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RISPOSTA AL CARDINALE/2

Transustanziazione, dottrina vincolante per la fede

La sofferenza di non poter ricevere l’Eucaristia insieme al figlio, o insieme al marito non dev’essere “coperta”, come se l’Eucaristia fosse un analgesico, ma occorre che venga rimossa la causa di questa sofferenza, come spiegava chiaramente San Giovanni Paolo II. E la transustanziazione è dottrina vincolante della fede. La nostra risposta al cardinale Coccopalmerio. 

Ecclesia 18_09_2018

Il Cardinale Coccopalmerio ha risposto (vedi qui) alla critica che avevamo mosso alla sua intervista ad Andrea Tornielli, nella quale apriva alla Comunione ai protestanti, oltre i limiti definiti dal Diritto Canonico. Ecco la seconda parte delle nostre osservazioni. (VAI AL LINK DELLA PRIMA PARTE)

La mens del can. 844 del Diritto Canonico
Le indicazioni del Codice sono tali da richiedere infatti almeno un’implicita adesione all’unità di fede, sacramentale e gerarchica. Qui dobbiamo per forza trascurare il caso degli ortodossi e ci soffermiamo su quello dei protestanti. Oltre al fatto che essi debbano richiedere spontaneamente i sacramenti cattolici e debbano trovarsi nella situazione di non poter accedere ai propri ministri, ci sono altri tre criteri, che EdE, 46 definisce “inderogabili”, ossia che si abbia “un grave bisogno spirituale per l'eterna salvezza di singoli fedeli”, o, secondo il CIC, “vi sia pericolo di morte o… urgesse altra grave necessità”; che “manifestino, circa questi sacramenti, la fede cattolica”; che “siano ben disposti” (rite dispositi), cioè correttamente disposti (qui occorrerebbe aprire una parentesi sulla necessità dell’assoluzione sacramentale, ma non possiamo soffermarvici). Perché tanta insistenza su questi criteri ed il fatto che debbano verificarsi tutti insieme?

Appunto perché solo così non si entra nella logica della casistica delle eccezioni, ma si verificano invece delle condizioni per cui si può presumere l’unità di fede, di sacramenti e di comunione gerarchica. Cerco di spiegare con un esempio: se mi trovo di fronte ad un fratello protestante in prossimità della morte, che richiede l’Eucaristia come viatico, se egli manifesta (notare che viene chiesta la manifestazione di questa fede, che non può perciò essere considerata presunta) la fede cattolica integrale nel Sacramento richiesto e si dispone a riceverlo, mediante la Confessione sacramentale, non essendoci né il tempo né le condizioni per poter “catechizzare” la persona in questione, posso presumere che essa abbia una fede implicita anche negli altri articoli di fede. E questo per la particolare natura del sacramento dell’Eucaristia. Come spiegava don Pedro Rodriguez, teologo dell’Università di Navarra, “il cristiano, partendo dall’Eucaristia accolta e confessata nella sua pienezza, si apre, mediante il nexus mysteriorum, alla totalità della fede”. Infatti, è solo dell’Eucaristia che san Tommaso afferma che in essa “si compendia tutto il mistero della nostra salvezza” (S. T. III, q. 83, a. 4).

In effetti, la fede integrale nell’Eucaristia come sacrificio, sacramento e presenza, comporta, almeno a livello implicito, l’adesione ad una corretta concezione dei sacramenti in generale, del sacramento dell’ordine e quindi della costituzione gerarchica della Chiesa in particolare, etc. Parimenti, l’accettazione di ciò che insegna la Chiesa su questo Sacramento, può far presumere il principio formale della fede, cioè credere le verità di fede, in quanto rivelate da Dio e insegnate dalla Chiesa. E’ chiaro che se vengono a mancare le condizioni di urgenza e grave necessità da un lato, e la manifestazione della fede della Chiesa nel sacramento dell’Eucaristia dall’altro, si andrebbe a contraddire il principio di legge divina dell’unità della Chiesa. Se infatti non sussistesse l’urgente e grave necessità, non si potrebbe procedere per presunzione della fede implicita, ma sarebbe necessario percorrere la via normale della predicazione, della catechesi e dell’accertamento di tale fede, come si fa (o si dovrebbe fare) per qualsiasi cattolico che intende ricevere l’Eucaristia.

Nel caso, per esempio, della madre protestante del bimbo cattolico che deve ricevere la sua prima Comunione – a parte il fatto che non siamo in presenza di “un grave bisogno spirituale per l'eterna salvezza di singoli fedeli” -, occorre che la donna venga catechizzata e abbracci la fede cattolica nella sua integralità: vi sono e il tempo e le condizioni. La sofferenza di non poter ricevere l’Eucaristia insieme al figlio, o insieme al marito, etc., non dev’essere “coperta”, come se l’Eucaristia fosse un analgesico, ma occorre che venga rimossa la causa di questa sofferenza, come spiegava chiaramente San Giovanni Paolo II in un Discorso alla federazione delle chiese evangeliche della Svizzera: “Non servirebbe a niente sopprimere la sofferenza della separazione se non portassimo rimedio alla causa di questa sofferenza che è precisamente la separazione stessa”.

Coccopalmerio, invece, va per la sua strada, arrivando ad affermare che i casi di pericolo di morte e di grave e urgente necessità presentati dal Diritto Canonico non sono gli unici, ma sono semplicemente “i casi sicuri, casi cioè nei quali è sicuramente possibile evitare il duplice pericolo [di indifferentismo e di scandalo]”. E’ evidente che il principio di unità della Chiesa rimane così solo come un cimelio teorico, e perciò il Cardinale ha le porte aperte per permettersi una interpretazione tutta sua del canone 844.

Se poi la persona si trova effettivamente in grave e urgente necessità, ma non manifesta la fede della Chiesa nell’Eucaristia, non è legittimo presumere contro ogni evidenza la fede implicita negli altri articoli di fede, né l’accettazione della Comunione gerarchica. Già nel 1972, si dovette ricorrere alla pubblicazione di un’Istruzione (De peculiaribus casibus admittendi alios christianos ad communionem eucharisticam in Ecclesia Catholica), nella quale, a fronte di una certa disinvoltura con la quale si concedeva l’Eucaristia ai protestanti e si concelebrava, veniva riportato al centro della questione il principio chiave dell’unità della Chiesa: “non è mai permesso alterare la stretta relazione tra il mistero della Chiesa e il mistero dell’Eucaristia”.

Fede integrale nell’Eucaristia
E qui veniamo brevemente ad affrontare il secondo grave errore di Coccopalmerio, il quale, dopo aver fornito un’arbitraria interpretazione di UR, 8, tirando conseguenze contrarie sia al principio di legge divina, che agli interventi magisteriali successivi, prosegue nella stessa linea anche per quanto riguarda il “tipo” di fede da manifestare nell’Eucaristia: “Devo qui ripetere onestamente la mia convinzione che per avere nell’Eucaristia la stessa fede della Chiesa cattolica non risulta necessario aderire a dottrine teologiche, neanche a quella della transustanziazione”. Ed aggiunge: “A ben vedere, se un fedele crede che dopo la consacrazione il pane è diventato il corpo di Gesù e il vino è diventato il sangue di Gesù, aderisce di per sé e ovviamente anche alla dottrina della transustanziazione”.

L’importanza della fede integrale nell’Eucaristia dovrebbe risultare chiara, alla luce di quanto abbiamo detto in precedenza; se infatti questa fede fosse carente, verrebbe meno il principio superiore del legame tra comunione nella fede, comunione nei sacramenti e comunione ecclesiale. Il modo di presenza sacramentale dell’Eucaristia che “in modo conveniente ed appropriato è chiamato dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione” (Concilio di Trento, Decreto sull’Eucaristia, DS 1642, cf. CCC 1373-1381) non è una dottrina teologica, ma è dottrina della Chiesa, che dev’essere ritenuta da ogni fedele; quello che non è necessario sapere (sebbene raccomandato) è che la conversione di tutta la sostanza del pane e del vino nella sostanza del Corpo e Sangue di Cristo si chiami, appunto, transustanziazione.

Nella Comunicazione del 1973 si precisava che la fede da manifestare nell’Eucaristia “non si limita soltanto all’affermazione della presenza reale nell’Eucaristia, ma implica la dottrina circa l’Eucaristia come insegna la Chiesa Cattolica”. Si noti la serie ravvicinata e ripetuta di interventi per precisare le applicazioni del testo di UR 8 e del Direttorio del 1967, i quali, evidentemente, non erano esenti da ambiguità.

A ulteriore conferma della necessità della fede integrale nell’Eucaristia, nelle Osservazioni del rapporto finale dell’ARCIC (Anglican – Roman Catholic International Commission), la Congregazione per la Dottrina della Fede, a guida Ratzinger, dichiarava insufficienti i pur notevoli passi avanti nel dialogo ecumenico con gli Anglicani, in particolare per quanto riguarda l’Eucaristia come Sacrificio, come Presenza reale e come Presenza da adorare. Da notare in particolare questo rilievo: “Si osserva con soddisfazione che numerose espressioni affermano chiaramente la presenza reale del Corpo e del Sangue di Cristo nel sacramento, ad esempio: «Prima della preghiera eucaristica, alla domanda: "Cos’è questo?", il credente risponde: "È pane". Dopo la preghiera eucaristica, alla stessa domanda risponde: "È davvero il corpo di Cristo, il pane della vita"».

Certe altre formulazioni tuttavia, soprattutto alcune di quelle che cercano di esprimere il compimento di questa presenza, non sembrano indicare adeguatamente quel che la Chiesa significa col termine «transustanziazione»” (corsivo nostro). Dunque la transustanziazione non sembra essere considerata dalla CDF una dottrina teologica, ma una dottrina vincolante per la fede. Il modo con cui si compie la presenza del Signore nell’Eucaristia è altrettanto fondamentale quanto il fatto della sua presenza. La stessa CDF riteneva perciò necessari ulteriori chiarimenti per escludere che alcune formulazioni da parte della chiesa anglicana potessero “essere lette secondo un’intelligenza per cui, dopo la preghiera eucaristica, il pane e il vino restano tali nella loro sostanza ontologica, nonostante l’accoglimento della mediazione sacramentale del corpo e del sangue di Cristo”.

Anche EdE, 46 precisava che “il rifiuto di una o più verità di fede su questi Sacramenti e, tra di esse, di quella concernente la necessità del Sacerdozio ministeriale affinché siano validi, rende il richiedente non disposto ad una loro legittima amministrazione”. Coccopalmerio invece nel precedente articolo affermava che “è necessario e sufficiente credere che il pane e il vino consacrati nella santa messa sono quelle realtà che Gesù ha indicate nelle parole dell’ultima cena: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. È, quindi, necessario e sufficiente credere che il pane e il vino sono nel sacramento dell’Eucaristia il corpo e il sangue di Gesù. Aderire a spiegazioni teologiche, anche di altissimo valore come la dottrina della transustanziazione, non è condizione necessaria”, posizione che torna a ribadire nella sua replica.

Giudichi il lettore la conformità della posizione del Cardinale con quelle del Magistero.