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CREMONA

Fedeli umiliati: quella Messa (in latino) non s'ha da fare

Messa in latino, la sociologia la scopre, ma i vescovi la osteggiano. Come a Cremona, dove da 10 anni un gruppo di fedeli chiede di celebrare in forma straordinaria, ma riceve il no dei vescovi. Un no ingiustificato, che trasforma quelli sotto il Torrazzo in fedeli di Serie B. 

Ecclesia 02_03_2019
Il duomo e il Torrazzo, simboli di Cremona

Che la messa in latino stia vivendo una seconda giovinezza è un dato ormai anche sociologico. Ma che questa forma straordinaria dell’unico rito romano, sia osteggiata da buona parte dei vescovi, è un fatto che le cronache spesso si devono incaricare di denunciare. Da più parti giungono input che mostrano come quella della messa in latino, rappresenti per molti vescovi italiani una vera e propria fobia da estirpare.

Quella che raccontiamo è proprio la storia di un’opposizione tanto assurda quanto immotivata da parte di due vescovi nei confronti di questa messa, che Benedetto XVI, incoraggioandone la promozione, si augurava potesse un giorno “contaminare” anche la messa novus ordo.

Siamo a Cremona e nonostante diversi tentativi, i fedeli non sono ancora riusciti ad ottenere una Messa in forma straordinaria anche solo tollerata dal vescovo e neppure il riconoscimento di un gruppo stabile di che adempisse al mandato del motu proprio Summorum Pontificum.

UNA MESSA DISARMONICA
I fatti, ricostruiti dalla Nuova BQ dopo aver letto le carte di una vertenza a tratti da lettere e “carte bollate”, prendono inizio nel 2009 quando un gruppo di fedeli chiede al vescovo di allora Dante Lanfranconi l’assenso alla nascita di un gruppo stabile di fedeli. Ma la risposta del vescovo è un secco no con una motivazione che ancor oggi appare assurda: “La communio ecclesiale richiede che non si inseriscano iniziative oggettivamente disarmoniche”. Tradotto? Il vescovo argomentava che a 40 anni dall’introduzione del Messale di Paolo VI, a Cremona non c’erano mai state né resistenze né opposizioni alla nuova messa. Ergo, non si vedeva proprio il bisogno di una celebrazione di quel tipo. Motivazione assurda, dicevamo, perché la messa in forma straordinaria, così come codificato nella terminologia da Papa Ratzinger, non va affatto vista come una contrapposizione a quella ordinaria, ma piuttosto come un arricchimento di essa, portato avanti da fedeli che nutrono una particolare sensibilità che va giustamente e, sottolineava “volentieri” accolta.

Invece, con il no di Lanfranconi le attese del gruppo stabile vennero raggelate. E a quel punto non restò loro che scrivere direttamente all’Ecclesia Dei, la quale ricevette la lettera dei fedeli il 1 febbraio 2010 e che a sua volta rispose al vescovo con alcune osservazioni relative alla metodologia, ma senza entrare nel merito della questione. Ma non si arrivò a cavare un ragno dal buco. I fedeli dovettero incassare il no e il desiderio rimase lettera morta.

NO E ANCORA NO
Fino al 2017, quando un nuovo gruppo di fedeli scrive al vescovo di Cremona, nel frattempo cambiato. La risposta del nuovo prelato cremonese, monsignor Antonio Napolioni (in foto), non si fece attendere e il 27 marzo così scrisse: “Tali richieste erano già state avanzate al mio predecessore, il quale non ravvisando che vi fossero in diocesi le condizioni per non accogliere favorevolmente le richieste oppose un diniego, soprattutto alla luce del fatto che in oltre 40 anni l’applicazione della riforma liturgica conciliare è stata serenamente accolta in tutta la Diocesi”.

A quel punto, i fedeli hanno cercato di far notare al prelato che in realtà esiste già un nutrito gruppo di fedeli che desidera questa forma rituale perfettamente lecita e mai abolita dalla Chiesa. Così, mesi dopo, trovarono una sponda presso il convento dei padri barnabiti di Cremona dove c’è un sacerdote che sa celebrare quella messa e volentieri ha acconsentito alla richiesta.

Una messa conventuale dunque, non direttamente sotto la giurisdizione del vescovo, che è moderatore comunque della liturgia della diocesi. Ma anche questa volta è arrivato il no. Ma non solo: il religioso è stato anche chiamato a rapporto dal vescovo. Una volta giunto nel suo ufficio ha così dovuto sorbirsi anche lui il diniego già espresso da Napolioni ai fedeli. Il motivo? Piò o meno la rottura della comunione ecclesiale. Tutto inutile. Al padre - da quanto ci ha riferito lui stesso – due settimane fa è stato sostanzialmente impedito di celebrare la messa sine populo, provvedimento abnorme dato che il Summorum Pontificum vieta espressamente di proibire le celebrazioni private che non hanno bisogno di alcun placet. Così il religioso, in imbarazzo, ha dovuto alzare le mani e il gruppo stabile si è ritrovato per la terza volta con un pugno di mosche.

RIPRISTINARE LA LEGALITA'
Tra le motivazioni addotte da fonte episcopale si cita spesso la comunicazione che l’Ecclesia Dei diede al vescovo nel 2010 e che i vescovi utilizzano come “arma” per giustificare il loro no. In realtà quella comunicazione non è mai stata letta da nessuno e ancora ieri da parte della curia di Cremona non sono giunti i chiarimenti necessari.

Alle nostre richieste, sia telefoniche che via posta elettronica di ieri e giovedì, il vicario generale don Massimo Calvi, non ha ritenuto ancora di dover spiegare quale sia stata la risposta dell’Ecclesia Dei. Che, a rigor di logica, di sicuro non doveva essere di chiusura a quella messa. La questione però rappresenta un grave vulnus proprio a quella Communio ecclesiae che si dice a parole di voler custodire. 

Motu proprio alla mano infatti, il ruolo del vescovo non è quello di dire di sì o di no alla richiesta dei fedeli, quello accadeva con la legislazione precedente attraverso il motu proprio Ecclesia Dei. Ma con l’entrata in vigore del Summorum Pontificum il problema non è più di diretta competenza del vescovo. Il SP dice che nelle parrocchie in cui esiste un gruppo stabile aderente alla precedente tradizione liturgica «il parroco accolga le loro richieste (art. 5)». Dove e quando allora entra in gioco il vescovo? Nel caso in cui ci siano problemi, se il gruppo ad esempio «non abbia ottenuto soddisfazione alle richieste da parte del parroco ne informi il vescovo che è vivamente pregato di esaudire i loro desideri (art 7)». Lo scopo del vescovo quindi è quello di dire di sì. E magari trovare la chiesa migliore o coordinare i fedeli se ci sono più gruppi o anche di trovare un prete che celebri se non si trova. Ma non è quello di dire sì o no, di approvare o respingere. L’unica obiezione che può fare il vescovo avviene semmai nel caso in cui questi fedeli non siano in comunione con la Chiesa secondo le leggi canoniche, ma non sembra proprio essere questo il caso dei fedeli di Cremona.

Anzi: semmai a dare fastidio a tanti prelati è proprio la stragrande maggioranza di cattolici normalissimi che vi partecipano, mediamente tra i 30 e i 50 anni di età, con una maturità di fede compiuta e che non potrebbero mai accostarsi alla messa tridentina per ragioni di amarcord dato che al tempo della riforma liturgica non erano neppure nati. L'accusa della nostalgia infatti è un'arma spuntata. Per spiegare la crescita di questa sensibilità bisogna fare lo sforzo di chiedersi perché molti fedeli sentano il bisogno di tornare ad una liturgia più rigorosa, sacra, mistica e oggettiva nella sua razionalità, che non lascia spazio a emotività, ma va dritta al cuore della sua azione immediatamente comprensibile.  

Quello che sta avvenendo sotto il Torrazzo ha tutta l'aria di essere un travisamento non solo dello spirito, ma della stessa lettera del Summorum Pontificum ed è evidente che il compito del vescovo ora dovrebbe essere quello di ripristinare immediatamente la legalità e non di umiliare fedeli e sacerdoti ben disposti. Invece, in questo modo sembra che si voglia procedere arbitrariamente, delineando così la sgradevole situazione di un gruppo di fedeli di serie B, umiliato, che per quieto vivere è costretto a rinunciare a quello che è a tutti gli effetti un suo diritto: litigare con il proprio vescovo non è proprio quello che si dice un programma avvincente per un cattolico mediamente rispettoso della gerarchia e della comunione ecclesiale. Intanto, il creativismo liturgico e il relativismo pastorale domina ovunque, ma questo non sembra fare problema.