Sinodo Amazzonia, il problema sta nella Laudato Si'
Per capire come sia potuto uscire fuori un documento sconcertante come il documento preparatorio per il Sinodo sull'Amazzonia, bisogna tornare all'enciclica Laudato Si'. È lì che si trovano i princìpi che nel Sinodo per l'Amazzonia vengono portati alle estreme conseguenze.
Un documento sconcertante come l’Instrumentum Laboris per il Sinodo dell’Amazzonia non si comprende se non come l’esito di una costante crescita di una corrente ecologista nella Chiesa, che ha avuto nell’enciclica Laudato Si' (2015) il suo riconoscimento ufficiale e quindi l’elevazione a dottrina.
La svolta rappresentata dall’enciclica sull’ambiente va ben oltre l’attenzione alla “casa comune”; essa di fatto è una presa di distanza dalla tradizionale antropologia cattolica per includere categorie sociali e politiche che hanno la loro radice nel darwinismo sociale. Nella Laudato Si' arriva l’eco della Carta della Terra, una dichiarazione di princìpi etici fondamentali che nasce da un progetto maturato alle Nazioni Unite, in cui l’uomo perde la sua centralità nel Creato per diventare parte di una “comunità di vita” in cui ha pari dignità con animali e vegetali. Si tratta di una visione fondamentalmente panteistica, tale che il doveroso riferimento alla Rivelazione cristiana presente nell’enciclica sembra più che altro giustapposto a concezioni religiose che hanno ben altra radice.
Nel cattolicesimo l’armonia nel Creato viene da una corretta relazione dell’uomo con l’ambiente circostante e con Dio che è riassunta nella formula “la natura è per l’uomo, ma l’uomo è per Dio”. In altre parole, il corretto rapporto dell’uomo con la natura è conseguenza del riconoscimento di appartenere a Dio, verso cui si è responsabili del modo in cui usiamo dei doni della natura così come delle relazioni con gli altri uomini. È esattamente la visione che sta sotto il tanto incompreso e strumentalizzato Cantico delle Creature di San Francesco.
Pur se nella Laudato Si' viene esplicitamente criticato il “biocentrismo” tipico della cosiddetta “ecologia profonda”, di fatto la forte e giustificata critica all’antropocentrismo moderno non è l’occasione di riaffermare la tradizionale visione cattolica. Tanto è vero che è liquidata in una battuta l’esperienza del monachesimo benedettino che invece è l’esempio più grande nella storia di cosa significhi un corretto rapporto con la natura che discende dal “Quaerere Deum”: in una vita vissuta come ricerca di Dio, l’uomo collabora all’opera della Creazione facendo fiorire la natura intorno. Invece vengono proposte come modello di armonia tra uomo e natura le comunità primitive e aborigene (no. 146), secondo una visione tanto idilliaca quanto irreale. Proprio questa esaltazione delle culture indigene è portata alle estreme conseguenze nell’Instrumentum Laboris.
Tale impostazione non è sorprendente se si considera che un decisivo contributo alla stesura della Laudato Si' è venuto dall’ex frate francescano brasiliano Leonardo Boff, principale esponente della teologia della liberazione, condannato già negli anni ’80 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Dagli anni ’90 Boff vive in una riserva ecologica e oltre ad aver svolto attività accademica e saggistica, ha sostenuto i principali movimenti ecologisti e marxisti dell’America Latina. Fu lui stesso a rivelare che è stato papa Francesco a chiamarlo e a voler leggere tutti i suoi libri come aiuto a scrivere la Laudato Si'.
E l’influsso è più che evidente. Così come ad esempio nell’assunzione acritica del catastrofismo ambientale – climatico e non solo – come fondamento su cui impostare quella che il Papa ha definito “conversione ecologica”. È la prima volta che un’analisi sociale e politica, per sua natura opinabile e soggetta a correzioni, diventa fondamento di un atto magisteriale e, anche qui, è la stessa impostazione che troviamo nell’Instrumentum Laboris.
Un’altra svolta fondamentale della Laudato Si' è nell’adozione del concetto di “sviluppo sostenibile”, che i precedenti pontificati avevano sempre respinto. Troppo superficialmente infatti si pensa che la “sostenibilità” si riferisca semplicemente all’inclusione del rispetto per l’ambiente tra i criteri di valutazione di iniziative economiche, sociali e politiche. La sostenibilità invece è un concetto ben più ampio, affermatosi negli anni ’80 del secolo scorso in ambito Onu, figlio di una concezione ateistica e materialistica. Fondamento del concetto di sostenibilità è una visione negativa dell’uomo, elemento di disturbo per l’ecosistema globale: per questo le politiche ambientali globali tendono a limitare l’impatto dell’uomo, quantitativamente e qualitativamente. Vale a dire: controllo delle nascite nei paesi poveri, freno allo sviluppo e deindustrializzazione nei paesi ricchi.
Seppure nella Laudato Si' troviamo una forte accentuazione del secondo aspetto ma un rifiuto di principio dei metodi di controllo delle nascite, appare evidente che se si assumono per buoni i princìpi alla base di una concezione globale del rapporto uomo-natura, rifiutare di adottare le conseguenze pratiche diventa puro moralismo destinato prima o poi a cedere totalmente. In altre parole: se si dà per buono che la presenza e l’attività umana è dannosa per l’ambiente e mette a rischio la stessa sopravvivenza del pianeta; se si continua a lanciare allarmi sulla catastrofe prossima ventura, se si sostiene che siamo sull’orlo del precipizio, è giocoforza accettare prima o poi misure d’emergenza per fermare l’attività umana, inclusa la diffusione della contraccezione per controllare le nascite. Così come se si considera un modello di armonia la cultura aborigena, non può non essere conseguente la valorizzazione delle religioni animiste e la condanna dell’evangelizzazione, che infatti appare chiara nell’Instrumentum Laboris.
La vera posta in gioco dunque non è tanto la cura per l’ambiente – che ovviamente è doverosa – né le misure per salvare la foresta amazzonica (ammesso che questo sia compito specifico della Chiesa). C’è molto di più, c’è il contenuto stesso della fede cattolica. Per questo diventa importante che i vescovi ne prendano coscienza e comincino con il rigettare l’Instrumentum Laboris in vista del Sinodo sull’Amazzonia.