Suicidio assistito, Comitato di Bioetica non ha detto "sì"
Dopo il parere approvato il 18 luglio, alcuni media hanno diffuso la notizia che il CNB fosse a favore del suicidio assistito, ma non è così, come l’organo ha chiarito in una nota. Anzi, è proprio spaccato a metà. Come si sono espressi i cattolici nei temi oggetto del parere? Sostanzialmente in modo positivo e uniti, ma con qualche ombra: come quando si accetta che nelle leggi lo Stato privilegi il fatto che siano condivise piuttosto che siano giuste. E poi la “scelta consapevole” del paziente non giustifica sul piano morale la rinuncia a cure proporzionate e salvavita, che dovrebbero essere fornite comunque, anche contro la sua volontà, in ragione del suo bene.
Il Comitato Nazionale di Bioetica (CNB), organo consultivo del governo, il 18 luglio scorso ha redatto un parere sul suicidio medicalmente assistito (clicca qui). Il motivo che ha spinto il CNB ad investigare questo tema è stato fornito dai lavori parlamentari, attualmente in corso, di revisione dell’art. 580 del Codice penale che sanziona l’aiuto al sucidio. Lavori parlamentari stimolati dall’ordinanza n. 207/2018 della Corte costituzionale che chiedeva di depenalizzare o legittimare in alcuni casi il suicidio assistito.
I media hanno diffuso la notizia che il CNB fosse a favore del suicidio assistito. Non è così, tanto che il Comitato è stato costretto ieri ad emanare una nota esplicativa (clicca qui) per correggere le storture interpretative operate dalla stampa. In realtà il CNB ha meramente fotografato i diversi orientamenti presenti tra i propri membri. Semplificando assai, si sono evidenziati due schieramenti: chi è a favore del suicidio assistito e chi è contrario. Questa dicotomia è apparsa evidente anche in tutte quelle tematiche connesse alla tematica principale: la dignità personale, l’autodeterminazione, il ruolo del medico, l’argomento del pendio scivoloso, le cure palliative, etc.
La leva principale, usata dai media, per far dire al CNB che fosse a favore del suicidio assistito è stata la lettura di questo passaggio riferito alla definizione di eutanasia, messa poi in relazione alla definizione di suicidio assistito data successivamente: “In generale qui la [l’eutanasia] intendiamo come l’atto con cui un medico o altra persona somministra farmaci su libera richiesta del soggetto consapevole e informato, con lo scopo di provocare intenzionalmente la morte immediata del richiedente” (p. 9). Segue poi la precisazione che l’eutanasia è pratica differente rispetto al suicidio assistito. Da questa distinzione è nato il seguente sofisma mediatico: se l’eutanasia è considerata nell’immaginario collettivo perlopiù pratica malvagia e se il suicidio assistito non è eutanasia ciò significa che per il CNB l’aiuto al suicidio è pratica eticamente lecita.
Ma in realtà questo passaggio non esprime il parere di tutti i membri del CNB, nonostante il suo incipit possa far sembrare il contrario. Infatti dopo due pagine si precisa che “per alcuni orientamenti [presenti nel CNB] distinguere l’aiuto al suicidio dall’eutanasia può risultare operazione inconsistente e speciosa, data la sostanziale equivalenza tra il fatto di aiutare una persona che vuole darsi e si dà la morte, e il fatto di essere autore della morte di questa persona” (p. 11). Oltre a ciò, come ha fatto giustamente osservare la prof.ssa Assuntina Morresi nella sua postilla finale al documento (pp. 30-31), la definizione di eutanasia proposta dal CNB comprende al suo interno solo gli atti commissivi e non quelli omissivi.
Passiamo ad un altro argomento, più interessante per il credente. Come si sono espressi i membri cattolici del CNB sui temi indagati in questo parere? Gli orientamenti emersi nel documento e provenienti dal gruppo cattolico sono apprezzabili in più punti. Però vi sono alcune ombre. Le ombre vanno rinvenute in alcuni di quei passaggi in cui il parere del CNB è condiviso da tutti i suoi membri, cattolici compresi, e in una sezione invece dedicata ai soli esponenti del pensiero pro-life. Il primo inciampo è dato da questa affermazione: “In generale, quindi, va sempre considerato che, su temi così delicati come quelli in esame, e a fronte di un pluralismo morale diffuso nella nostra società, etica e diritto non sempre convergono, e che le scelte del legislatore al riguardo devono mediare e bilanciare i diversi valori in gioco, al fine di potere rappresentare le diverse istanze provenienti dalla società” (pp. 7-8).
Questo passaggio non è condivisibile perché - non solo per il credente, ma anche per la persona che ragiona rettamente - il legislatore deve porsi il fine di emanare leggi giuste, non necessariamente leggi condivise. Se poi sono pure condivise ben venga, ma il primo scopo è il bene comune e questo si edifica anche con leggi ovviamente giuste. E’ la giustizia e dunque la conformità in ultima istanza ai principi di legge naturale, che devono essere la stella polare del legislatore, non il compromesso e il bilanciamento degli interessi in gioco. Si può e a volte si deve mediare su ciò che è materia di compromesso, non sui principi non negoziabili. E la vita è uno di questi.
Ecco poi un periodo che è perlomeno ambiguo. Coloro che sono contrari al suicidio assistito giustificano però il “’lasciare morire, con accompagnamento palliativo (anche con sedazione palliativa continua profonda), nelle condizioni di consapevolezza del rifiuto e rinuncia delle cure e nel contesto di una relazione paziente-medico centrata sulla reciproca fiducia”. Se quelle cure a cui si fa riferimento sono sproporzionate, bene rifiutarle e bene accompagnare il paziente lungo il processo di morte naturale con le cure palliative. Se invece sono cure proporzionate e addirittura salvavita, il paziente ha ordinariamente il dovere di accettarle e in caso di rifiuto il medico non può lecitamente somministrare cure palliative per rendere la dipartita meno dolorosa, perché in genere questa scelta configurerebbe una collaborazione materiale al male illecita. E’ come accompagnare in auto al “posto di lavoro” una prostituta che è dolorante ad una gamba e non riesce a camminare. Sarebbe agevolare il compimento di un atto malvagio non scusabile.
Ulteriore passaggio problematico che forse spiega il precedente nella sua seconda versione (rifiuto di cure salvavita e somministrazione di terapie antalgiche) è il seguente, espressamente firmato da molti membri cattolici del CNB: “La scelta consapevole del paziente, riguardo al non inizio o alla sospensione di trattamenti, cioè la possibilità di rifiutare o rinunciare alle cure, deve essere sempre garantita, in quanto è riconducibile alla coscienza personale che non è e non può essere comprimibile […]. La richiesta consapevole di rifiuto o di rinuncia alle cure potrà essere quindi rispettata attuando una piena libertà di cura, consentendo cioè sempre al paziente di scegliere il proprio medico di riferimento, per una reciproca e libera condivisione di percorsi assistenziali” (p. 22).
Dal contesto si evince che si sta parlando anche di cure salvavita. Il passaggio non è condivisibile perché solo le scelte buone, cioè ragionevoli, devono essere rispettate, non quelle malvagie, cioè irragionevoli, tra cui quelle volte a procedimenti eutanasici. Quelle malvagie, se possibile e utile, devono essere impedite, altrimenti tollerate (è lecito non impedire un atto malvagio per un bene equipollente o di maggior valore), ma mai garantite. Se Tizio vuole morire buttandosi dal quinto piano di un edificio, dal punto di vista morale devo strapparlo a forza dal cornicione (se ne ho la possibilità e non attento a beni uguali o di valore maggiore), non garantirgli la possibilità di attuare il suo proposito. Se Tizio vuole morire rinunciando a terapie salvavita, dal punto di vista morale devo sottoporlo coattivamente a tali terapie, non tutelarlo nelle sue aspirazioni suicidarie.
Tra i due esempi cambia solo il modo di darsi la morte, non il fine che rimane sempre “suicidio”. Tale coazione è da attuarsi anche nel caso che il rifiuto sia consapevole, libero, maturo (ma c’è maturità nel fare il male? No), cosciente, etc. Se colui che vuole gettarsi nel vuoto ci dà prova che ha soddisfatto tutti questi requisiti, cosa facciamo? Gli permettiamo di lanciarsi nel vuoto perché la sua morte è stata voluta coscientemente e lucidamente?
Si tratta di applicare al caso l’istituto della legittima difesa in relazione a chi vuole la propria morte: lo si difende da un atto ingiusto, ossia contrario alla sua dignità, proveniente da lui medesimo che in quel frangente rappresenta l’ingiusto aggressore. In questo modo si comprime la coscienza del tentato sucida, così come indicato nel documento? Certo che sì, ma la comprimiamo indirizzandola al bene. Comprimiamo le coscienze, e lo fa anche lo Stato, ogni volta che costringiamo qualcuno a compiere un’azione buona (pagare le tasse, mandare il figlio a scuola, mettersi la cintura di sicurezza) o a evitarne una malvagia (impedire una rapina), la comprimiamo perché lo obblighiamo ad agire in modo contrario alla sua coscienza erronea. Ciò è spesso moralmente lecito perché, tra le varie motivazioni, agiamo sulle condotte esterne nella speranza che tale coattività riverberi i suoi effetti positivi nel foro interno affinchè un giorno la persona compia l’atto buono o eviti quello malvagio non più per costrizione, ma per convinzione, cioè perché, compreso dove sta il bene e il male, ama il bene ed odia il male. L’educazione al bene a volte può passare anche attraverso la costrizione.
Questo sul piano morale. Sul piano giuridico sappiamo invece che, anche prima della legge 219/2017, il paziente poteva rifiutare qualsiasi tipo di terapia, comprese quelle salvavita. Ma era doveroso che i membri cattolici del CNB ricordassero i principi di ordine morale prima accennati e non affermassero, all’opposto, che la scelta di chi vuole togliersi la vita debba essere sempre garantita e rispettata. Favorevoli al suicidio tramite rifiuto delle cure e contrari all’aiuto al suicidio? E’ una contraddizione evidente.
In chiusura sposiamo, perlomeno nella sostanza, quanto il prof. Francesco D’Agostino ha dichiarato nella sua postilla finale al documento (pp. 28-29), postilla in cui dichiara di non condividere il contenuto dello stesso, eccezion fatta per le “Opinioni etiche” indicate al n. 5 lettera A), tra cui il passaggio innanzi citato relativo al legittimo rispetto delle volontà suicidarie del paziente. D’Agostino afferma che il CNB non doveva meramente fotografare le variegate posizioni dottrinali presenti nel suo interno, bensì dire un “No” tondo tondo al suicidio assistito. Affermazione di principio, aggiungiamo noi, che il CNB era impossibilitato a fare vista l’eterogeneità dei suoi membri. Ma, nonostante ciò, ben venga questo richiamo all’indisponibilità della vita umana.