Il discorso di Soros contro la società aperta
Il finanziere George Soros è oggetto di numerose teorie cospirative. Una volta che ha preso il microfono a Davos, ha iniziato a pronunciare un discorso apocalittico contro Bitcoin, i social network e Trump. Discorsi che suonano complottisti e rivelano una paura profonda per la società aperta, la stessa che Soros dovrebbe promuovere.
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Il finanziere americano di origine ungherese George Soros è, da almeno trent’anni a questa parte, oggetto di numerose teorie cospirative. Può dunque sembrare strano che l’87enne miliardario e filantropo, una volta preso il microfono a Davos, alla “festa del giovedì” del World Economic Forum, abbia iniziato a pronunciare un discorso dai toni apocalittici che sembra riassumere tutte le teorie del complotto sulle nuove tecnologie.
Prima di tutto se l’è presa con Bitcoin, la nuova valuta virtuale che, poggiandosi sulla tecnologia blockchain, non è emessa da alcuno Stato e può fare a meno dell’intermediazione bancaria. Di Bitcoin, Soros dice semplicemente che la sua crescita vertiginosa di valore (che resta alto nonostante il ribasso di queste ultime settimane), “È una bolla basata su una incomprensione e non è una valuta”. Perché, “dovrebbe essere relativamente stabile per essere usata ma cade in un giorno del 25%, non è una valuta perché non ci si possono pagare gli stipendi”. Ma la criptovalute, come Bitcoin, continueranno ad esistere “perché vengono anche usate per riciclare denaro sporco. Finché ci saranno dittature, ci saranno i Bitcoin”.
Poi ha aperto il fuoco contro i big della nuova rivoluzione del Web, soprattutto Facebook (che è un social network) e Google (nato come motore di ricerca, poi divenuto a sua volta un social network e molto altro). Di loro dice che, “Si sono trasformati in monopoli”. E questo è quasi un dato di fatto, quasi perché il monopolio assoluto non esiste, specie per aziende che si sono affermate così di recente. Però Soros le dipinge come pilastri di un possibile futuro totalitarismo, perché sono “sempre più potenti. Ostacolano l’innovazione e hanno causato diversi problemi di cui siamo diventati consapevoli solo ora”. Li accusa di sfruttare “l’ambiente sociale. Ed è particolarmente nefasto perché influenzano il modo di pensare della gente e si comportano come se non ne fossero consapevoli”. In particolare: “ingannano i loro utilizzatori manipolando la loro attenzione e conducendola verso i loro scopi”. E questo “può essere molto pericoloso in particolare per gli adolescenti”. In pratica accusa Google e Facebook di comportarsi come dei casinò, che “hanno sviluppato tecniche che spingono i giocatori a spendere tutto quello che hanno e anche quello che non hanno”. Sui nuovi “padroni del vapore” dice tutto il male del mondo: “Chi detiene queste piattaforme si crede un padrone dell’universo, ma in realtà è solo schiavo dell’esigenza di conservare il proprio monopolio. E’ solo questione di tempo prima che il loro monopolio sia interrotto. La loro fine verrà con le regole e le tasse. E la loro nemesi sarà la commissaria Ue alla concorrenza (attualmente è Margrethe Vestager, ndr)”
Soros non sarebbe probabilmente così indignato per il ruolo dei giganti del Web, se questi non fossero accusati, un giorno sì e l’altro pure, di aver “contribuito” alla vittoria di Donald Trump. Visto che tutti i media, inclusa Fox News, erano contro la sua candidatura, la vittoria del presidente repubblicano è stata spiegata come effetto del passa parola sui social network. Da allora, si rincorrono le fake news e si studiano modi per mettere sotto controllo la rete più informale dei social media. Del presidente Usa, Soros dice senza mezzi termini: “Penso che l'amministrazione Trump sia un pericolo per il mondo (sic!). Ma la considero un fenomeno passeggero che sparirà nel 2020 o anche prima (sic!)”. Una minaccia o una promessa? “Riconosco che Trump ha motivato i suoi sostenitori in modo brillante, ma per ogni fan ha anche creato un numero maggiore di oppositori che hanno motivazioni ugualmente forti. Alle elezioni di mid-term di quest'anno mi aspetto una vittoria a valanga dei democratici”.
Già da questi passaggi del discorso di giovedì sera si comprende molto del modo di ragionare di un miliardario che foraggia Ong e partiti in tutto il mondo, per spingere verso la realizzazione della sua idea di “società aperta”. Un’idea molto più limitata rispetto a quella che ebbe il filosofo austriaco Karl Popper, autore de La Società Aperta e i Suoi Nemici. Il Soros di oggi ricorda semmai l’ultimo Popper, quello di Cattiva maestra televisione (sempre citato dalla sinistra italiana contro Berlusconi) in cui il filosofo suggeriva patentini e controlli per tutti gli operatori televisivi, visto il grande potere persuasivo del “quinto potere”. Di fatto, forse anche merito dell’età, George Soros punta il dito contro tutto ciò che sfugge al controllo dello Stato, tutto ciò che non è pianificabile dalle autorità e non passa attraverso il placet di un governo, come Bitcoin, appunto, i social network, ma anche lo stesso voto democratico, che ha, “disgraziatamente” portato all’elezione di un “pericolo per il mondo”, cioè del candidato che non gli piaceva. Adesso si capisce anche il perché dei toni sempre più autoritari delle formazioni politiche (come +Europa di Emma Bonino) da lui sponsorizzate: è una vecchia sinistra che ritiene di sapere cosa sia la libertà dei cittadini, meglio dei cittadini stessi. E quindi, nel nome della libertà, finisce col sopprimerla.