Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
RIPOSO FESTIVO

Per il governo polacco la domenica è sacra

In Polonia negozi chiusi nei giorni di festa: è l'impegno ribadito da Marlene Malag, ministro della famiglia: «è un tempo riservato alla famiglia, alla preghiera, non allo shopping». Lo storico sindacato Solidarność approva: l'obiettivo è tutelare i dipendenti. In Germania la legge più restrittiva sul punto. Poiché la festa fa bene al lavoro stesso, come ricordava il filosofo Josef Pieper.

Esteri 30_08_2022

In Polonia il ministro per la famiglia, Marlena Malag, è decisa a ribadire il divieto di aperture domenicali dei negozi. Lo ha detto all’emittente cattolica TV Trwam: «Questo giorno [la domenica] dev’essere dedicato alla famiglia. È un tempo riservato alla famiglia, alla preghiera, non allo shopping».

Il divieto di commercio domenicale era stato introdotto nel 2018 dal partito Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość), cui Malag appartiene, col supporto dello storico sindacato Solidarność e della Chiesa cattolica. Gli esercenti, tuttavia, hanno fatto spesso ricorso a varie scappatoie per aggirare il divieto e rimanere aperti, da quelli più ordinari, per esempio offrendo servizi postali (attività per cui l’apertura resta consentita), a quelli più fantasiosi, come il negozio di alimentari che ha esposto dei dipinti per qualificarsi come galleria d’arte, come riporta Notes from Poland.

Le norme sono state aggirate in misura tale da richiedere una stretta sulle possibili deroghe, a partire dallo scorso autunno, evitando soprattutto che diventino dei pretesti. Per esempio, i negozi più piccoli che vorranno restare aperti di domenica potranno farlo, ma solo se lavorerà il titolare, non i dipendenti.  «Il nostro obiettivo era che i dipendenti potessero avere il giorno libero», afferma Alfred Bujara, di Solidarnosc. E non un giorno qualsiasi ma la domenica: la proposta di permettere di sostituirla con un altro giorno libero a scelta è stata respinta dalla Camera bassa (Sejm).

La Polonia non è un caso isolato, anzi, tra i Paesi europei la Germania ha la legislazione più stretta al riguardo, dove generalmente il lavoro festivo non è consentito, salvo i servizi essenziali (medici e ospedali) o funzionali alla festa stessa (ricreazione, ristorazione) o all’informazione (giornali, radio, tv). Ma per queste eccezioni la legge tedesca prevede comunque la regola di almeno 15 domeniche libere all’anno. È un aspetto fondamentale, che pertanto, almeno in linea di principio, non può valere solo per il commercio. Infatti, neppure chi lavora al ristorante, in sala operatoria o nei mass-media può essere totalmente privato delle domeniche e delle festività, ma deve goderne almeno in parte.

Neanche un servizio “festivo” può costringere al lavoro festivo: in Italia lo aveva affermato una sentenza a favore di due dipendenti di Autogrill che si erano avvalsi della facoltà di non recarsi al lavoro il 15 agosto 2017 ed erano stati sanzionati per questo. Il Tribunale di Milano ha riconosciuto loro il diritto soggettivo alla festa, che evidentemente è sacra anche per la Cgil che ha promosso (e vinto) il ricorso. A dimostrazione della “trasversalità” della questione vi sono le parole dell’allora vicepresidente della Camera Luigi Di Maio (ideologicamente lontano da chi scrive e presumibilmente da chi legge), che nello stesso anno sottolineava «come unico risultato [delle liberalizzazioni] lo sfaldamento del nucleo familiare del negoziante e dei dipendenti».

Una delle ragioni che rendono la domenica non “negoziabile” consiste anche nella dimensione sociale di un giorno di riposo non vissuto isolatamente ma condiviso. Per esempio, se in una famiglia lui avesse il giorno libero il martedì e lei il giovedì, finirebbero per non condividere mai tempo libero tra loro e con i figli. Ma vale allo stesso modo per chi vive da solo e forse ne risentirebbe persino di più, vedendo limitata la propria vita sociale qualora il suo giorno festivo non coincidesse mai con quello degli altri. Potremmo aggiungere un ulteriore effetto collaterale della “mancata sincronia” dei giorni liberi: il dipendente munito di cellulare aziendale continuerebbe a ricevere e-mail e notifiche nel giorno di riposo, dal momento che i suoi colleghi stanno lavorando...

L’invito del ministro Malag al rispetto del riposo festivo suonerebbe strano nel nostro Paese, e non solo, dove i cartelli con la scritta: “Domenica aperto” sono divenuti superflui, visto il proliferare di aperture persino nelle feste principali, non sia mai che qualcuno dimentichi di comprare qualcosa al mattino dell’Assunta o dell’Immacolata. Desta maggiore sorpresa ormai l’indicazione contraria: “Domenica chiuso”. Il decreto “Salva Italia” del governo Monti che dal 2011 ha liberalizzato totalmente le aperture si proponeva l’aumento del Pil, proprio come la legge del 1977 che riduceva i giorni festivi, sopprimendo persino la (poi ripristinata) solennità dell’Epifania.

Ma, la festa fa bene al lavoro stesso, come scriveva il filosofo tedesco Josef Pieper: «privato del sostegno di una festività autentica e di un otium reale, il lavoro si fa inumano». E non una festa qualsiasi (non le “24 ore” a scelta che nessun contratto negherebbe), ma – specifica Pieper – la festa scaturita dal culto, che non sia una mera «sosta di lavoro (e quindi sempre ad esso subordinata)», bensì un tempo «sottratto all’uso profano ed economico, utilitaristico» (Pieper: non c’è festa senza divinità). Per questo, benché inusuale, l’invito del ministro Malag coglie nel segno, non richiamando a questa o quella norma particolare ma al senso stesso del giorno festivo.