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ALLARME DI CAFFARRA

«A rischio il «genoma» del sacerdozio cattolico»

«Il sacerdozio cattolico in Occidente sta vivendo una «morfogenesi» che rischia di cambiare perfino il suo «genoma» divinamente istituito». L'ha detto il cardinal Caffarra nella prefazione di un libro sulla figura di don Enzo Casadei. «Il prete disegnato e voluto da Dio stesso rischia di trasformarsi pericolosamente in qualcosa d’altro».

Ecclesia 03_06_2017

“Il sacerdozio cattolico in Occidente sta vivendo una «morfogenesi» che rischia di cambiare perfino il suo «genoma» divinamente istituito”: queste parole di allarme per il ministero dei preti vengono dal Card. Carlo Caffarra. Sono datate al 19 gennaio scorso, ma in realtà inedite fino a oggi, perché costituiscono la prefazione del libro appena uscito in memoria di un sacerdote cesenate, don Ezio Casadei (1925-2015). 

Parole significative, perché non riguardano la pastorale né la sociologia ecclesiale - temi già ben illustrati dagli spot video dell’otto per mille ed ampiamente discussi in mille convegni e articoli - bensì l’ontologia, il DNA stesso del sacerdozio. Secondo l’arcivescovo emerito di Bologna, il «genoma» del prete così come è stato disegnato e voluto da Dio stesso rischia di trasformarsi pericolosamente in qualcosa d’altro. I motivi indicati a Caffarra: “Straziato come è (il sacerdozio, ndr) dalla tentazione di ridursi ad esercitare le opere di Misericordia corporale e dalla tentazione di conservare ciò che non esiste più».

Ulteriori indizi su tale doppia tentazione, il cardinale non ne fornisce. Ma in un altro brano della prefazione si comprende bene il livello della sua preoccupazione: dal racconto tratteggiato nel libro, a cura di Raffaele Bisulli, “risulta con chiarezza - scrive Caffarra - la coscienza drammatica che don Ezio aveva del suo sacerdozio. Per coscienza drammatica intendo la consapevolezza che il ministero sacerdotale vive nel cuore del dramma il cui prot(o)-agonista è Cristo nella potenza operante del suo atto redentivo. Il secondo attore è la persona umana nella sua libertà. L’ant(i)-agonista è il Satana. La trama si può riassumere in due [non una!] parole: «Misericordia di Dio» - «libertà dell’uomo»”. Quindi la lotta fra Cristo e Satana disegna drammaticamente l’identità del prete.

Caffarra si sofferma sulla “centralità che per questo sacerdote aveva la celebrazione dell’Eucarestia, e la celebrazione del Sacramento della Confessione. E non dammeno, la passione per l’educazione della persona come educazione alla libertà”. Nel libro, intitolato «Don Ezio. Una fede indomabile, un’amicizia fedele», ed. Alpha Service, Cesena, sono proprio quelle sul sacerdozio le pagine più dense.

“C’era in don Ezio - scrive Bisulli - un’acuta consapevolezza del compito primario ed essenziale del prete: quello di essere ministro dei sacramenti dell’Eucarestia e della Confessione. Spesso ricordava a noi che senza il sacerdote non c’era la Messa e non c’era l’Eucarestia, l’unica possibilità di un incontro fisico con Gesù, e che senza il sacerdote non c’era la possibilità di dire a una persona: «Va’ in pace i tuoi peccati sono stati perdonati»”. Frasi semplici e di cristallina chiarezza, oggi non più scontate.

“Don Ezio - prosegue Bisulli - non era in senso stretto un liturgista, anzi qualche volta criticava le scelte che gli specialisti di liturgia avevano imposto nella celebrazione della Messa; altre volte, invece, non era persuaso delle traduzioni delle lettere di san Paolo o dei brani evangelici: pensava che in certi casi avevano fatto perdere il vigore di alcune espressioni di Gesù e di san Paolo, ma questo non gli impediva affatto di amare la celebrazione della Messa che si capiva benissimo aveva un ruolo importantissimo nella sua giornata”.

Bisulli e gli altri amici più stretti lo capirono quando don Ezio, già avanti negli anni, ebbe uno svenimento prima di celebrare Messa nella cappella di palazzo Ghini: non voleva essere trasportato in ospedale, “con la sua proverbiale grinta si arrabbiò e disse che non voleva assolutamente andarci”. Dovette cedere solo perché le ragioni terapeutiche non lasciavano alternative. 

Il “noi” di cui parla ampiamente Bisulli nel tratteggiare la vita di don Casadei, “Billy” per gli amici, è il movimento di Gioventù Studentesca, poi Comunione e Liberazione, che lui incontrò e seguì poi come educatore e responsabile a partire dal 1962 fino alla fine della sua giornata terrena.  

Colpisce, in fondo al libro - presentato il 30 maggio al Teatro Verdi di Cesena alla presenza del vescovo mons. Regattieri - il testo dell’omelia predicata da don Ezio Casadei il 24 giugno 2008 a Macerone per il 60° anniversario della sua ordinazione: “Non c’è gioia più grande di quella di poter dire: «Prendi e mangia Cristo per ristorarti, per non venir meno per via, per la strada». E ancora, dire a uno che è oppresso, come dice la colletta di questa Messa, oppresso dal peccato: «Sei perdonato. Il Signore è con te!»”. Parole semplici, immediate, comprensibili e profonde, nelle quali traspare il «genoma» del prete. Quel DNA che, secondo il Card. Caffarra, rischia una mutazione.