Giovani, non riduciamo il Sinodo al politicamente corretto
Il Sinodo dei giovani può essere una grande occasione, ma a patto che sia la possibilità di un dialogo autentico sulle grandi domande della vita. Non vanno in questo senso i documenti preparatori che sembrano più preoccupati di riproporre i soliti cliché, politicamente corretti. Ma guai a noi se di fronte all'attesa di una proposta convincente che riguardi tutta la vita, li dirottiamo su interessi e iniziative banali. Guai a noi se anziché lanciarli nella grande avventura del senso ultimo della vita li aiutiamo ad accontentarsi di poco.
In vista del Sinodo dei vescovi dedicato ai giovani, che si svolgerà dal 3 al 28 ottobre, pubblichiamo il contributo di monsignor Luigi Negri, arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio.
Il prossimo Sinodo dei giovani è certamente una grande possibilità nel dialogo fra il Papa e i giovani, e cade in un momento che per i nostri giovani è di grande importanza..
Non c’è dubbio che i giovani siano stati abbandonati a se stessi da generazioni di adulti che non sono stati in grado di rispondere alle loro domandi sostanziali, relative al senso della vita. E sono stati dirottati - più o meno sbrigativamente, più o meno esplicitamente - su iniziative di secondo piano che sono state sottolineate come importanti e decisive. Basti pensare a tutti gli -ismi del XX secolo: il nazionalismo, il comunismo, il socialismo, e così via. Ma, poi più mediocremente sono stati dirottati sul culto del benessere, del potere economico, della soddisfazione psico-affettiva. Grandi possibilità, ma incapacità ad educare; perché queste possibilità che sono contenute nel cuore di ogni giovane come possibilità positive, esigono un’azione educativa seria, tenace, costruttiva, paziente.
Gli adulti delle generazioni che ci hanno preceduti, e anche quella attuale, non sono state capaci di questa fatica, probabilmente perché il confronto con i giovani ha messo sempre in evidenza la debolezza culturale e morale delle generazioni adulte.
Oggi la situazione appare contornata da fattori che esigono una considerazione profonda e in qualche modo definitiva. I giovani risentono della enorme precarietà dell’esistenza, che poi la si riduce a precarietà del lavoro e altro. In realtà è la precarietà sulla consistenza stessa della vita, sul senso profondo dell’esistenza. Quando li si lascia esprimere, essi arrivano immediatamente a questo punto: lì si avverte che attendono se apri in loro una domanda.
È stata l’esperienza di decenni di insegnamento in Università e poi dei moltissimi incontri con i giovani durante l’esperienza del mio episcopato. I giovani si aprono e attendono. Guai a noi se li dirottiamo un’altra volta su interessi banali, su iniziative banali. Guai a noi se anziché lanciarli nella grande avventura del senso ultimo della vita li aiutiamo ad accontentarsi di poco.
Scorrendo questi famosi documenti di preparazione delle varie iniziative ecclesiali a tutti i livelli, ho sempre la sensazione che ripetano un cliché; ho la sensazione che rischino di essere scritti non dai giovani e neanche per i giovani, ma che sia la riproposizione politicamente corretta ai giovani dei soliti schemi. Così si fa una grande questione della difficoltà affettiva, della lontananza dalla morale cattolica e di tutte le altre cose che vengono rigorosamente e puntualmente annotate in questi documenti.
Io non credo che i giovani partano da qui, e non credo che la loro attesa sia su questo. Credo che sia necessario riaprire la grande alleanza fra le generazioni, e l’alleanza si apre solo se ogni generazione si assume la sua autentica e definitiva responsabilità: gli adulti di offrire proposte convincenti sull’arco totale della vita, non su un particolare o su un altro; i giovani, se vengono sollecitati da una adeguata azione educativa, di prendere a loro volta la loro responsabilità di fronte a se stessi, di fronte a Dio e di fronte alla società.
Quello che mi sembra inaccettabile è questa situazione di scontatezza per cui questi documenti sembrano scritti in anticipo; sembrano scritti per ogni argomento dei Sinodi; sembrano il riproporsi di una immagine di giovani, demotivati di tutto e per tutto, verso i quali ci si deve sforzare perché - attraverso una azione che faccio fatica a chiamare educativa - riscoprano il valore della morale sessuale cattolica, il valore della famiglia, del lavoro, dei figli e così via. Faccio fatica a pensare che i giovani abbiano delle esigenze particolari e così frastagliate. Soprattutto faccio fatica a pensare che i giovani aspettino come soluzione della vita di poter avere il massimo della soddisfazione a tutti i livelli. Il benessere non è l’ideale dei giovani, il benessere è un ideale da vecchi, imposto - qualche volta forzosamente - ai giovani.
Ecco perché io credo che il Sinodo potrebbe essere una grande occasione se fosse autentico, cioè se consentisse a tutte le varie categorie che vi partecipano di giocarsi lì realmente, per le domande che li animano e le prospettive che sentono, per le difficoltà che li affliggono, per le possibilità positive di cui fanno esperienza. Un dialogo reale e sincero.
Ciò che ammazza la giovinezza è sempre stato il formalismo dei vecchi.
* Arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio