Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
MOSSA RISCHIOSA

Premierato, le incognite sul cammino del governo Meloni

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Accantonato il presidenzialismo, Giorgia Meloni sta puntando forte sul premierato. Ma è un compromesso al ribasso, che rischia peraltro di sfociare in un esito simile a quello di Renzi nel 2016. E la Lega potrebbe remare contro.

Politica 01_11_2023

Venerdì 3 novembre approderà in Consiglio dei ministri il testo della riforma del premierato, fortemente voluto dal premier e predisposto dal ministro delle Riforme, Elisabetta Alberti Casellati. Un disegno di legge costituzionale di soli cinque articoli che ridisegna i meccanismi di selezione del premier, scelto direttamente dagli elettori e non più nominato dal presidente della Repubblica, che invece manterrà il potere di nomina dei ministri su indicazione del premier. Nel testo sarebbe prevista anche una legge maggioritaria che assicura il 55% dei seggi nelle Camere ai candidati e alle liste collegate al candidato premier eletto.

Inoltre, in caso di caduta del Governo, il capo dello Stato potrebbe affidare l’incarico solo al premier dimissionario o a un altro parlamentare eletto e collegato al premier, altrimenti sarebbe costretto a sciogliere le Camere. In questo modo si scongiura il rischio di governi tecnici o di ribaltoni con nuove maggioranze diverse da quelle scelte dagli elettori. Infine, è previsto lo stop alla nomina dei senatori a vita. Lo diventeranno solo gli ex presidenti della Repubblica. Fin qui i contenuti della bozza di riforma.

Al di là dei contenuti, la cui valutazione è affidata a costituzionalisti ed esperti di architetture costituzionali, sono opportune alcune considerazioni di scenario. La prima è che nessun Paese ha adottato il premierato. Ci provò per un po’ Israele, poi vi rinunciò. Non risulta, quindi, un sistema collaudato, anzi presenta molteplici incognite. I malpensanti ritengono che questa accelerazione sulle riforme costituzionali risponda a una strategia ben precisa della maggioranza: distrarre l’attenzione dalle difficoltà dell’esecutivo sulla manovra finanziaria e sulla politica estera e, nel contempo, sparigliare le carte e dividere ancora di più i renziani (favorevoli al premierato) dal resto delle opposizioni (contrarie).

Di certo in campagna elettorale la Meloni aveva parlato di presidenzialismo, quindi dell’elezione diretta del capo dello Stato. Il premierato, quindi, rappresenta un compromesso al ribasso (l’ennesimo al quale il premier ha acconsentito) per compiacere il Quirinale. Mattarella può dormire sonni tranquilli fino alla fine del suo secondo settennato senza sentirsi ridimensionato, anzi mantenendo la sua centralità, che deriva anche dalla sostanziale “sacralità” della figura del presidente della Repubblica, formalmente super partes.

Ma un sondaggio pubblicato da Repubblica dovrebbe preoccupare e non poco Giorgia Meloni. Il 57% degli italiani mostra crescenti segnali di sfiducia nei confronti del Parlamento e auspica l’elezione diretta del capo dello Stato e quella del presidente del Consiglio, ma soprattutto la prima, che reputa davvero essenziale per un cambio di passo e per l’avvento reale (non di facciata) della Terza Repubblica. Questo significa che, anche in caso di approvazione parlamentare della riforma del premierato, il referendum popolare per approvare le modifiche costituzionali potrebbe dare esito negativo, esattamente come accadde a Matteo Renzi nel 2016. Peraltro potrebbero essere le opposizioni a ricompattarsi e a rilanciarsi in caso di vittoria dei “no” a quel referendum. A quel punto che farebbe il premier? Ne uscirebbe fortemente delegittimato.

Infine, una riflessione sui rapporti di forza interni alla maggioranza. Il patto tra Fratelli d’Italia e Lega si regge proprio sul connubio presidenzialismo-autonomia differenziata. Per il Carroccio la bozza Calderoli per la redistribuzione dei poteri tra Stato e Regioni è il primo cavallo di battaglia. Ora che il presidenzialismo è diventato premierato e che di autonomia differenziata non si parla più, che ne sarà di quel patto? Matteo Salvini accetterà di appoggiare la riforma per l’elezione diretta del premier senza ottenere garanzie sull’autonomia differenziata? I suoi elettori come la prenderebbero? A quanto pare la Meloni preferirebbe rinviare la riforma Calderoli a dopo le europee per paura di perdere voti al Sud. Su queste basi sono prevedibili forti scossoni nella maggioranza perché la Lega non può fare una campagna elettorale solo sul premierato. Cinicamente, quindi, per il Carroccio indebolire il premier boicottando il premierato potrebbe diventare una priorità.