettivo.
Anche questa decisione è passata per l’aula di un tribunale e a nulla sono valse stavolta le rimostranze della madre e del suo avvocato, Susanna Rickard, che hanno sottolineato come la contraccezione obbligatoria sia un’interferenza ingiustificata nella vita della ventiquattrenne disabile. Che si presume sia rimasta incinta nel periodo di Natale durante una visita ai familiari in Nigeria, mentre si ignora chi sia il padre del bambino. Tutte le parti concordano sul fatto che la giovane manchi della capacità di acconsentire a un rapporto sessuale.
La madre ha cercato di spiegare di avere un piano per evitare che la figlia rimanga sola o esposta al pericolo di una violenza sessuale. Ma la Corte di Protezione, organo che giudica nei casi in cui le persone interessate vengano ritenute incapaci di prendere decisioni autonome e presieduta nell’occasione dal giudice MacDonald, ha dato ragione all’NHS, e quindi alla contraccezione forzata, secondo l’assunto che non sarebbe nel «miglior interesse» (torna di nuovo l’ormai famigerato principio…) della giovane disabile concepire un altro bambino. Come dire che si preferisce imporre un male in sé, contrario alla legge naturale nonché alla fede della famiglia coinvolta, pur di evitare non certo il male eventuale - un altro ipotetico stupro, rispetto a cui nulla potrebbe il contraccettivo - ma il bambino che eventualmente verrebbe concepito. Il relativismo morale, del resto, si accompagna al sonno della ragione.
Se il bambino di questa giovane disabile, comunque, è potuto venire alla luce, proprio negli ultimi giorni è emerso il caso di un altro ordine di aborto forzato, pare purtroppo definitivo, dal momento che in questa circostanza c’è il consenso dei medici e della famiglia affidataria. L’ordine è stato emesso dal giudice David Basil Williams venerdì 11 ottobre, quando la donna incinta - una disabile di circa vent’anni con seri problemi di sviluppo cognitivo - aveva raggiunto le 12 settimane di gravidanza (la polizia ha avviato un’indagine per capire se la giovane sia stata vittima di violenza sessuale). Fino a ieri non era di pubblico dominio la sorte del bambino, il cui aborto, secondo le cronache d’Oltremanica, era stato fissato per la settimana scorsa.
Nel frattempo, la Spuc (Society for the protection of unborn children) si è mobilitata sollecitando attraverso una lettera l’intervento di Robert Buckland (ministro della Giustizia), di Ian Burnett (Lord giudice capo della Corte d’Inghilterra e del Galles), e di James Munby (presidente della Corte di Protezione). «La vita è preziosa», ha scritto nella sua lettera il presidente della Spuc, John Smeaton, spiegando che «sembra che non sia stata presa in considerazione la prospettiva di consentire a questa signora di far nascere il suo bambino, con la possibilità di far adottare il bambino dopo la nascita». Difendendo il diritto alla vita del piccolo, Smeaton scrive che «ogni persona di buonsenso troverà incomprensibile la sentenza». Di fatto, «un tale livello di crudeltà e barbarie fa venire in mente come le persone con problemi di salute mentale sono state trattate negli anni Trenta dalla Germania nazista».
Una barbarie che richiama anche, per avvicinarci ancora di più ai nostri tempi, le politiche per l’aborto forzato in Cina (400 milioni di bambini uccisi in meno di quattro decenni, secondo le stime ufficiali), condotte con la complicità dell’Unfpa, ossia il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, che con altre agenzie “sorelle” dell’Onu si è resa responsabile pure di contraccezione e sterilizzazioni forzate nei Paesi poveri.
Il Regno Unito mostra che la faccia più feroce della mentalità antinatalista e abortista sta gettando la maschera anche in Europa, con due casi in quattro mesi. Il primo dei quali, sebbene risoltosi positivamente per il bambino e la sua famiglia, ha dato modo ai giudici di appello di fissare un pericoloso precedente, in quanto nella sentenza si afferma prima che «eseguire un’interruzione di gravidanza in assenza del consenso di una donna è un’invasione molto profonda dei suoi diritti» ma subito dopo si aggiunge: «sebbene l’interferenza sarà legittima e proporzionata se la procedura è nel suo miglior interesse». Chiamatela autodeterminazione di una dittatura.