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San Luigi Maria Grignion di Montfort a cura di Ermes Dovico
ORA DI DOTTRINA / 98 – La trascrizione

Lo stato originario (II parte) – Il testo del video

Nello stato originario gli animali erano dominati dall’uomo e gli erano docili, secondo l’ordine armonico insito nella creazione. Con il peccato originale questo ordine è stato rotto. La questione del cibarsi, prima e dopo la caduta.

Catechismo 07_01_2024

Continuiamo il nostro discorso sullo stato originario dell’uomo. Abbiamo iniziato la scorsa volta questo capitolo che è importante anche per comprendere, per contrasto, gli effetti della realtà del peccato originale. L’altra volta abbiamo visto la condizione dell’uomo nello stato originario quanto al suo intelletto e alla sua volontà. Riassumendo molto velocemente, possiamo parlare di una scienza infusa nell’uomo, con due precisazioni: 1) non mancava una conoscenza esperienziale, cioè l’esperienza realmente arricchiva la conoscenza dell’uomo e tuttavia l’uomo conosceva già pienamente la realtà di ogni cosa; quello che noi scopriamo nell’indagine, nella ricerca, l’uomo l’aveva ricevuto in dono da Dio; 2) la seconda precisazione è che l’uomo non conosceva tutte le realtà soprannaturali, ma Dio in qualche modo gliele avrebbe rivelate, gli avrebbe dato man mano nuova luce, secondo i Suoi disegni.

Abbiamo anche visto un secondo aspetto: la condizione della volontà dell’uomo nello stato originario, ossia la mancanza di quel disordine che è avvenuto dopo il peccato e che sperimentiamo, per cui vediamo il bene e non riusciamo a volerlo, oppure vediamo il male e non riusciamo a non volerlo. Cioè, la nostra volontà è lacerata, dibattuta.

Abbiamo anche visto che nello stato originario l’uomo era colmo di tutte le virtù: di tutte quelle virtù compatibili evidentemente con quello stato di perfezione che egli aveva. Abbiamo visto, per esempio, che non c’era la virtù di penitenza, almeno non in atto, perché la penitenza si fa sul male commesso; e l’uomo non aveva commesso il male. E nell’uomo c’erano anche delle virtù soprannaturali perché l’uomo era comunque in una condizione di viatore, non era ancora nella beatitudine somma e inamovibile della vita eterna. Era una certa beatitudine, ne abbiamo già parlato e vi rimando perciò alle catechesi precedenti (vedi qui, qui e qui).

Oggi vediamo altre questioni che san Tommaso affronta, nella Summa Theologiæ, sulle condizioni dello stato originario. Siamo sempre nella prima parte della Summa, nella sezione dedicata allo stato originario (questioni 94-102). L’altra volta abbiamo potuto vedere le questioni 94 e 95, stavolta vediamo la 96 e la 97.

In queste questioni troviamo trattati due aspetti interessanti. Il primo, affrontato dalla quæstio 96, riguarda il dominio dell’uomo, cioè se nello stato originario l’uomo dominasse su tutte le altre creature e quali. La seconda tematica è invece affrontata nella quæstio 97 e riguarda la conservazione dell’individuo, cioè come l’individuo umano si conservava nel Paradiso terrestre, nella condizione originaria.

Dunque, affrontiamo queste due questioni seguendo un po’ l’ordine di san Tommaso, ma riassumendo ovviamente alcune parti. Nell’articolo 1 della quæstio 96, san Tommaso si domanda se l’uomo, nello stato di innocenza, avesse il dominio sugli animali. Prima di entrare nel merito di questo articolo, che richiede alcuni complementi, vediamo la questione in modo globale, cioè: l’uomo dominava sulle altre creature? Questa domanda la troviamo all’art. 2 e san Tommaso riassume in questo modo: l’uomo avrebbe avuto il dominio sulle creature a lui naturalmente subordinate (subordinate nel senso dell’ordine della creazione), dunque chiaramente sugli animali, sul mondo vegetale, sul mondo inanimato. Rispetto alle creature a lui superiori, gli angeli, l’uomo non avrebbe avuto un dominio. Invece, per quanto riguarda gli uomini, vedremo in che senso si può dire che l’abbia avuto e in che senso va negato che l’abbia avuto. Si tratta quindi di tre ambiti.

Adesso ci focalizziamo sulle creature inferiori, in particolare sul mondo animale. San Tommaso ci spiega: «L’insubordinazione all’uomo di tutto ciò che avrebbe dovuto essergli soggetto fu un castigo conseguente alla sua disobbedienza a Dio. Quindi l’uomo, nello stato di innocenza e prima del peccato, non trovava ribellione alcuna negli esseri che per natura dovevano essergli sottoposti» (I, q. 96, a.1). In sostanza, qui san Tommaso ci sta dicendo – e questo è un insegnamento cattolico, non solo di san Tommaso – che nello stato originario l’ordine della creazione sarebbe stato integro. Dunque, gli animali, essendo sottoposti all’uomo, sarebbero stati dominati dall’uomo.

Ma in che senso dominati? Nel senso del dominus. Non sono affatto rari i testi della tradizione cristiana che dimostrano come, in quei santi che si sono avvicinati molto a questa innocenza dello stato originario, si verifica, proprio come effetto, questo loro dominio proprio sull’animale, che negli altri uomini è solo parziale. Perché è solo parziale questo dominio? Perché, se possiamo dire che il cagnolino addestrato ascolta in qualche modo la nostra voce e risponde ai nostri ordini, viene quando lo chiamiamo, eccetera, non possiamo dirlo evidentemente di tutto il mondo animale. Anzi, che cosa vediamo? Vediamo che c’è una parte del mondo animale che in qualche modo può diventare aggressiva e violenta nei confronti dell’uomo; teme l’uomo, nel senso che ne ha paura, quasi orrore, lo aggredisce, sentendosi minacciata; e vale anche il contrario, cioè l’uomo nello stato decaduto ha paura di molti animali, dalle piccole fobie nei confronti dei ragni e degli insetti fino giustamente a un certo timore nell’essere a tu per tu con un orso o un leone.

Questa, che per noi è la dimensione “naturale”, nel senso che è ordinaria, abituale per certi versi, non era così nello stato originario: cioè non è una condizione propriamente naturale. Nello stato originario, infatti, tra gli uomini e gli animali c’era un rapporto diverso: l’uomo dominava l’animale; e l’animale era docile all’uomo. L’uno non temeva l’altro, perché appunto l’uomo non aveva rotto l’ordine delle cose e dunque l’animale, a sua volta, non era stato colpito dalla rottura dell’ordine delle cose. Come dicevo, sono moltissimi i testi sulla spiritualità e la vita di santi che indicano come molti di loro, raggiungendo quasi questo stato di innocenza originale, riuscivano, come dire, a conversare e addomesticare bestie feroci, bestie che per loro natura – nel senso decaduto – sono portate ad aggredire l’uomo. Pensiamo, per parlare solamente della Sacra Scrittura, al profeta Daniele nella fossa dei leoni, che appunto non lo aggrediscono. E ci sono molte icone che rappresentano Daniele con i leoni ai suoi piedi, che lo leccano come se fossero dei cagnolini addomesticati. Pensiamo al grande caso di san Francesco e il lupo di Gubbio. Nella tradizione orientale ci sono tantissime di queste situazioni, anche molto recenti; penso anche a figure della Chiesa ortodossa. Se per i racconti antichi si è sospettato che si trattasse di racconti non storici, che volevano richiamare in qualche modo lo stato adamitico, ma che non avrebbero avuto reale riscontro, abbiamo invece dei riscontri molto più recenti dove questi fatti si sono verificati realmente. Non che gli altri non siano reali, ma sul passato è sempre molto facile dire che c’è stata una “ricostruzione” della tradizione. Non è così neanche per il passato, ma, a buon conto, più questi fatti si avvicinano a noi e meno si espongono a questo tipo di critica.

Un’altra questione riguarda se tra gli animali ci fosse un’ostilità, quella che noi vediamo negli animali carnivori nei confronti degli altri animali che fanno da prede. Secondo san Tommaso – siamo nella risposta alla seconda obiezione – questo si sarebbe verificato anche nello stato originario. Egli ritiene che l’opinione di chi sosteneva il contrario sarebbe del tutto irragionevole perché andrebbe in qualche modo a ledere la natura propria del mondo animale. Tuttavia, su questo aspetto – chiaramente qui non c’è un dogma che definisca questa questione – ci sono pareri molto autorevoli che vanno invece nella direzione opposta, perciò per completezza ho pensato di riportarvene qualcuno; pareri che non trovano questa irragionevolezza asserita da san Tommaso, nel senso che propriamente non andrebbe a ledere la natura propria dell’animale, ma semplicemente un certo modo di alimentarsi a partire da un certo momento in avanti.

In uno dei primissimi scritti apologetici che conosciamo, l’Apologia ad Autolico – un testo di san Teofilo di Antiochia, siamo sul finire del II secolo d.C. perciò agli albori del cristianesimo –, leggiamo: «Il peccato dell’uomo li ha fatti [gli animali] deviare dalla loro prima natura e l’hanno imitato nei suoi eccessi». Quindi, san Teofilo dice qui l’opposto rispetto a san Tommaso, cioè: la vera loro natura non era quella di aggredirsi a vicenda, questo avviene dopo la colpa di Adamo.

Una linea simile la prende un altro grandissimo autore, che è san Basilio Magno, Padre e Dottore della Chiesa, che nella sua seconda omelia Sull’origine dell’uomo spiega: «Queste creature [gli animali] sottomesse alla legge della natura si nutrivano di frutti». Quindi vediamo nuovamente questa idea: nello stato di natura originario, si cibavano di frutti ed erbe. È una concezione opposta a quella di san Tommaso. Prosegue san Basilio: «Ma quando l’uomo ha cambiato regime e uscì dal limite che gli era stato assegnato, il Signore, dopo il diluvio, concesse l’uso di tutti gli alimenti. Con questa concessione anche gli altri animali ricevettero la libertà di mangiarne». Dunque, in san Basilio ritorna l’idea di san Teofilo, con una differenza: e cioè che il “cambio” di alimentazione, quindi la presenza di animali carnivori, sarebbe avvenuto non dopo il peccato ma dopo il diluvio, che effettivamente, nel racconto biblico, è il momento in cui Dio concede all’uomo di potersi cibare di carne. Sappiamo che il comando nell’Eden era di cibarsi di ogni erba verde e di ogni frutto che il Paradiso terrestre metteva a disposizione dell’uomo. San Basilio dice perciò che con questo cambio nell’uomo, dopo il diluvio, avviene una mutazione anche nel mondo animale, cioè l’animale stesso, guardando al suo dominus, l’uomo, comincia esso stesso a cibarsi di carne. Questo è il filone, diciamo così, Teofilo-Basilio.

Ma c’è un altro testo importantissimo che riguarda un altro grande Padre e Dottore della Chiesa, sant’Ireneo di Lione. Nella sua straordinaria opera, Adversus Hæreses (Contro le eresie), nel libro V, cap. 33, 3-4, sant’Ireneo ricorda alcune parole di san Giovanni apostolo – e questo è importante perché stiamo parlando di un testo che non è contenuto nelle Sacre Scritture –, il quale insegnava che sarebbe venuto un tempo della restaurazione di tutte le cose, che egli descrive utilizzando un po’ quelle che erano le immagini che troviamo nel libro del profeta Isaia, al cap. 11 – il famoso testo sui lupi e gli agnelli che pascolavano insieme, il leone come il bue mangiava la paglia, eccetera – e al cap. 65. Sant’Ireneo, a commento, fa questa affermazione: «Bisogna che, quando il mondo sarà ricondotto al suo stato originario, tutti gli animali obbediscano e stiano soggetti all’uomo e ritornino al primo nutrimento dato da Dio, come prima della disobbedienza erano soggetti ad Adamo mangiando il frutto della terra» (Adversus Hæreses).

Ora, non ci interessa qui la questione complessa, delicata, di questo ritorno del mondo allo stato originario; ma ci interessa un altro aspetto, cioè se questo ritorno allo stato originario ci dica qualcosa sullo stato originario, secondo la tradizione apostolica che ci riporta sant’Ireneo. E ci dice questo, ossia che nello stato originario – e questo è un dato indiscusso della tradizione cristiana – gli animali erano soggetti all’uomo, non si ribellavano all’uomo, non aggredivano l’uomo, erano docili, tutti come degli animali domestici, da compagnia; ma, aggiunge sant’Ireneo, connesso al primo aspetto, gli animali mangiavano il frutto della terra. Come dicevamo prima, nello stato originario c’era la mancanza dell’aspetto dell’aggressione anche all’interno del mondo animale, non solo nei confronti dell’uomo. Chiudiamo questa parentesi, che è servita per dare la visione completa, tra l’altro molto bella e interessante e che ritorna molto spesso nelle vite dei grandi anacoreti, dei grandi monaci, che proprio attraverso una vita di ascesi, di penitenza, di purificazione, ritrovavano in qualche modo lo stato originario; e questo stato originario si rifletteva in qualche modo anche nei confronti di tutta la creazione animale e non animale.

Abbiamo visto dunque l’aspetto dell’uomo nei confronti delle creature a lui inferiori dal punto di vista dell’ordine naturale, abbiamo escluso che dominasse su quelle a lui superiori, cioè gli angeli. Ma vediamo se dominava sui suoi pari. Nell’art. 3, san Tommaso incomincia col dire che nello stato originario non mancava la diversità, prima di tutto la diversità di sesso, che è stata voluta da Dio, posta da Dio nella creazione. La disuguaglianza di sesso non è una pena del peccato e non è qualcosa che deve essere tolto, anzi. Ancora, non mancava la disuguaglianza d’età, perché nello stato originario – se fosse perdurato – avremmo avuto dei bambini che sarebbero nati, come poi sono nati, ma nello stato decaduto. Quindi, bambini che avevano un’età inferiore, adulti, adulti più maturi, eccetera. E, dice san Tommaso, non sarebbero mancate altre diversità, come la santità della vita, la scienza. Perché? Perché, come abbiamo visto, nella scienza c’era un margine di progresso e dunque questo dipendeva dalle disposizioni di ciascuno. E così per la santità: la santità dipende dalla grazia di Dio e dalla disposizione alla corrispondenza di ciascuno. Dio non è un livellatore. L’uguaglianza non è intesa come l’azzeramento delle differenze legittime e buone.

L’art. 4 entra più nello specifico della domanda se l’uomo avrebbe dominato sugli altri uomini nello stato originario. San Tommaso dice: dipende da come intendiamo questo dominio. «Il termine dominio può essere preso in due sensi. Primo, come contrapposto alla schiavitù: in questo senso si dice dominus [padrone] colui che tiene altri sotto di sé come schiavi. Secondo, nel significato più comune che si riferisce a una sudditanza qualsiasi: e in questo senso si può chiamare dominus anche chi ha l’ufficio di governare e di dirigere delle persone libere» (I, q. 96, a.4). Allora, san Tommaso dice: se noi prendiamo il primo significato di dominus, come padrone dello schiavo, questo non c’era nel Paradiso terrestre. La schiavitù è un effetto del peccato, perché, dice san Tommaso poco dopo, «uno viene dominato come servo quando viene subordinato all’altrui utilità» (ibidem); cioè l’uomo viene guardato, considerato, stimato con la categoria dell’utile/inutile. E questo è un effetto del peccato originale.

Non c’era questo tipo di dominio, ma c’era invece l’altro. Pensiamo semplicemente al dominio, in senso buono, dei genitori nei confronti dei propri figli. E in generale, ci dice san Tommaso, tutto quello che riguarda l’uomo in quanto animale sociale. C’è un bene che è comune, non è solo individuale. E dunque, visto che c’è un bene comune, è secondo natura ed è ordinato che ci sia qualcuno che conduca e armonizzi questo bene; non per moderare i vizi, che evidentemente non c’erano nello stato originario come invece ci sono oggi, ma precisamente per ricondurre all’unità, all’armonia le volontà diverse di ciascuno, perché c’è un bene individuale che viene raggiunto da ciascuno individualmente e c’è un bene comune che viene raggiunto come comunità. E questa comunità quindi necessita di qualcuno, di un dominus che indirizzi al bene, senza che questo dominio, questa autorità prenda le connotazioni che abbiamo potuto sperimentare nel corso di tutta la storia umana, con accenti più o meno drammatici, a seconda che la grazia e il cristianesimo siano riusciti a porre un morso alle briglie di un potere che purtroppo è soggetto anch’esso al peccato originale. Ma l’autorità non è in sé stessa un male, una conseguenza del peccato, questo è il punto importante in san Tommaso.

Passiamo rapidamente alle tematiche della quæstio 97, che riguarda la conservazione dell’uomo. La prossima volta vedremo la conservazione della specie, la generazione. Ma intanto vediamo la conservazione dell’uomo. La prima domanda è se nello stato di innocenza l’uomo fosse immortale. Attenzione, l’anima dell’uomo è immortale per natura, essendo spirituale. Non cambia nulla da questo punto di vista nello stato originario e nello stato decaduto: l’anima, per sua natura, è immortale. Ma quando parliamo di immortalità, parliamo dell’immortalità dell’uomo, non dell’anima, cioè del tutto: anima e corpo. E la risposta è sì: l’uomo era immortale, non era soggetto alla morte, intesa come separazione dell’anima e del corpo, più propriamente del corpo dall’anima.

San Tommaso spiega: «Il suo corpo [dell’uomo] non era indissolubile in forza di un suo intrinseco vigore di immortalità, ma vi era nell’anima una virtù conferita soprannaturalmente da Dio, con la quale l’anima poteva preservare il corpo immune da ogni corruzione, finché essa stessa fosse rimasta sottoposta a Dio» (I, q. 97, a. 1). Cioè, per sua natura il corpo, essendo materiale, è corruttibile. Ma nello stato originario l’uomo era già elevato all’ordine soprannaturale: la grazia non arriva in un secondo momento, ne abbiamo già parlato. [Vedete adesso come tanti aspetti si richiamano, si intrecciano: questo è il bello dell’esposizione della fede. Vedrete come cominceranno a richiamarsi tante verità tra loro e capirete anche l’ordine e la gerarchia, nel senso bello del termine, delle varie verità della nostra fede].

Dunque, nello stato originario l’anima era già dotata dell’elevazione allo stato soprannaturale. Ed era dotata di una grazia singolare, cioè una virtù conferitale da Dio per custodire il suo corpo dalla corruzione; non era ancora un corpo spirituale, come sarà il corpo risorto dopo la risurrezione dai morti, grande dogma dimenticato della nostra fede; non era ancora quel corpo lì, era un corpo materiale, ma custodito dalla corruzione per una virtù particolare dell’anima. Ed essendo l’anima la forma del corpo, l’anima comunicava al corpo questa sua virtù. Ma questa virtù, ci dice san Tommaso, era data «finché essa stessa fosse rimasta sottoposta a Dio».

Con l’insubordinazione, che è la grande caratteristica del peccato originale, dell’anima umana a Dio, attraverso un atto della volontà, l’anima perde questa caratteristica. E dunque il corpo non riceve più questa virtù conservatrice, questa virtù di immortalità, che l’anima comunicava al corpo stesso.

Quindi, abbiamo visto in che senso l’uomo era incorruttibile, immortale, nello stato originario. E capiamo dunque che la corruttibilità dell’uomo e la morte non erano in origine: non erano stati pensati, voluti da Dio per l’uomo. Questo è molto importante tenerlo presente.

Nell’art. 3 san Tommaso si chiede se l’uomo avesse avuto bisogno di cibo. Se il corpo era incorruttibile, perché doveva cibarsi? Ma san Tommaso dice: «Nello stato di innocenza l’uomo aveva una vita animale, che necessitava di alimento; dopo la risurrezione avrà una vita spirituale, senza questa necessità» (I, q. 97, a. 3). Dunque, è importante capire che l’uomo aveva una reale vita animale. L’anima – che è forma del corpo – comunica tutto al corpo, cioè: è anima intellettiva, è anima sensitiva, è anima vegetativa. Il corpo aveva realmente una dimensione sensitiva e una dimensione vegetativa: e dunque si nutriva. D’altra parte, il comando, che troviamo nel libro della Genesi, è che l’uomo debba mangiare, debba cibarsi di tutte le erbe e i frutti presenti nel Paradiso terrestre, tranne di quel frutto dell’albero del bene e del male. Dunque, l’uomo si cibava: era un cibarsi completamente libero da concupiscenza e completamente libero da quei fenomeni di corruzione che conosciamo nella nostra alimentazione. Era un cibarsi secondo intelligenza, secondo moderazione, secondo piacere, tutto ordinato a gloria di Dio e a gaudio dell’uomo.

Vediamo dunque che cibarsi non è un elemento della caduta; è un certo modo di cibarsi – questa lotta che noi abbiamo in continuazione con la concupiscenza, da cui il vizio della gola – che è conseguenza del peccato, non il cibarsi in sé. Vedremo come un discorso analogo san Tommaso lo farà riguardo alla generazione tramite l’unione sessuale dell’uomo e della donna. Ma questo lo vedremo nel prossimo incontro, perché è un tema su cui bisogna soffermarsi con un po’ più di calma.



ORA DI DOTTRINA / 97 – La trascrizione

Lo stato originario – Il testo del video

31_12_2023 Luisella Scrosati

Lo stato originario è la condizione in cui Dio ha creato Adamo ed Eva. Nello stato originario l’uomo non vedeva l’essenza divina. Ma, spiega san Tommaso, «conosceva Dio in un modo più elevato del nostro», sia in ordine all’intelletto che alla volontà.

Ora di dottrina / 96 – La trascrizione

La beatitudine (III parte) – Il testo del video

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La missione della Chiesa è, nel piano divino, essenziale per la vocazione dell’uomo alla beatitudine. Da ciò deriva l’importanza della libertas Ecclesiae. Ogni uomo desidera la beatitudine (cioè Dio), ma non tutti desiderano i mezzi per raggiungerla.

Ora di dottrina / 95 – La trascrizione

La beatitudine (II parte) – Il testo del video

17_12_2023 Luisella Scrosati

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ORA DI DOTTRINA / 94 – La trascrizione

La beatitudine – Il testo del video

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