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l'onere della prova

Ossequio o obbedienza cieca? Tucho pretende senza chiarire

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Se il magistero dice una cosa e poi il suo contrario, più che "autentico" è contraddittorio. Il cardinal prefetto elude le obiezioni, ma così facendo rende impossibile proprio quell'assenso che esige dai fedeli.

Ecclesia 23_04_2024
IMAGOECONOMICA - CARLO LANNUTTI

Un altro tema importantissimo sollevato dal cardinale Fernández, durante la conferenza stampa di presentazione della Dichiarazione Dignitas infinita, riguarda il senso del magistero autentico (qui il primo articolo). Alla domanda di un giornalista su quale tipo di assenso richieda la Dichiarazione, il Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede ha più volte indicato che si tratta di «magistero autentico». 

Fernández ha richiamato a riguardo il Codice di Diritto Canonico (can. 752) e la costituzione dogmatica Lumen Gentium, 25. Egli ha altresì richiamato la Professio fidei del 1989, laddove essa impone a chi assume un incarico ecclesiastico di aderire «con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo».
Fernández ne ha concluso che quei vescovi o cardinali che affermano che il Papa sia eretico o che esterni affermazioni contrarie alla Tradizione della Chiesa «sembra che non hanno fatto questo giuramento». Egli ha affermato, erroneamente, che quanti criticano papa Francesco ritengono che esistano solo il magistero ex-cathedra del papa o il magistero che intende definire qualche punto della dottrina, ripetendo più volte che mai papa Francesco eserciterà il magistero in questo modo (quasi fosse qualcosa di terribile…). In sostanza, secondo il cardinale, l'assenso dovuto a questo terzo livello di magistero – ossequio della volontà e dell'intelletto – impedirebbe ogni critica, a motivo dell'assistenza dello Spirito Santo promessa al Pontefice.

Partiamo da un punto fermo: la Professio Fidei del 1989 vincola tutti i cattolici ed impegna specialmente coloro che nella Chiesa devono assumere un incarico ecclesiastico. Pertanto, è di fede che esista effettivamente un magistero autentico, che dev'essere ascoltato, anche quando non intende proclamare un dogma o insegnare in modo definitivo. Ma l'ossequio richiesto non coincide con il prestare un assenso definitivo e incondizionato, altrimenti questo terzo tipo di assenso non differirebbe dai due precedenti.
Ed infatti la Nota dottrinale illustrativa (1998) della Congregazione per la Dottrina della Fede, che spiega la parte finale della Professio Fidei, attribuisce «il carattere pieno e irrevocabile dell’assenso» a quel magistero che insegna una dottrina da «credere come divinamente rivelata» (cf. §§ 8-9) o «da ritenere in maniera definitiva». Non così per il magistero autentico.

Il minimo che si possa dire è che pertanto il magistero autentico richiede da parte del fedele non un assenso incondizionato e definitivo, ma un ossequio. Il che non significa che questo tipo di Magistero non conti nulla e che chiunque possa permettersi, per qualsiasi ragione, di fare come non esistesse: l'atteggiamento contrario a questo ossequio è infatti la temerarietà, che espone al rischio di errore. Resta però vero quanto afferma l'insegnamento teologico classico, ossia che «come una proposta meramente autentica è per sua natura incompleta e provvisoria, così lo è anche l'assenso religioso ad essa dovuto». Così Gerard Van Noort, nel suo Tractatus de fontibus revelationis.
Una precisazione è d'obbligo: anche nel caso di Magistero autentico, perché si tratti di magistero è necessario che il contenuto riguardi materia di fede e di morale, non una qualunque affermazione in materia contingente, come dibattiti scientifici o valutazioni di fatti socio-politici, etc.

Ora, cosa accade quando una o più affermazioni del Magistero autentico appaiono in contrasto o con altre espressioni dello stesso grado magisteriale, oppure, ancor più gravemente, con pronunciamento definitivi del Magistero?
In queste situazioni è lecito mostrare la contraddizione, sia essa presunta o reale, ed attendere che sia il Papa stesso, o i dicasteri competenti, a mostrare che tale contraddizione non esiste; oppure, se esiste, ad apportarvi una correzione. E questo precisamente perché si possa prestare realmente l’ossequio dell’intelletto e della volontà, non per squalificare il magistero autentico. Perché un fedele non può prestare il medesimo ossequio a due affermazioni in contraddizione tra loro; o addirittura prestare ossequio ad un’affermazione, mentre dona l’assenso pieno e irrevocabile al suo contrario.

Di nuovo: è proprio per permettere ai fedeli di esercitare quell’ossequio richiesto nella Professio Fidei e onorare il magistero autentico, che gli organi competenti devono chiarire e sciogliere la contraddizione, non giustificarla sulla base di un’idea sbagliata di approfondimento teologico.
Ed è precisamente quanto Tucho non ha fatto e continua a non fare. Tre sono le evidenti – per chi scrive – contraddizioni di questo pontificato, che Fernández ritiene progressi nella comprensione della verità: la concessione della Comunione ai divorziati risposati, le benedizioni alle coppie che vivono relazioni sessuali peccaminose, e la condanna della pena di morte, in quanto di per sé contraria alla dignità umana. Tutti e tre gli esempi sono stati classificati da Fernández all'interno della categoria del magistero autentico, ritenendoli “sviluppi”.

Partiamo dalla prima. Il testo di Amoris Lætitia a riguardo – soprattutto la nota 351 – era certamente ambiguo e foriero di interpretazioni contrarie alla prassi di non concedere la Comunione alle persone che vivono more uxorio. Familiaris consortio 84, la Lettera ai vescovi del 1994, il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1650, Reconciliatio et pænitentiæ, 34, Sacramentum caritatis, 29, ribadivano che l'assoluzione sacramentale e la conseguente ammissione alla Comunione sono possibili solo per coloro che sono pentiti e propongono di vivere castamente. Ma la lettera di papa Francesco a mons. Fenoy, delegato della regione pastorale di Buenos Aires, inserita negli Acta Apostolicæ Sedis 10/2016, autorizzava esattamente l'opposto, approvando la possibilità di «accedere al sacramento della riconciliazione, quando non si riesca a mantenere» il proposito della continenza. Che cosa significhi quel non riuscire a mantenere il proposito della continenza non è chiaro. Lo si potrebbe intendere come la difficoltà a vivere la continenza, mantenendo però fermo il proposito; ma allora, dove sarebbe la novità? Lo si potrebbe invece intendere come il fatto che non sia più necessario mantenere il proposito, ed allora sarebbe una contraddizione con il Magistero precedente. A Tucho l'onere di chiarire il dubbio. E magari di rispondere al primo dubium del 2016, che verteva proprio su questa questione.

Secondo punto: Fiducia supplicans. L'obiezione all'affermazione, contenuta nella Dichiarazione, circa la possibilità di benedire le coppie gay, senza che questo comporti l'approvazione degli atti omosessuali, è stata liquidata da Fernández, durante la conferenza stampa, come se il problema fosse la distinzione tra benedizioni liturgiche e non liturgiche. Un modo per schivare il problema vero, che sta in due punti, ai quali Tucho continua a non rispondere: primo, se la benedizione spontanea o pastorale è una benedizione, allora vuol dire che comunque benedice la “coppia”, e ciò che costituisce la “coppia” è precisamente la relazione sessuale. Secondo, se la benedizione è sacerdotale è comunque un sacramentale. E il sacramentale rientra nelle indicazioni del Responsum firmato da Ladaria e Morandi. Dunque, anche in questo caso, Tucho non chiarisce, ma elude.

Terzo ed ultimo punto: la variazione sulla pena di morte non è paragonabile a quella invocata da Tucho sulla schiavitù, perché, come si è visto, quest'ultima rimandava a due realtà differenti significate dal medesimo termine di “schiavitù”: la schiavitù di tratta e la schiavitù bellica. Realtà che dunque richiedevano valutazioni diverse. Nel caso della pena capitale, invece, la realtà che fa da suppositum al termine è esattamente la stessa: condannare a morte una persona responsabile di un reato grave. È esattamente sulla stessa realtà che l'insegnamento costante della Chiesa afferma che la pena capitale, purché comminata dalla legittima autorità e secondo giustizia, è in linea di principio legittima, mentre papa Francesco e Dignitas infinita ne affermano la inammissibilità, in quanto «viola la dignità inalienabile di ogni persona umana al di là di ogni circostanza». Da un lato l'ammissione della pena di morte a certe condizioni, dall'altra la sua condanna a prescindere da qualsiasi circostanza. Non è sviluppo: è contraddizione.

Dunque, proprio in nome di quell'ossequio della volontà e dell'intelletto richiesto dal magistero autentico, Tucho ha il dovere di rispondere a queste obiezioni, perché nessuno può assentire ad una cosa e al suo contrario. Si tratterebbe di un assenso irrazionale e dunque contrario a quella dignità umana che si vuole difendere. Deve dunque rispondere sì o no a tre semplici domande: 1. è possibile assolvere e comunicare una persona che non ha il fermo proposito di interrompere rapporti more uxorio? 2. La benedizione autorizzata da FS è un sacramentale? Ed essa è indirizzata ai singoli o alla “coppia”? 3. La pena capitale è un atto intrinsecamente cattivo, tale da non ammettere eccezioni?
A lui l'onere di rispondere e mostrare così se c'è contraddizione o no.



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