Nuova follia progressista: l’aborto è come svuotare un’anguria
Philadelphia, conferenza progressista con oltre 3.600 attivisti. Una di loro, Jen Moore Conrow, mostra, tra le risate dei presenti, come si esegue un aborto servendosi di un aspiratore e di… un cocomero. «La faccenda è tutta qui», dice lei. Peccato che non si ricordino tutte le conseguenze psicofisiche descritte dalla letteratura scientifica e, soprattutto, si oscura l’omicidio del nascituro. Il che è un classico della cultura abortista, ma il parallelo con l'anguria è un nuovo vertice di disumanità.
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L’aborto? Nulla di che, una passeggiata. È da decenni che il mondo politico abortista tenta di presentare la soppressione prenatale come una procedura indolore e che solo il fanatismo di alcuni può far apparire come gravida di conseguenza. Si spiega così, con la volontà di minimizzare a tutti i costi, quanto accaduto nei giorni scorsi a Netroots Nations, un’annuale conferenza progressista svoltasi al Convention Center di Philadelphia, alla quale erano confluiti oltre 3.600 attivisti.
Ci riferiamo al surreale show che, nel corso di una conferenza moderata da Lizz Winstead, ha visto la consulente per l’aborto Jen Moore Conrow mostrare al pubblico come si esegue una procedura abortiva a otto settimane di gravidanza servendosi di un aspiratore e di...un cocomero. Sì, proprio così: l’estrazione del corpicino maciullato di un feto è stata raccontata dalla Conrow come equivalente a quella del nucleo di un’anguria, a sua volta simboleggiante un utero. Una scena a dir poco surreale che, mentre veniva eseguita, ha pure strappato delle risate tra i presenti all’incontro.
«La faccenda è tutta qui», ha spiegato la Conrow al pubblico, «la maggior parte delle procedure dura dai tre ai cinque minuti e le donne, dopo, si sentono subito bene». Un’osservazione da cui hanno preso spunto altri relatori per evidenziare come sarebbe auspicabile che, dato che le cose stanno in questi termini, anche i non medici potessero effettuare gli aborti.
Ora, come ogni grande narrazione carica di menzogna, anche quella diffusa a Philadelphia - dove peraltro erano presenti fior di politici democratici, da Elizabeth Warren a Kirsten Gillibrand, da Julián Castro a Jay Inslee - contiene un minuscolo granello di verità, consistente in questo caso nella brevità che mediamente richiede un aborto, che salvo complicazioni è un intervento eseguibile effettivamente in una manciata di minuti, come certificato anche dall’Oms.
Detto questo, però, nel momento in cui si afferma «la faccenda è tutta qui», con riferimento alla procedura abortiva, si mente. E si mente spudoratamente. Infatti, non gli slogan pro life bensì la letteratura scientifica più aggiornata evidenzia come l’aborto volontario non agevoli ma mini la salute materna, essendo associato - per fare una rapidissima panoramica - a una più elevata incidenza di tumori al seno, di isterectomia post-partum, di placenta previa, di futuri aborti spontanei, di depressione e abuso di sostanze, di mortalità materna e di suicidi.
In aggiunta a ciò, c’è da dire che il surreale spettacolo progressista di Philadelphia (finalizzato a edulcorare ciò che, alla luce di quanto detto, edulcorabile proprio non è) è inaccettabile anche per un altro motivo, e cioè perché oscura completamente la violenza omicida sul nascituro, ridotto a nucleo di un’anguria. Questa però, a ben vedere, non è una novità dei progressisti americani, ma un classico.
Da decenni, infatti, la cultura abortista pretende di negare l’identità umana del figlio concepito, apostrofato ora come «grumo di cellule» ora - per dirla con la scrittrice Dacia Maraini - come un «intruso che vuole accampare diritti», come un «prepotente che pretende di vivere» a spese della madre (Un clandestino a bordo, Rizzoli 1996). Certo, al tragicomico e al tempo stesso orrendo parallelo con un cocomero non si era ancora arrivati. Esso rappresenta probabilmente un vertice di disumanità mai toccato prima di oggi.
Tuttavia, ciò che quanti hanno a cuore la causa della vita devono tenere a mente - anche dinnanzi a provocazioni vergognose come quella andata in scena nella recente convention progressista - è che il vero antidoto alla cultura della morte rimane sempre lo stesso, ossia il richiamo all’umanità del nascituro, da guardare come un essere umano, come una persona non ancora in grado di svolgere alcuna funzione autonoma ma già capace di farsi riconoscere e, per chi non ha bende sugli occhi, di farsi amare.